....Il libro di Enrico Pugliese [2], “Quelli
che se ne vanno” analizza l'emigrazione italiana. Quella di cui tutti
parlano e nessuno presta attenzione veramente, forse sperando che sia un
fenomeno transitario. In questi ultimi anni, i politici di ogni
provenienza l'hanno salutata come un fenomeno positivo di integrazione
europea apponendo firme su firme ai vari trattati europei dal processo
di Lisbona a quello di Bologna. In effetti, per loro, meglio milioni di
giovani sparsi tra Francia, Inghilterra e Germania che milioni di
disoccupati concentrati nel paese di origine. Se qualcuno ne ha
Le menti più geniali e
brillanti d'Italia hanno preferito spendersi altrove perchè troppo poco
valorizzate e salariate. Verissimo, ma dai dati statistici sembra che
questi siano solo il 30% dei giovani che lasciano il paese. Il 70% hanno
un livello di istruzione inferiore alla laurea. Il testo ci spiega
perchè l'emigrazione italiana verso il Nord o all'estero è, invece, per
la maggioranza proletaria.
...Ci sono delle differenze
sostanziali, infatti, se si mettono a confronto i dati Istat e quelli
dei paesi di arrivo. Come sottolinea Pugliese, dal confronto risultano
valori superiori al 400%. Secondo i dati Istat tra il 2008 e il 2016
hanno lasciato l'Italia circa 700.000 persone che probabilmente superano
il milione se il dato Istat non fosse sottostimato. Ogni anno partano
sempre più persone e ne tornano sempre di meno. L'Italia è all'8°posto
della classifica mondiale per numero di emigrati preceduto da paesi
enormi come la Cina e l'India e da paesi colpiti dalla guerra come la
Siria.
Ma chi sono questi
emigranti? La maggior parte sono giovani che a differenza della grande
emigrazione intereuropea del secolo scorso sono alla loro prima
esperienza lavorativa. La regione capofila da dove provengono gli
emigranti è settentrionale, la Lombardia, da poco raggiunta dal Lazio.
Un fatto inedito che da un lato vuol dire che l'emigrazione proviene
anche dalla forte crisi dei distretti industriali del Nord, dall'altra
che si è prodotta, secondo il sociologo, una sorta di emigrazione di
rimbalzo.
I Meridionali vanno nelle regioni del Nord come tappa
intermedia per poi r-emigrare in Europa. Il Mezzogiorno come in passato
continua ad avere “il ruolo di area fornitrice di manodopera necessaria
per lo sviluppo delle altre regioni e per paesi stranieri allo stesso
modo di mezzo secolo addietro all'epoca delle grandi migrazioni
intereuropee quando a trainare l'economia e ad attirare immigrati era lo
sviluppo industriale nella sua fase fordista”.
Ci
sono delle differenze importanti da sottolineare. La prima che se,
all'epoca, il lavoro degli emigrati ha trascinato il Sud permettendo
l'uscita di queste regioni dalla miseria contadina, oggi, questo non è
assolutamente dato. Nei paesi europei i giovani lasciano precariato per
trovare altro precariato. Gli emigrati italiani sono quella componente
della classe sulla quale si scaricano le difficoltà del mercato del
lavoro delle economie avanzate.
Sono i primi ad essere espulsi nei
momenti di crisi. Infatti, l'Europa domanda lavoro a basso livello di
produttività, a basso costo di lavoro e con una maggiore flessibilità.
La maggior parte degli emigrati raggiungono l'Inghilterra, la Germania e
la Francia. Tutti e tre i paesi fanno largo uso di contratti
flessibili. In Inghilterra gli stranieri vengono assunti con il
cosiddetto contratto a zero ore, in Germania con i mini jobs mentre in
Francia sono recenti le riforme che deregolarizzano il mercato del
lavoro, oggetto di grossi conflitti negli ultimi anni.
Inoltre, è
appurato da alcuni recenti studi che nei paesi europei, compreso il
nostro, si è consolidata una discriminazione dal punto di vista
lavorativo dell'origine nazionale. I settori dove per lo più sono
occupati gli Italiani sono quelli della ristorazione e della sanità.
...Quindi al di là delle paventate tesi sulla digitalizzazione, industria 4.0 ecc ecc, l'Italia è il paese della terza Europa di recente sorpassato anche dalla Spagna. Questo mancato investimento ha portato da un lato alla deindustrializzazione, all'esternalizzazione, ad una struttura produttiva obsoleta e agli scalini più bassi della gerarchia produttiva europea, dall'altro a subire la crisi come non mai che ha prodotto alti livelli di disoccupazione e l'emigrazione forzata. Come i paesi “sottosviluppati” per il mondo noi siamo i “sottosviluppati” d'Europa.
testo integrale qui
1 I termini “sviluppato” e “sottosviluppato” li metteremo tra virgolette per sottolineare il punto di vista capitalista del loro significato non certo il nostro
2 Puglese E. Quelli che se ne vanno, il Mulino, Bologna, 2018. Enrico Pugliese è professore emerito di Sociologia del lavoro della Sapienza ed è stato direttore dell'Istituto di Ricerche sulla popolazione e le politiche sociali del CNR
3 Ad esempio con tutta la retorica prodotta all'indomani del voto sul reddito che vederebbe ancora una volta i meridionali tacciati come scrocconi. Oppure la diffusione delle fake news sulle file per il reddito agli sportelli all'Inps ecc ecc
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