miércoles, 29 de abril de 2009

Costo sociale dell'epidemia

...ovvero il gioco dello scaricabarile

Clara Ferri
Cittá del Messico -Secondo le ultime notizie e analisi, il virus dell’influenza suina ha fatto la sua apparizione in Messico a febbraio, ma curiosamente viene decretata l’allerta generale per “un’insolita ondata di polmonite” solo il giorno successivo alla fine della tanto attesa visita di Obama, cioè il 18 aprile, ed è del 23 aprile il comunicato ufficiale in cui si dichiara l’emergenza per l’influenza suina, con l’annuncio del ministro della salute della chiusura delle scuole.

Viene, quindi, da chiedersi se non sia stata opportunamente nascosta l’informazione sulla potenziale epidemia proprio per non disturbare l’evento politico. Ad ogni modo, da più parti si accusano le autorità di essere intervenute troppo tardi, facendo sì che il virus si propagasse e che i casi assumessero una gravità che in altri paesi non stanno assumendo.

Lo spiegamento ufficiale di forze nella fase preventiva è impressionante: chiudere scuole, stadi, cinema, musei, chiese, ristoranti, bar, ecc. è un fatto del tutto nuovo. Stando alle cifre ufficiali della OMS –convenientemente assunte anche dal Ministero della Salute messicano- la pandemia ha riscosso solo 26 casi (di cui 7 morti) in Messico, contro i 64 casi (di cui 1 morto) negli Stati Uniti e i 24 casi nel resto del mondo.

Fermo restando che i numeri reali con molta probabilità sono assai più alti, ci si domanda se sono poi così necessarie queste misure precauzionali, ma soprattutto qual è il loro costo sociale e su chi ricade. In un paese con un sistema previdenziale improntato sul modello americano e nel quale il lavoro nero prevale nettamente su quello garantito, la chiusura di oltre 30 mila ristoranti –tanto per dare un esempio- comporta delle perdite di 100 milioni di dollari al giorno e colpisce 450 mila lavoratori. Per non parlare poi di tutti gli altri settori economici che subiscono delle restrizioni delle attività.

È palese che ci sia un ragionamento economico alla base: allo Stato messicano costerebbe meno la prevenzione che la cura, soprattutto quando il costo di questa ricade sulla società e non su di sé. È il classico gioco dello scaricabarile, su cui si fonda buona parte dell’economia messicana: tanto per intenderci, lo stesso concetto del dipendente di un benzinaio che vive di mance dei clienti anziché percepire uno stipendio adeguato. O del posteggiatore, del cameriere, del fattorino, e di un’infinità di professioni.

Sebbene è vero che il governo di Città del Messico ha stanziato un fondo di 150 milioni di pesos per le persone che hanno contratto il virus, né le autorità locali né quelle federali rispondono dei danni causati dalla paralizzazione di molte attività.

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