martes, 12 de febrero de 2019

L’Italia come il Venezuela

  Carlo Formenti  “Macron ritira l’ambasciatore (non avendo digerito l’incontro fra Di Maio e i gilet gialli); il Fondo monetario internazionale mette in guardia sulle difficoltà (sottinteso: provocate dalle sia pur timide prese di distanza dal pensiero unico neoliberista in tema di spesa pubblica) d’una economia italiana che rischiano di innescare un effetto domino su quella mondiale; i media
ammoniscono contro l’isolamento del nostro Paese che si è allontanato dal campo occidentale rifiutando di schierarsi contro Maduro.
L’Italia come il Venezuela insomma, due nazioni che, sia pure profondamente diverse per peso economico, cultura, storia, profilo ideologico dei rispettivi governi “fanno macchia” nel blocco degli interessi geopolitici di un campo occidentale in crisi a causa di scelte economiche suicide, dell’indebolimento nei confronti delle potenze eurasiatiche, delle migrazioni di massa e della rabbia delle sue classi medie impoverite.
Un blocco che reagisce con ferocia per mantenere la propria egemonia scatenando una vera e propria propaganda bellica contro i “disertori”. Guerra aperta nel caso del Venezuela dove, non essendo riusciti a piegare il Paese con un assedio economico finalizzato a ridurlo alla fame, si ricorre a un golpe preludio alla guerra civile e/o a un intervento esterno camuffato (ricordate l’Iraq e i Balcani?) da “guerra umanitaria”.
Guerra meno aperta all’Italia che, imbrigliata com’è nella gabbia dei Trattati europei, si spera di poter ricondurre alla ragione senza ricorrere ai drastici metodi usati per stroncare le svolte anti liberiste in America Latina. Il tratto comune fra le due situazioni sotto attacco è la veste economica dietro cui si cerca di camuffare l’aggressione politica.
Nel caso venezuelano è evidente che la crisi, al netto degli errori anche gravi commessi dal governo Maduro, è in larga misura il frutto delle strategie congiunte di Stati Uniti ed Europa per strangolare l’economia di quel Paese (sul modello del bloqueo contro Cuba), nel caso italiano l’uso del termine “contagio” da parte del FMI è sintomatico: qui si parla di politica, non di economia (che non è in recessione solo nell’Italia “spendacciona”, ma in tutta Europa, a partire dalla Germania, dove regna incontrastata la linea dell’austerity), il contagio cui si allude è quello che potrebbe indurre altri Paesi europei a cambiare rotta, a fare altre scelte POLITICHE perché, per chi non se ne fosse accorto, nell’era del capitalismo globalizzato e finanziarizzato, le crisi affondano le radici nella politica assai più che in presunte “leggi” economiche.”

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