Braccio
di ferro tra lo Stato e la “mafia dell'importazione”- “Sciopero selvaggio” delle multinazionali,
Tito
Pulsinelli - Ha fatto il giro del mondo la non-notizia che in
Venezuela mancano i rotoli di carta igienica. Ohibò, non c'è merce
più negativamente simbolica per chi deve produrre una distorsione
della percezione della realtà. Se manca la carta igienica significa
che le cose vanno proprio male, altro che socialismo e fisime
populiste d'accatto. Ben gli sta ai demagoghi che hanno osato
prendere le distanze dal FMI o che ignorano i saggi orientamenti di Goldman Sachs. Sghignazzano a New York o
a Roma, dove certamente non manca nulla
sui scaffali, però sono calati i consumi per
il diminuito reddito delle fammiglie, che autoriducono gli acquisti.
Ridicolizzano e diffamano all'unisono quelli che a riprendere il controllo del potere politico non è
proprio possibile per la via elettorale.
I
destabilizzatori professionali esultano per l'eco gratuita trovata
nella nota claque d'oltrefrontiera e nella
platea mediatica internazionale. Però in Venezuela, non riescono a
spiegare perchè la medesima carta che si utilizza per la
fabbricazione dei fazzoletti di carta, salviette, tovagliole da
cucina e carta igienica per il bagno, scarseggia solo se ha la forma di
rotolo. Strananamente, sul mercato abbonda la carta in forma quadrata,
rettangolare, profumata ecc ed è assente quella con il formato
cilinfrico del rotolo.
Eppure
escono dalle stesse fabbriche, solo che una ha un prezzo contenuto e
controllato, mentre le altre so vendono a prezzi in crescita
accelerata, in senso contrario a quello delle Borse occidentali.
Stranezze del commercio quando è trasformato in lotta politica
asimettrica, in strumento della guerra piscologica atto a
destabilizzare e -en passant- speculare senza limiti. Lottare
e speculare è bello, sembrano dire i cellulitici amici endogeni del
“libero mercato”.
L'industria
privata, persino quella che elabora merci composte solo di manufatti nazionali,
applica questo schema operativo per ritardare, limitare e dare discontinuità al rifornimento del mercato. Si tratta di una
sorta di “sciopero selvaggio” delle multinazionali, dosificato e
camuffato in una mappa caratterizzata da “macchie di leopardo”.
L'avvicinarsi
delle elezioni locali di dicembre, ha dato la stura a questa variante
tattica dell'operazione illegale di chi con i voti sa che è difficile recuperare il potere politico. E' la cronaca
annunciata degli ultimi 14 anni. Stavolta, però, hanno accantonato
gli anacronistici golpe, la paralisi totale dell'industria
petrolifera o la sceneggiata urlata dell'eterno ritorno dell'imbroglio
elettorale. Stavolta, percorrono il cammino più lento e insidioso
del disfunzionamento programmato della rete commerciale. E' una
camuffata esasperazione speculativa, di rialzi ed accaparramenti, per
ottenere un cumulativo “effetto carestia”. Atto, così calcolano, a
provocare saccheggi o sommosse della plebe ignara. Fino all'agognato
intervento dall'esterno. Per ristabilire ordine, abbondanza e
prosperità illimitata per tutti. Do you remember Bengasi?
Com'è
solito, fanno i conti senza l'oste. In realtà si gioca la partita
decisiva quel settore che apporta solo il 4% all'esportazione e alle
divise da essa generate, però batte i pugni sul tavolo
perchè pretende l'accesso illimitato ai dollari a buon mercato
generati dal petrolio. Pretendono la concessopne agevolata di dollari a 6 bolivares per comprare stock all'estero e la
“libertà” di vendere senza prezzi controllati.
Arrivano a moltiplicare per 7 i loro profitti, però non sarebbero in grado di finanziare le successive importazioni, per le quali nella pratica esigono un finanziamento pubblico. E' in corso un braccio di ferro tra lo Stato e la “mafia dell'importazione” per il controllo e l'uso delle risorse finanziarie. Si va verso una ridefinizione del rapporto di forze tra il blocco popolare e quello tradizionale parassitario. E non manca, purtroppo, chi dal nord soffia sul fuoco o fornisce fiammiferi agli incendiari.
A differenza del Brasile e Argentina, dove esiste una una borghesia produttiva moderna, l'oligarchia venezuelana riesce a lucrare molto di più con i commerci (fino al 700%) che sviluppando una rete produttiva.
Arrivano a moltiplicare per 7 i loro profitti, però non sarebbero in grado di finanziare le successive importazioni, per le quali nella pratica esigono un finanziamento pubblico. E' in corso un braccio di ferro tra lo Stato e la “mafia dell'importazione” per il controllo e l'uso delle risorse finanziarie. Si va verso una ridefinizione del rapporto di forze tra il blocco popolare e quello tradizionale parassitario. E non manca, purtroppo, chi dal nord soffia sul fuoco o fornisce fiammiferi agli incendiari.
A differenza del Brasile e Argentina, dove esiste una una borghesia produttiva moderna, l'oligarchia venezuelana riesce a lucrare molto di più con i commerci (fino al 700%) che sviluppando una rete produttiva.
E' un
settore storicamente parassitario, da sempre dedito all'esportazione
di capitali, privo di vocazione e interesse a cimentarsi con il
“made in Venezuela”. Genetica storica di chi ha sempre
convogliato verso la Madrid imperiale, e successivamente verso
Washington, tutte le ricchezze nazionali.
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