viernes, 19 de diciembre de 2014

Rublo, petrolio, shale gas, derivati e l’egemonia USA

 Strategia distruttiva  rischiatutto (Sanzioni+Petrolio+Valuta) contro Russia, Iran e Venezuela - In bilico JPMorgan Chase+4   con debiti superiori a 16 volte quello USA - Doveva essere scacco matto a Putin. Non lo è - Fattore tempo NON è dalla parte dell’occidente

 
Federico Pieraccini Ci sono due nodi centrali relativi alla svalutazione del Rublo e nel deprezzamento del dollaro da tenere in considerazione: la conservazione dell’egemonia Americana e la bolla speculativa dei derivati legati all’industria dello Shale Gas. Senza questi elementi interconnessi tra loro, risulta impossibile
comprendere quali siano le motivazioni e le conseguenze di queste azioni economiche artificiali.
Questa vicenda va quindi necessariamente affrontata da prospettive diverse, una geopolitica e una prettamente economica.

Il deprezzamento del petrolio pare essere una strategia implementata di comune accordo tra il dipartimento di stato USA e la casa reale Saudita. Come si evince da questo articolo, gli incontri di Settembre 2014, tra Kerry e il principe Abdullah hanno posto le basi per una diminuzione del prezzo del greggio (rispetto al valore di mercato) e contemporaneamente un diniego nella riduzione della produzione quotidiana. Una manipolazione artificiale del prezzo del petrolio a tutti gli effetti. Parrebbe essere questo il principale motivo per cui, nonostante un crollo interno delle borse negli emirati (Tra Dubai, Q8, Ryad e Doha vi sono stati perdite tra l’8% e il 20% in una singola giornata ieri 16/12), non ci siano intenzioni a breve termine di diminuire la produzione giornaliera.

Gli effetti immediati di questa situazione sono tangibili in paesi in cui il break-even ( “Il punto di pareggio è un valore che indica la quantità, espressa in volumi di produzione o fatturato, di prodotto venduto necessaria a coprire i costi precedentemente sostenuti, al fine di chiudere il periodo di riferimento senza profitti né perdite.”) per l’estrazione di greggio varia sopra i 100$. Dall’Iran al Venezuela, passando per la Russia, tutte queste nazioni stanno risentendo del crollo nel valore del greggio. Gli emirati meno, dato che il loro punto di pareggio si attesta intorno ai 65$.


E’ una situazione che per alcuni paesi non è sostenibile a lungo, naturalmente non parliamo del Russia che comunque ha una buona base economica (debito pubblico basso, riserve auree elevate, molta liquidità in valuta estera), ma piuttosto di paesi come il Venezuela (break even a 160$) (1) che ricevono molto dei propri introiti dai guadagni sulla vendita del petrolio. Unendo a questa situazione, le sanzioni imposte su Caracas, ecco che potremmo trovarci di fronte ad un crack economico venezuelano (Zero Hedge pone al 93% la possibilità di un default). Senza dimenticare che anche il petrolio Iraniano è colpito da questi ribassi (break-even a 136$), con grande soddisfazione di Ryad, suo competitor regionale.

Inondare il mercato di un bene con una richiesta molto bassa (Siamo al peak della richiesta di greggio?) ha effetti di deflazione e questo risulta tangible anche agli osservatori meno attenti. Se l’economia mondiale rallenta, di conseguenza anche la necessità di energia calerà contestualmente. Se questo calo non viene corrisposto da una diminuzione nella produzione (come richiesto all’OPEC 2 settimane fa), ecco che il prezzo crolla fino al valore attuale. In un certo senso, il cittadino comune potrebbe obiettare che il prezzo al barile attuale è molto più in linea con i valori di mercato in questa fase mondiale economica. Purtroppo è solo uno dei tanti punti di vista da cui osservare questo scenario e certamente non offre una spiegazione completa.

Il deprezzamento del Rublo


Indubbiamente vi è una correlazione abbastanza forte tra la caduta nel prezzo del greggio e il crollo nel valore del Rublo. Ma anche questa teoria non offre una spiegazione sufficiente. Ci sono altri fattori che non possono essere ignorati.


Le sanzioni economiche imposte dagli Stati Uniti e l’Unione europea impediscono concessione di prestiti a società russe, con termini di pagamento oltre i 30 giorni. Dato che le imprese russe ottengono denaro dell’occidente a basso prezzo sin dalla fine della Guerra Fredda, le sanzioni attualmente impediscono una ristrutturazione dei prestiti precedenti e ulteriori rifinanziamenti degli stessi. Le conseguenze sono che queste aziende devono adesso comprare euro e dollari per prendersi cura dei loro prestiti , creando così più domanda di valuta estera nel mercato russo e quindi indebolendo il rublo. Da un punto di vista puramente affaristico, le aziende Russe vorrebbero vedere un comportamento diverso della banca centrale Russa, come ci spiega Alexander Mercourius:


“Quello di cui ho il sospetto, riguardo a ciò che sta succedendo, è che i maggiori speculatori contro il rublo siano proprio le banche e aziende russe che hanno una grande quantità di prestiti in dollari da ripagare prima della fine dell’anno. Invece di pagare questi debiti con le loro riserve, stanno mettendo pressione sul governo e la Banca centrale convertendo i rubli in dollari e speculando contro il rublo. E’ questo aspetto più di ogni altro fattore che ha causato la recente disfatta del rublo. A giudicare da quello che Ulyukaev dice, il governo e la Banca Centrale hanno sostanzialmente capitolato e hanno deciso di aiutare le banche conferendo loro alcune delle riserve della Banca centrale. Questo potrebbe spiegare perché l’aumento dei tassi di ieri (15/12) sia stato così inefficace e perché nelle ultime ore il rublo si sia invece rafforzato.”

 In effetti analizzando gli effetti collaterali del Bond emesso dalla Rosfnet il 12 Dicembre 2014 (625 Miliardi di Rubli – pari a 11 Miliardi di dollari al 15/12), sembrerebbe che alla fine la Banca Centrale Russa abbia ceduto e siano stati proprio loro ad acquisire questo enorme Bond, rifinanziando le scadenze dei prestiti, con le banche occidentali, della Rosfnet. Si potrebbe obiettare che gli Stati Uniti utilizzino la medesima tattica economica con la FED semplicemente stampando denaro. Il comportamento della banca centrale Russa, analogo a quello della FED , è stata una mossa obbligatoria, sia chiaro. Il problema è che il sistema globale è tarato sul Dollaro, non sul Rublo. La Russia ha utilizzato un metodo occidentale per creare soldi e ne paga le conseguenze che tanto spaventa gli Americani con il processo di De-Dollarizzazione.

 Il fattore geo-politico di questa crisi


“Non avremmo mai potuto immaginare quello che sta accadendo, si materializzano i nostri incubi peggiori. E nei prossimi giorni penso che la situazione sarà paragonabile al periodo più difficile del 2008″ – Serghiei Shvetsov, primo vice governatore della Banca centrale Russa.

La domanda più interessante da porsi è: Le Autorità Russe potevano prevedere questo attacco combinato petrolio-rublo-sanzioni ? La risposta è si e lo hanno fatto. Peccato che nessuno potesse immaginare un’accelerazione così immediata di questa strategia. Nemmeno nei più profondi incubi Russi, in 6 mesi il petrolio sarebbe diminuito di metà del suo valore e il rublo deprezzatosi per oltre il 50% in 12 mesi. Quella americana è una tattica che impone un fattore di rischio elevatissimo e che mette in pericolo l’intera economia globale, come vedremo.


Per quale motivo allora gli Stati Uniti e i loro partner sono arrivati ad intraprendere questa via così  piena di incognite ? Anche in questo caso la vi sono risposte multiple. Certamente la spinta principale riguarda la strategia geopolitica del ‘regime-change’ in paesi come Venezuela, Iran e Russia (ovvero quelli più colpite dal crollo del prezzo di Petrolio). Se con i normali metodi di softpower i risultati sono stati poco apprezzabili (l’Iran vola verso l’accordo 5+1, Assad è sempre più solido in Siria, Putin sempre più apprezzato in patria e Maduro è riuscito a riguadagnare le redini del paese dopo un periodo di instabilità seguita alla morte di Chavez e alla porteste artificiali estive), in chiave economica la leva per ottenere questi cambiamenti aumenta notevolmente, ma anche i rischi. Il crollo della valuta, la diminuzione delle revenues dal greggio, l’aumento dei prezzi, l’aumento dell’inflazione, la diminuzione potere di acquisto e così via sono l’arma con cui l’America è convinta di poter continuare il suo ruolo egemone nel mondo. Indurre ad un crollo interno nazioni rivali grazie ad una combinazione di fattori (Sanzioni, Petrolio, Valuta).

Quali sono i rischi di questa strategia ?


Dopo aver analizzato le motivazioni e i metodi utilizzati per perseguire questa strategia Kamikaze, passiamo alla parte certamente più interessante ma anche più inquietante: i rischi. La crisi Ucraina, l’unione eurasiatica, la de-dollarizzazione e i mega accordi stipulati tra i paesi Brics hanno spinto ad una reazione violenta Washington, in un gioco da ‘rischia tutto’.


Il fattore che si porta dietro le maggiori incognite ma anche i maggiori timori è il mercato dello Shale Gas/Oil americano. Innalzato come vessillo dell’indipendenza energetica americana, bramato come arma per transitare dal medio-oriente verso l’asia (parte della strategia del “Asian Pivot”), innegabilmente ha giocato (e tutt’ora recita) un ruolo primario nei piani dei policy makers a Washington.

Eppure ciò che viene abilmente taciuto dai media mainstream riguarda gli effetti collaterali, sul mercato dello shale gas, di un prezzo così basso del petrolio. Il punto di pareggio per questi nuovi metodi di estrazione è intorno agli 80-85$ a barile. Risulta semplice comprendere quindi che con un prolugarsi dei prezzi così bassi, gli effetti saranno devastanti per tutto il mercato dello Shale in USA (il primo caso di questo genere è già avvenuto, la Red Fork Energy Australiana ieri è entrata in amministrazione controllata)

 Se fossero solo queste le conseguenze, potremmo anche considerarle irrilevanti. I problema nasce quando ci si focalizza sui prestiti che questa aziende non riusciranno a restituire alle banche creditrici. Un default del settore scatenerebbe un meccanismo a cascata che finirebbe per intaccare la madre di tutte le bolle speculative: i derivati in pancia alle Banche occidentali. 

Il grande rischio globale che gli Stati Uniti si stanno prendendo in carico per mantenere la loro egemonia globale non è molto diversa da un attacco nucleare preventivo (pare una dottrina da first strike in chiave economica). Se il prezzo del petrolio (artificiosamente manipolato) dovesse trascinarsi nell’abisso l’industria dello Shale Gas Americano, tutti i prestiti da rimborsare alle banche USA andrebbero in fumo. Con loro tutto il mercato dei derivati.

Diamo dei numeri a queste parole e vediamo QUANTI di questi strumenti finanziari, le banche americane possiedono:

JPMorgan Chase

  • Attività totali: $ 2,520,336,000,000 (circa 2,5 triliardi di dollari)
  • L’esposizione totale ai derivati: $ 68,326,075,000,000 ( più di 68 triliardi di dollari )

Citibank

  • Attività totali: $ 1,909,715,000,000 (poco più di 1,9 triliardi di dollari)
  • L’esposizione totale ai derivati: $ 61,753,462,000,000 ( più di 61 triliardi di dollari )

Goldman Sachs

  • Attività totali: 860.008 milioni dollari (meno di un trilione di dollari)
  • L’esposizione totale ai derivati: $ 57,695,156,000,000 ( più di 57 triliardi di dollari )

Bank Of America

  • Attività totali: $ 2,172,001,000,000 (un po ‘più di 2,1 triliardi di dollari)
  • L’esposizione totale ai derivati: $ 55,472,434,000,000 ( più di 55 triliardi di dollari )

Morgan Stanley

  • Attività totali: 826,568 miliardi dollari (meno di un triliardo di dollari)
  • L’esposizione totale ai derivati: $ 44,134,518,000,000 ( più di 44 triliardi di dollari )

Un paragone utile per realizzare pienamente di quali numeri stiamo parlando: il debito pubblico americano ammonta a 18 Triliardi di dollari. Il mercato dei derivati delle sole 6 banche più grandi USA ammonta a quasi 16 volte il debito americano.

Siamo di fronte quindi all’ennesimo dilemma già posto nella crisi finanziaria del 2008: lasciar fallire le banche o salvarle ? In questo caso ci sono due possibili strade da percorrere: Stampare moneta (la FED) senza preoccuparsi dell’aumentare proprio debito pubblico (l’esempio usato è il Giappone con il 300% di debito pubblico) oppure lasciar fallire le banche, trascinando nel vortice tutta l’economia Americana, Europea e probabilmente globale.


Dando per assodato che la manipolazione del Petrolio e di conseguenza del Rublo sono una mossa geopolitica, qual è la strategia vincente che Washington spera di ottenere, senza provocare un collasso globale dell’economia ? Favorire un regime change in Venezuela, Iran e Russia in breve tempo oppure obbligare queste nazioni a scendere a patti con i diktat occidentali. E’ importante notare che il tempo NON è dalla parte dell’occidente. Il motivo è legato alle argomentazioni esposte sopra: un prezzo del greggio così basso manderebbe in malora il mercato dello Shale gas, causando un effetto a catena che annienterebbe le maggiori banche USA e potrebbe attivare la più grande bolla speculativa della storia umana, i derivati, che provocherebbero una crisi economica di fronte a cui quella nel 2008 verrebbe ricordata come una passeggiata.

C’è un fattore che conta più di ogni altra ed è considerata dagli USA come la vera chiave di volta di questa strategia. Se anche il mercato dello Shale arrivasse al collasso e le banche USA dovessero essere salvate nuovamente (come richiesto da loro stesse già l’11 Dicembre), la soluzione potrebbe essere quella di semplicemente stampare più soldi dalla FED e aumentare il debito pubblico americano. Si potrebbe obbiettare che questo diminuirebbe nettamente la credibilità del Dollaro stesso. E’ un argomento di dibattito e nessuno ha una risposta certa. 

Sicuramente in USA sono convinti che se questa tattica dovesse avere successo e portare ad un regime change e collasso economico della Russia, la Cina sarebbe costretta a “ritornare all’ovile” (avendo perso il suo alleato numero 1), garantendo quindi solidità ai buoni del tesoro USA (la credibilità del dollaro dipende molto dalla Cina a causa dell’elevata quantità di BTP americani detenuti dai cinesi) e quindi alla credibilità del dollaro stesso (persino in una situazione in cui il debito pubblico dovesse passare da 16 a 36 triliardi di dollari).

Il problema di fondo resta sempre geopolitico. La visione egemonica che gli USA hanno e che vogliono mantenere. Al momento non hanno altri mezzi per combattere un cambiamento globale che sta transitando l’umanità in una fase non più unipolare (in cui gli americani erano l’unica super-potenza) ma multipolare (più attori sulla scena mondiale). Siamo alla resa dei conti e la deriva attuale ci pone davanti ad un rischio incalcolabile per l’intera economia globale… ne vale davvero la pena ?


Nota di Selvas
 /1/ 
Alcuni autori quantificano questo dato in 120 $ ed altri in 90 $. C'è una certa approssimazione o intossicazione proveniente da fonti interessate o malintenzionate. Una semplice osservazione: se fossero daei attendibili, significherebbe che il Venezuela ha sempre lavorato in perdita, poichè negli ultimi 20 anni, il barile è sempre stato al di sotto dei 120$. C'è di più, Chàvez ha sempre ripetuto che 100$ è la quotazione ottimale per i paesi produttori e consumatori.
Di fronte alla quotazione più bassa raggiunta negli ultimi 5 anni, le autorità di Caracas hanno reagito senza precipitazione, forse con flemma. Ancor oggi -17/12- continuano a sussidiare il prezzo della benzina con 17,8 miliardi di dollari, e la nafta con 13,9 miliardi di dollari.  Le difficoltà interne nella catena commerciale,  sono più il frutto della guarimba (rivoluzione colorata) del primo trimestre dell'anno, che della caduta del prezzo del greggio dell'ultimo mese.

Non sembra un governo preoccupato da un default, nonostante le agenzie dell'anonima banchieri d'occidente abbia qualificato i titoli del debito come "spazzatura". Quel che importa è che il Venezuela non si rivolge a loro per ottenere finanziamento, ha altre fonti nel seno del BRICS, in primis la Cina. Ha diversificato il pacchetto dei clienti, e di fronte a pressioni maggiori di Washington o embargo, dispone della carta delle raffinerie della statale CITGO e la rete di stazioni di benzina operanti nel sudest degli Stati Uniti.

Settimana scorsa, i media avevano diffuso a Hongkong e Singapore che Caracas -per "far cassa"- aveva alla  venduto alla Cina un isolotto dei Caraibi a cambio di 50 miliardi di dollari cash. Immediata smentita del viceministro economico di Pechino che rimise al suo posto i "terroristi finanziari"










3 comentarios:

  1. Caro Tito, tu scrivi: Le difficoltà interne nella catena commerciale, sono più il frutto della guarimba (rivoluzione colorata) del primo trimestre dell'anno, che della caduta del prezzo del greggio dell'ultimo mese. E' vero che la guarimba e la "guerra economica" come si usa dire in venezuela hanno influito sulle difficoltà commerciali, ma il motivo principale è un altro: nel 2012 Venezuela ha investito 65 miliardi in importazioni; nel 2013 solo 43 miliardi (e le importazioni non sono state sostituite da produzione interna) per cui scarsita' di beni ed aumento dell'inflazione. Ovviamente nel 2013 (e fino ad agosto 2014) non c'erano problemi di prezzi bassi del petrolio. Perchè questa riduzione dei soldi destinati alle importazioni? Sono aumentate le quote del debito in scadenza; solo ad ottobre 2014, per esempio, il governo ha pagato debiti per 9 miliardi. Se aumenta una spesa (quella del debito), dovra effettuare tagli di altre spese (le importazioni). E' importante analizzare i dati del debito.

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  2. El mercado de derivados de los seis bancos más grandes EE.UU. asciende a casi 16 veces la deuda de Estados Unidos.

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  3. Ancor oggi, il governo di Caracas non sembra allarmato dal dimezzamento del prezzo del barile. Non ha affanni. Al punto che non ha adottato neppure correttivi correnti, tagli, nemmeno nel caso specifico della benzina. Sebbene sia regalata e ormai -a furor di popolo- si esige l'aumento.
    Il governo non sembra preoccupato per recuperare qualcosa di quei 55 miliardi di dollari con cui sovvenziona benzina, nafta ed elettricità. Sono irresponsabili e scellerati?

    Sul "dato ballerino" del prezzo ottimale del crudo per il Venezuela, beh...sai, è cosa condizionata da troppe variabili, soprattutto geopolitiche.

    Calo delle importazioni? Certo,ci sono e come. Includono anche i sussidi all'acquisto di fiammanti 4x4, che costuiscono la metà dei veicoli circolanti in Venezuela.E' tanta roba,e la classe media li ha comprati grazie ai dollari quotati 4,30 o 8 bolivares!!!! Generosamente e irresponsabimente forniti dalla vituperato "tirannia populista". Sono personalmente contento di "questa" diminuzione dell'import.

    I numeri e le statistiche non sono dogmi roboanti, e nascondono cose che andrebbero segnalate e interpretate. Cose talvolta assai diverse dall'immaginato o da quel che uno desidera.

    Altrimenti è semplicemente impossibile spiegarsi come Cuba abbia resistito più di mezzo secolo, nonostante fosse condannata senza scampo dalle statistiche.

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