E' un testo lungo -del gruppo Chuǎng- ma ricco di informazioni concrete e dati veraci della situazione e della vita interna della Cina. Prima e dopo Wuhan, vale a dire tra la fase terminale del globalismo e il post-liberismo. E' anche una diagnosi sulle conseguenze dell’epidemia Covid-19 in
Cina, dove l’attuale crisi sanitaria, ormai globale, si e’ manifestata
per prima. E’ un’analisi critica approfondita, capace di mostrare l’intreccio tra dimensione
“naturale”, ambientale e micro-biologica, con la dimensione sociale. In filigrana, appare la
dinamica del capitalismo contermporaneo. Questo rilevante contributo e' opera gruppo Chuǎng,
impegnato nella comprensione critica della situazione cinese
per tutti coloro che, come scrivono, “vogliono rompere i confini del
macello chiamato capitalismo”. (Traduzione a cura della redazione del Cuneo rosso).
Wuhan è conosciuta volgarmente come una
delle “quattro fornaci” (四大 火炉) della Cina per la sua opprimente estate
calda e umida, che condivide con Chongqing, Nanchino e alternativamente
Nanchang o Changsha, tutte città molto trafficate con una lunga storia,
situate lungo o in prossimità della valle del fiume Yangtze. Delle
quattro, Wuhan è anche letteralmente ricoperta di fornaci: l’enorme
agglomerato urbano costituisce una sorta di nucleo produttivo per
l’acciaio, il cemento e altre industrie legate all’edilizia in Cina, il
suo paesaggio è punteggiato dagli altiforni a raffreddamento lento delle
ultime fonderie di ferro e acciaio di proprietà statale, ora prostrate
dalla sovrapproduzione e costrette a un nuovo controverso ciclo di
ridimensionamento, privatizzazione e generale ristrutturazione, che
negli ultimi cinque anni ha provocato numerosi scioperi e proteste.
La città è sostanzialmente la capitale cinese della produzione per l’edilizia, il che significa che ha avuto un ruolo particolarmente importante nel periodo successivo alla crisi economica mondiale, durante gli anni in cui la crescita cinese è stata stimolata dalla concentrazione dei fondi di investimento nella costruzione di infrastrutture e di immobili. Wuhan non solo ha alimentato questa bolla, con un’offerta eccessiva di materiali da costruzione e ingegneri civili, ma, in questo modo, ha avuto essa stessa una rapidissima espansione urbana. Secondo i nostri calcoli, nel 2018-2019 l’area totale dedicata ai cantieri di Wuhan era pari alla superficie dell’intera isola di Hong Kong.
La città è sostanzialmente la capitale cinese della produzione per l’edilizia, il che significa che ha avuto un ruolo particolarmente importante nel periodo successivo alla crisi economica mondiale, durante gli anni in cui la crescita cinese è stata stimolata dalla concentrazione dei fondi di investimento nella costruzione di infrastrutture e di immobili. Wuhan non solo ha alimentato questa bolla, con un’offerta eccessiva di materiali da costruzione e ingegneri civili, ma, in questo modo, ha avuto essa stessa una rapidissima espansione urbana. Secondo i nostri calcoli, nel 2018-2019 l’area totale dedicata ai cantieri di Wuhan era pari alla superficie dell’intera isola di Hong Kong.
Ma adesso questa fornace, che dopo la
crisi [del 2008] è stata il motore dell’economia cinese, sembra che si
stia raffreddando, proprio come le fornaci delle sue fonderie di ferro e
acciaio. Anche se questo processo era già iniziato, non è più una
semplice metafora economica, poiché la città, un tempo così movimentata,
è stata isolata per oltre un mese, con le sue strade svuotate da un
ordine del governo: “Il più grande contributo che potete dare è di non
riunirvi e di non provocare caos ”, è questo che si legge sulla prima
pagina del Guangming Daily, un quotidiano gestito dal
Dipartimento di propaganda del Partito comunista cinese.
Adesso, i nuovi ampi viali di Wuhan e gli scintillanti edifici in acciaio e vetro che li contornano sono tutti freddi e vuoti, mentre l’inverno volge al termine con il Capodanno lunare e la città vegeta a causa dell’imposizione di una vasta quarantena. Isolarsi è un buon consiglio per chiunque si trovi in Cina, dove lo scoppio del nuovo coronavirus (recentemente ribattezzato “SARS-CoV-2” e la sua malattia “COVID-19”) ha ucciso più di duemila persone, più del suo predecessore, l’epidemia di SARS del 2003. L’intero paese è bloccato, come durante la SARS. Le scuole sono chiuse e le persone sono confinate nelle loro case in tutto il paese.
Quasi tutte le attività economiche si sono fermate il 25 gennaio per le vacanze del Capodanno lunare, ma la pausa è stata prolungata per un mese per rallentare la diffusione dell’epidemia. Le fornaci cinesi sembrano aver smesso di bruciare, o almeno sono state ridotte a carboni ardenti. In un certo senso, però, la città è diventata un altro tipo di fornace, perché il coronavirus brucia attraverso la massa della sua popolazione ovviamente come una febbre.
Adesso, i nuovi ampi viali di Wuhan e gli scintillanti edifici in acciaio e vetro che li contornano sono tutti freddi e vuoti, mentre l’inverno volge al termine con il Capodanno lunare e la città vegeta a causa dell’imposizione di una vasta quarantena. Isolarsi è un buon consiglio per chiunque si trovi in Cina, dove lo scoppio del nuovo coronavirus (recentemente ribattezzato “SARS-CoV-2” e la sua malattia “COVID-19”) ha ucciso più di duemila persone, più del suo predecessore, l’epidemia di SARS del 2003. L’intero paese è bloccato, come durante la SARS. Le scuole sono chiuse e le persone sono confinate nelle loro case in tutto il paese.
Quasi tutte le attività economiche si sono fermate il 25 gennaio per le vacanze del Capodanno lunare, ma la pausa è stata prolungata per un mese per rallentare la diffusione dell’epidemia. Le fornaci cinesi sembrano aver smesso di bruciare, o almeno sono state ridotte a carboni ardenti. In un certo senso, però, la città è diventata un altro tipo di fornace, perché il coronavirus brucia attraverso la massa della sua popolazione ovviamente come una febbre.
A torto, l’epidemia è stata incolpata di
tutto, dalla fuoriuscita di un ceppo di virus dall’Istituto di Virologia
di Wuhan, a causa di una cospirazione o di un incidente – una
affermazione discutibile diffusa dai social media, in particolare
tramite messaggi paranoici postati su Facebook da Hong Kong e Taiwan, ma
ora sostenuta da organi di stampa conservatori e dagli interessi
militari in Occidente – alla propensione dei cinesi a mangiare cibi
“sporchi” o “strani”, poiché l’epidemia virale è collegata a pipistrelli
o serpenti venduti in un “mercato umido” semi-illegale, specializzato
in fauna selvatica e altri animali rari (sebbene questa non sia la fonte
ultima dell’epidemia).
Entrambe queste spiegazioni sono una testimonianza dell’evidente atteggiamento bellicista e orientalista che caratterizza i rapporti sulla Cina [provenienti da Occidente], e numerosi articoli hanno sottolineato questo fatto fondamentale. Ma anche queste risposte tendono a concentrarsi unicamente sulla questione della percezione del virus in ambito culturale, dedicando molto meno tempo a scavare più a fondo nelle dinamiche di gran lunga più brutali che sottostanno all’accanimento dei media.
Entrambe queste spiegazioni sono una testimonianza dell’evidente atteggiamento bellicista e orientalista che caratterizza i rapporti sulla Cina [provenienti da Occidente], e numerosi articoli hanno sottolineato questo fatto fondamentale. Ma anche queste risposte tendono a concentrarsi unicamente sulla questione della percezione del virus in ambito culturale, dedicando molto meno tempo a scavare più a fondo nelle dinamiche di gran lunga più brutali che sottostanno all’accanimento dei media.
Una variante leggermente più complessa
include almeno le conseguenze economiche, anche se ne ingigantisce in
modo retorico le potenziali ripercussioni sul piano politico. In questo
caso, troviamo i soliti sospetti, che vanno dai classici politicanti che
partono alla caccia del dragone cinese fino alla finta reazione
scioccata dei piani alti del liberalismo: le agenzie di stampa, dalla National Review al New York Times,
hanno già insinuato che l’epidemia potrebbe provocare una “crisi di
legittimità” per il PCC, nonostante nell’aria ci sia a malapena un
soffio di rivolta.
Tuttavia in queste previsioni c’è un fondo di verità, che sta nel comprendere le dimensioni economiche della quarantena, qualcosa che difficilmente potrebbe non essere notato da giornalisti con portafogli azionari più grossi dei loro cervelli. Perché il fatto è che, nonostante l’appello del governo a isolarsi, le persone potrebbero presto essere costrette, invece, a “riunirsi” per far fronte alle necessità della produzione. Secondo le ultime stime, già nel corso di quest’anno l’epidemia causerà un rallentamento del tasso di crescita del PIL della Cina, portandolo al 5%, al di sotto del già stagnante 6% dell’anno scorso -il tasso più basso degli ultimi tre decenni.
Alcuni analisti hanno affermato che la crescita del primo trimestre potrebbe scendere del 4 percento o anche oltre, e che ciò potrebbe innescare una specie di recessione globale. Da qui è sorta una domanda in precedenza inconcepibile: cosa succederà effettivamente all’economia globale quando la fornace cinese inizierà a raffreddarsi?
Tuttavia in queste previsioni c’è un fondo di verità, che sta nel comprendere le dimensioni economiche della quarantena, qualcosa che difficilmente potrebbe non essere notato da giornalisti con portafogli azionari più grossi dei loro cervelli. Perché il fatto è che, nonostante l’appello del governo a isolarsi, le persone potrebbero presto essere costrette, invece, a “riunirsi” per far fronte alle necessità della produzione. Secondo le ultime stime, già nel corso di quest’anno l’epidemia causerà un rallentamento del tasso di crescita del PIL della Cina, portandolo al 5%, al di sotto del già stagnante 6% dell’anno scorso -il tasso più basso degli ultimi tre decenni.
Alcuni analisti hanno affermato che la crescita del primo trimestre potrebbe scendere del 4 percento o anche oltre, e che ciò potrebbe innescare una specie di recessione globale. Da qui è sorta una domanda in precedenza inconcepibile: cosa succederà effettivamente all’economia globale quando la fornace cinese inizierà a raffreddarsi?
Nella stessa Cina, è difficile prevedere
quale sarà la parabola finale di questa vicenda, ma quanto sta accadendo
ha già prodotto a livello collettivo un processo piuttosto raro:
interrogarsi sulle questioni e informarsi sui fatti della società.
L’epidemia ha infettato direttamente quasi 80.000 persone (secondo le
stime più prudenti), ma ha provocato uno shock nella vita quotidiana
sotto il capitalismo per 1 miliardo e 400 milioni di persone,
intrappolate in un momento di precaria auto-riflessione. Questo momento,
anche se pieno di paura, ha indotto tutti a interrogarsi
contemporaneamente su alcune questioni profonde: cosa mi succederà? I
miei figli, la mia famiglia e i miei amici? Avremo abbastanza cibo?
Verrò pagato? Pagherò l’affitto? Chi è responsabile di tutto questo?
In un modo strano, l’esperienza soggettiva è in qualche maniera simile a quella di uno sciopero di massa – ma è un’esperienza che, nel suo carattere non spontaneo, imposto dall’alto verso il basso e, soprattutto, nella sua non volontaria iperatomizzazione, illustra i dilemmi fondamentali del nostro stesso presente politico asfissiato in maniera evidente, così come gli autentici scioperi di massa del secolo scorso hanno messo in luce le contraddizioni della loro epoca. La quarantena, quindi, è come uno sciopero ma svuotato dei suoi caratteri collettivi, e tuttavia in grado di provocare un profondo shock sia a livello psicologico, che economico. Questo fatto già di per sé la rende degna di riflessione.
In un modo strano, l’esperienza soggettiva è in qualche maniera simile a quella di uno sciopero di massa – ma è un’esperienza che, nel suo carattere non spontaneo, imposto dall’alto verso il basso e, soprattutto, nella sua non volontaria iperatomizzazione, illustra i dilemmi fondamentali del nostro stesso presente politico asfissiato in maniera evidente, così come gli autentici scioperi di massa del secolo scorso hanno messo in luce le contraddizioni della loro epoca. La quarantena, quindi, è come uno sciopero ma svuotato dei suoi caratteri collettivi, e tuttavia in grado di provocare un profondo shock sia a livello psicologico, che economico. Questo fatto già di per sé la rende degna di riflessione.
Naturalmente, le speculazioni sull’imminente caduta del PCC sono delle prevedibili assurdità, uno dei passatempi preferiti di The New Yorker e The Economist.
Nel frattempo, i media stanno ricorrendo alle usuali procedure di
insabbiamento, in cui editoriali apertamente razzisti pubblicati nei
siti degli organi di stampa tradizionali sono avversati da una marea di
articoli sul web che polemizzano contro l’orientalismo e su altre
questioni ideologiche. Ma quasi tutta questa discussione rimane a
livello descrittivo – o, nella migliore delle ipotesi, affronta la
politica di contenimento e le conseguenze economiche dell’epidemia –
senza approfondire le questioni legate in primo luogo a come tali
malattie vengono prodotte, e ancora meno a come si diffondono.
Anche questo, tuttavia, non è abbastanza. Ora non è proprio il momento per esercizi stilistici da “marxisti alla Scooby-Doo”, togliendo la maschera ai cattivi per rivelare che, sì, in effetti, è stato il capitalismo che ha causato il coronavirus fin dall’inizio! Non sarebbe molto più acuto di quello che fanno i commentatori stranieri che in maniera altrettanto grossolana vanno alla ricerca di un cambio di regime. Certamente il capitalismo ne ha la colpa – ma in che modo, esattamente, la sfera socio-economica si interfaccia con quella biologica e quali lezioni più profonde si possono trarre da tutta questa esperienza?
Anche questo, tuttavia, non è abbastanza. Ora non è proprio il momento per esercizi stilistici da “marxisti alla Scooby-Doo”, togliendo la maschera ai cattivi per rivelare che, sì, in effetti, è stato il capitalismo che ha causato il coronavirus fin dall’inizio! Non sarebbe molto più acuto di quello che fanno i commentatori stranieri che in maniera altrettanto grossolana vanno alla ricerca di un cambio di regime. Certamente il capitalismo ne ha la colpa – ma in che modo, esattamente, la sfera socio-economica si interfaccia con quella biologica e quali lezioni più profonde si possono trarre da tutta questa esperienza?
In questo senso, l’epidemia offre due
opportunità di riflessione.
In primo luogo, ci dà la possibilità di riesaminare le questioni sostanziali sul modo in cui la produzione capitalistica si rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il “mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la produzione (perché, in effetti, i due ambiti non sono separati). Allo stesso tempo, questo ci ricorda che l’unico comunismo degno di questo nome è quello che include in sé il potenziale di un naturalismo pienamente politicizzato. In secondo luogo, possiamo usare ugualmente questo momento di isolamento per una sorta di nostra riflessione sullo stato presente della società cinese.
Alcune cose diventano chiare solo quando tutto si interrompe in modo inaspettato, e un rallentamento di questo tipo può rendere visibili le tensioni fino a quel momento occultate. Andiamo quindi ad esplorare entrambe queste questioni, e a mostrare non solo come sia l’accumulazione capitalistica a produrre tali epidemie, ma anche come il momento della pandemia sia esso stesso un esempio contraddittorio di crisi politica, poiché rende visibili alle persone le potenzialità e le dipendenze invisibili del mondo che le circonda, offrendo allo stesso tempo una scusa ulteriore per estendere ancor più i sistemi di controllo nella vita di tutti i giorni.
In primo luogo, ci dà la possibilità di riesaminare le questioni sostanziali sul modo in cui la produzione capitalistica si rapporta al mondo non umano a un livello più fondamentale: in breve, come il “mondo naturale”, compresi i suoi substrati microbiologici, non possa essere compreso senza fare riferimento al modo in cui la società organizza la produzione (perché, in effetti, i due ambiti non sono separati). Allo stesso tempo, questo ci ricorda che l’unico comunismo degno di questo nome è quello che include in sé il potenziale di un naturalismo pienamente politicizzato. In secondo luogo, possiamo usare ugualmente questo momento di isolamento per una sorta di nostra riflessione sullo stato presente della società cinese.
Alcune cose diventano chiare solo quando tutto si interrompe in modo inaspettato, e un rallentamento di questo tipo può rendere visibili le tensioni fino a quel momento occultate. Andiamo quindi ad esplorare entrambe queste questioni, e a mostrare non solo come sia l’accumulazione capitalistica a produrre tali epidemie, ma anche come il momento della pandemia sia esso stesso un esempio contraddittorio di crisi politica, poiché rende visibili alle persone le potenzialità e le dipendenze invisibili del mondo che le circonda, offrendo allo stesso tempo una scusa ulteriore per estendere ancor più i sistemi di controllo nella vita di tutti i giorni.
Sotto le quattro “fornaci”, quindi, si trova una fornace ancora più importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall’agricoltura e dall’urbanizzazione proprie del capitalismo.
La produzione di epidemie
Il virus che è all’origine dell’attuale
epidemia (SARS-CoV-2), così come il suo predecessore SARS-CoV del 2003,
l’influenza aviaria e ancora prima l’influenza suina, è germogliato
dall’incrocio tra economia ed epidemiologia. Non è un certo caso che
così tanti di questi virus abbiano preso il nome di animali: la
diffusione di nuove malattie tra la popolazione umana è quasi sempre il
prodotto di quello che viene chiamato trasferimento zoonotico, che è un
modo tecnico per dire che queste infezioni passano dagli animali agli
umani. Questo salto da una specie all’altra è condizionato da fattori
come la vicinanza e la regolarità del contatto, che costruiscono
l’ambiente in cui la malattia è costretta ad evolversi. Quando questa
interfaccia tra uomo e animale cambia, si modificano anche le condizioni
in cui si evolvono queste malattie.
Sotto le quattro “fornaci” [le quattro città cinesi, tra cui Wuhan, di cui si è detto all’inizio], quindi, si trova una fornace ancora più importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall’agricoltura e dall’urbanizzazione proprie del capitalismo. È questo il substrato ideale nel quale le epidemie nascono, si trasformano, compiono dei balzi zoonotici sempre più devastanti, e poi sono veicolate in modo aggressivo attraverso la popolazione umana. A ciò si aggiungono dei processi altrettanto intensi che si verificano ai margini dell’economia, in cui ceppi “selvaggi” vengono più di recente in contatto con persone spinte a incursioni agro-economiche sempre più estese negli ecosistemi locali.
Il coronavirus, nelle sue origini “selvagge” e nella sua improvvisa diffusione attraverso un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato dell’economia globale, rappresenta le due dimensioni della nostra nuova era di epidemie politico-economiche.
Sotto le quattro “fornaci” [le quattro città cinesi, tra cui Wuhan, di cui si è detto all’inizio], quindi, si trova una fornace ancora più importante, che sta alla base degli hub industriali di tutto il mondo: la pentola a pressione evolutiva costituita dall’agricoltura e dall’urbanizzazione proprie del capitalismo. È questo il substrato ideale nel quale le epidemie nascono, si trasformano, compiono dei balzi zoonotici sempre più devastanti, e poi sono veicolate in modo aggressivo attraverso la popolazione umana. A ciò si aggiungono dei processi altrettanto intensi che si verificano ai margini dell’economia, in cui ceppi “selvaggi” vengono più di recente in contatto con persone spinte a incursioni agro-economiche sempre più estese negli ecosistemi locali.
Il coronavirus, nelle sue origini “selvagge” e nella sua improvvisa diffusione attraverso un nucleo fortemente industrializzato e urbanizzato dell’economia globale, rappresenta le due dimensioni della nostra nuova era di epidemie politico-economiche.
L’idea di base qui esposta è sviluppata in
modo molto approfondito da alcuni biologi di sinistra come Robert G.
Wallace, il cui libro Big Farms Make Big Flu,
pubblicato nel 2016, spiega in maniera esauriente la connessione tra il
settore agroalimentare capitalistico e l’eziologia delle recenti
epidemie, che vanno dalla SARS all’Ebola [i]. Queste
epidemie possono essere raggruppate in due categorie: la prima trova la
sua origine nel cuore della produzione agro-economica, la seconda nel
suo entroterra. Nel tracciare la diffusione di H5N1, noto anche come
influenza aviaria, Wallace riassume diversi fattori chiave della
geografia per quelle epidemie che hanno origine nel cuore della
produzione:
“I paesaggi
rurali di molti dei paesi più poveri sono ora caratterizzati da attività
produttive agroalimentari non regolamentate che premono contro le
bidonvilles periubane. La trasmissione non controllata nelle aree
vulnerabili aumenta la variazione genetica con cui l’H5N1 può sviluppare
delle caratteristiche specifiche per l’uomo. Diffondendosi su tre
continenti ed evolvendosi rapidamente, l’H5N1 entra anche in contatto
con una crescente varietà di ambienti socio-ecologici, che includono
specifiche combinazioni locali di tipologie prevalenti di host, di
modalità di allevamento del pollame e di misure per la salute degli
animali” [ii].
Ovviamente, questa diffusione è guidata
dai circuiti globali delle merci e dalle migrazioni regolari di
manodopera che sono propri della geografia economica capitalista. Il
risultato è “una sorta di selezione demica sempre più intensificata”,
attraverso cui il virus si insedia con un maggior numero di percorsi
evolutivi in un tempo più breve, consentendo alle varianti più adatte di
superare le altre. Ma questo è un punto facile da chiarire,
ed è già presentato comunemente nella stampa tradizionale: il fatto che
la “globalizzazione” consente la diffusione di queste malattie in modo
più rapido, anche se con un’aggiunta importante, e cioè che lo stesso
processo di circolazione stimola anche una mutazione più rapida del
virus.
La vera questione, tuttavia, viene prima: prima che la
circolazione migliori la resilienza di queste malattie, la logica di
base del capitale permette di prendere ceppi virali precedentemente
isolati o innocui, e posizionarli in ambienti ipercompetitivi, che
favoriscono l’emergere dei fattori specifici che causano le epidemie,
come la rapidità dei cicli di vita dei virus, la capacità di compiere
salti zoonotici tra le specie portatrici e la capacità di far evolvere
rapidamente dei nuovi vettori di trasmissione. Questi ceppi tendono a
distinguersi proprio per la loro virulenza. In termini assoluti, sembra
che lo sviluppo di ceppi più virulenti avrebbe l’effetto opposto, poiché
il fatto di uccidere l’ospite prima fornisce meno tempo al virus per
diffondersi.
Il comune raffreddore è un buon esempio di questo
principio, poiché generalmente mantiene dei livelli di intensità deboli,
che ne facilitano una larga propagazione nella popolazione. Ma in
alcuni ambienti, funziona molto di più la logica inversa: quando un
virus ha numerosi ospiti della stessa specie nelle immediate vicinanze, e
specialmente quando questi ospiti possono già avere dei cicli di vita
abbreviati, l’aumento della virulenza diventa un vantaggio per la sua
evoluzione.
Ancora una volta, il caso dell’influenza
aviaria è un esempio saliente. Wallace sottolinea che gli studi hanno
dimostrato “l’assenza di ceppi endemici altamente patogeni
[dell’influenza] nelle popolazioni di uccelli selvatici, fonte ultima di
quasi tutti i sottotipi di influenza”. [iii]
All’opposto, le popolazioni domestiche raggruppate insieme in
allevamenti industriali sembrano avere una relazione evidente con tali
focolai, per ovvi motivi:
“Le monocolture
genetiche di animali domestici rimuovono qualsiasi forma di difesa
immunitaria in grado di rallentare la trasmissione. Popolazioni più
numerose e più dense favoriscono tassi di trasmissione più elevati.
Queste condizioni di affollamento deprimono la risposta immunitaria.
L’alto rendimento, che è lo scopo di qualsiasi produzione industriale,
procura un rinnovo continuo dell’approvvigionamento di soggetti
vulnerabili, il carburante per l’evoluzione della virulenza.” [iv]
E, naturalmente, ognuna di queste
caratteristiche è una conseguenza della logica della concorrenza
industriale. In particolare, il rapido tasso di “throughput” in tali
contesti ha una dimensione eminentemente biologica: “Non appena gli
animali industriali raggiungono la giusta massa vengono uccisi. Le
infezioni da influenza residente devono raggiungere rapidamente la loro
soglia di trasmissione in un dato animale […] Più rapidamente vengono
prodotti i virus, maggiore è il danno per l’animale”[v].
Ironia della sorte, il tentativo di
sopprimere questi focolai attraverso l’abbattimento di massa degli
animali – come nei recenti casi di peste suina africana, che ha provocato la perdita di quasi un quarto dell’offerta mondiale di carne di maiale
– può avere l’effetto non intenzionale di aumentare ulteriormente
questa pressione selettiva, inducendo l’evoluzione di ceppi
iper-virulenti. Sebbene storicamente questi focolai si siano verificati
nelle specie domestiche, spesso in seguito a periodi di guerra o a
catastrofi ambientali che accrescono la pressione sulle popolazioni di
bestiame, l’aumento dell’intensità e della virulenza di tali malattie ha
innegabilmente seguito la diffusione della produzione capitalistica.
Storia ed eziologia
Le epidemie sono in gran parte l’ombra
dell’industrializzazione capitalista, e allo stesso tempo ne fungono da
precursore. Il caso del vaiolo e di altre pandemie introdotte in Nord
America è un esempio fin troppo semplice da citare, poiché la loro
intensità è stata rafforzata dalla separazione delle popolazioni per un
lungo lasso di tempo dovuta alla geografia fisica – e queste malattie,
nonostante tutto, avevano già acquisito la propria virulenza grazie alle
le reti mercantili pre-capitalistiche e all’urbanizzazione precoce in
Asia e in Europa. Se, invece, guardiamo all’Inghilterra – il paese che
ha visto sorgere il capitalismo prima nelle campagne, attraverso la
cacciata dalle terre della massa dei contadini, sostituiti da
monocolture di bestiame – vediamo i primi esempi di queste epidemie chiaramente capitalistiche.
Tre diverse pandemie si sono verificate nell’Inghilterra del XVIII
secolo, dal 1709 al 1720, dal 1742 al 1760, e dal 1768 al 1786.
All’origine di ciascuna di queste epidemie c’è stato il bestiame
importato dall’Europa, infettato dalle normali pandemie pre-capitaliste
che seguivano i periodi di guerra. Ma in Inghilterra la concentrazione
del bestiame aveva iniziato ad avvenire in modi nuovi, e l’introduzione
di bestiame infetto andava quindi a dilaniare la popolazione in modo
molto più aggressivo di quanto avvenisse in Europa. Non è un caso,
quindi, che il centro dei focolai di epidemie fossero i grandi caseifici
di Londra, che rappresentarono l’ambiente ideale per l’intensificazione
del virus.
Alla fine, i focolai sono stati contenuti
attraverso l’abbattimento selettivo precoce su piccola scala combinato
con l’applicazione di moderne pratiche mediche e scientifiche, in un
modo sostanzialmente simile a quello utilizzato oggi per reprimere
queste epidemie. Questo è il primo esempio di quello che diventerebbe un
modello che imita quello della crisi economica stessa: collassi sempre
più intensi che sembrano spingere l’intero sistema verso un precipizio,
ma che alla fine vengono superati attraverso una combinazione tra il
sacrificio di massa che ripulisce il mercato/la popolazione e
l’intensificazione dei progressi tecnologici: in questo caso le moderne
pratiche mediche combinate con i nuovi vaccini, che spesso arrivano
troppo tardi e in misura non sufficiente, ma che aiutano comunque a
spazzare via i danni causati dalla devastazione.
Ma questo esempio proveniente dalla patria
del capitalismo deve essere abbinato a una spiegazione degli effetti
che le pratiche agricole capitaliste hanno avuto alla sua periferia.
Mentre le pandemie di bestiame della prima Inghilterra capitalista erano
contenute, altrove i risultati sono stati molto più devastanti.
L’esempio che ha avuto il maggiore impatto storico è probabilmente
quello dello scoppio della peste bovina in Africa negli anni 1890. La
data in sé non è una coincidenza: la peste bovina aveva colpito l’Europa
con un’intensità che seguiva da vicino la crescita dell’agricoltura su
larga scala ed era tenuta sotto controllo solo dall’avanzata della
scienza moderna. Ma la fine del XIX secolo ha visto anche l’apice
dell’imperialismo europeo, incarnato dalla colonizzazione dell’Africa.
La peste bovina fu portata dall’Europa in Africa orientale dagli
italiani, che cercavano di raggiungere le altre potenze imperialiste
colonizzando il Corno d’Africa attraverso una serie di campagne
militari. Queste campagne si sono concluse per lo più con un insuccesso,
ma la malattia si diffuse in seguito tra la popolazione indigena di
bestiame e finì per aprirsi un varco per il Sudafrica, dove devastò la
prima economia agricola capitalista delle colonie, uccidendo persino le
mandrie nelle proprietà del famigerato Cecil Rhodes, auto-proclamatosi
suprematista bianco. Non si può negare che, uccidendo fino all’80-90% di
tutti i bovini, il più importante effetto storico della peste fu quello
di provocare una carestia senza precedenti nelle società
prevalentemente pastorali dell’Africa sub-sahariana.
Questo spopolamento
è stato poi seguito dalla colonizzazione invasiva della savana da parte
dei rovi, che hanno creato un habitat per la mosca tse-tse, che porta
la malattia del sonno e impedisce il pascolo del bestiame. Questo ha
permesso di limitare il ripopolamento della regione dopo la carestia e
ha aperto la strada all’ulteriore diffusione delle potenze coloniali
europee in tutto il continente.
Queste epidemie, oltre a indurre
periodicamente crisi agricole e a produrre le condizioni catastrofiche
che hanno permesso al capitalismo di oltrepassare i suoi primi confini,
sono state una persecuzione anche per il proletariato nel centro stesso
dell’industrializzazione. Prima di venire a numerosi esempi più recenti,
vale la pena sottolineare di nuovo che l’epidemia di coronavirus non ha
niente di specificatamente cinese. Le ragioni per cui così tante
epidemie sembrano avere origine in Cina non sono culturali, sono legate a
dei fattori di geografia economica. Questo risulta perfettamente chiaro
se confrontiamo la Cina con gli Stati Uniti o con l’Europa dell’epoca
in cui Stati Uniti ed Europa rappresentavano il centro nevralgico della
produzione globale e dell’occupazione industriale di massa [vi].
E il risultato è sostanzialmente identico, presenta le stesse identiche
caratteristiche.
Le ecatombi di bestiame che avvenivano nelle campagne,
si combinavano nelle città con pratiche sanitarie di pessima qualità e
una contaminazione generalizzata. È questo che è stato al centro dei
primi sforzi per riformare in senso liberal-progressista le zone abitate
dalla classe operaia, come testimonia l’accoglienza del romanzo The Jungle,
di Upton Sinclair, scritto originariamente per documentare la
sofferenza dei lavoratori immigrati nel settore della lavorazione della
carne, ma ripreso dai liberali più ricchi, preoccupati dalle violazioni
delle norme sulla salute e dalle condizioni generalmente poco igieniche
in cui veniva preparato il loro cibo.
Questa indignazione liberale rispetto alla
“sporcizia”, con tutto il razzismo che implica, definisce ancora oggi
quella che potremmo considerare come la lettura ideologica adottata
automaticamente dalla maggior parte delle persone di fronte agli aspetti
politici di qualcosa come le epidemie di coronavirus o di SARS. Ma i
lavoratori hanno poco controllo sulle condizioni in cui lavorano. Fatto
ancora più importante, se è vero che le condizioni insalubri e
scarsamente igieniche escono dalla fabbrica attraverso la contaminazione
delle forniture alimentari, questa contaminazione è in realtà solo la
punta dell’iceberg. Queste condizioni sono l’ambiente in cui normalmente
si lavora o si vive negli insediamenti proletari vicini, e, a livello
di popolazione, queste condizioni portano a un declino della salute
offrendo condizioni ancora più favorevoli alla diffusione delle molte
epidemie del capitalismo.
Prendiamo ad esempio il caso dell’influenza
spagnola, una delle epidemie più letali della storia. Si tratta di uno
dei primi focolai di influenza H1N1 (correlato a focolai più recenti di
influenza suina e aviaria) e per lungo tempo si è pensato che in qualche
modo questa epidemia fosse qualitativamente differente dalle altre
varianti dell’influenza, dato l’elevato bilancio di vittime. Ciò
nonostante, questa lettura sembra essere vera solo in parte (a causa
della capacità dell’influenza di indurre una reazione eccessiva del
sistema immunitario), poiché successive analisi della letteratura
scientifica e la ricerca sulla storia dell’epidemiologia hanno fatto
scoprire che l’influenza spagnola potrebbe essere stata poco più
virulenta di altri ceppi.
Al contrario, con ogni probabilità il suo alto
tasso di mortalità è stato causato principalmente dalla malnutrizione
generalizzata, dal sovraffollamento delle città e dalle condizioni di
vita generalmente insalubri nelle aree colpite, che hanno incoraggiato
non solo la diffusione dell’influenza stessa, ma anche la coltura di
superinfezioni batteriche oltre alla super-infezione virale di fondo. [vii]
In altre parole, il bilancio delle vittime
dell’influenza spagnola, sebbene venga rappresentato come un’anomalia
imprevedibile per il carattere del virus, ha avuto un “aiuto”
altrettanto importante dalle condizioni sociali.
L'influenza si diffuse rapidamente grazie ai commerci e alla prima guerra mondiale, a quel tempo
legati ai rapidi cambiamenti degli imperialismi che sono sopravvissuti
alla prima guerra mondiale. E anche qui ritroviamo ancora una volta una
storia ormai familiare sul luogo e sul modo in cui è stato prodotto un
ceppo di influenza così mortale: sebbene l’origine esatta sia ancora
poco chiara, oggi si presume che il virus abbia avuto origine tra i
maiali o il pollame allevati a livello domestico, probabilmente in
Kansas. Il tempo e il luogo sono particolarmente degni di nota, poiché
gli anni successivi alla guerra furono una sorta di punto di svolta per
l’agricoltura americana, che ha visto l’applicazione generalizzata di
metodi di produzione di tipo industriale sempre più meccanizzati.
Queste
tendenze si intensificarono solo negli anni ’20 e l’applicazione
massiccia di tecnologie come la mietitrebbia portò sia ad una graduale
monopolizzazione [della produzione agricola], che al disastro ecologico,
che, combinati insieme, causarono la crisi del “Dust Bowl” [la crisi
delle tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti centrali e il
Canada tra il 1931 e il 1939] e l’emigrazione di massa che ne seguì.
L’intensa concentrazione di bestiame che in seguito avrebbe
caratterizzato l’allevamento industriale non era ancora apparsa, ma le
forme più elementari di concentrazione e produzione intensiva, che
avevano già creato epidemie di bestiame in Europa, erano ormai diventate
la norma. Se le epidemie che colpirono il bestiame nell’Inghilterra del
XVIII secolo possono essere considerate il primo caso di peste bovina
propriamente capitalista, e l’epidemia di peste bovina in Africa nel
1890 il più grande degli olocausti epidemiologici causati
dall’imperialismo, l’influenza spagnola può essere considerata la prima
delle epidemie del capitalismo che ha colpito il proletariato.
L‘età dell’oro
I parallelismi con l’attuale caso cinese
sono particolarmente rilevanti. Il COVID-19 non può essere compreso
senza tener conto dei modi in cui gli ultimi decenni di sviluppo della
Cina all’interno del sistema capitalistico globale e attraverso di esso,
hanno plasmato il sistema sanitario del paese e lo stato della salute
pubblica in generale. L’epidemia, per quanto nuova, è quindi simile ad
altre crisi della sanità pubblica che l’hanno preceduta, che tendono a
prodursi quasi con la stessa regolarità delle crisi economiche e ad
essere considerate in modo simile da parte della stampa popolare – come
se fossero casuali, degli eventi del tipo “cigno nero”, assolutamente
imprevedibili e senza precedenti. La realtà, tuttavia, è che queste
crisi sanitarie ricorrono secondo schemi caotici e ciclici, resi più
probabili da una serie di contraddizioni strutturali integrate nella
natura della produzione e della vita proletaria entro il regime
capitalistico.
Proprio come nel caso dell’influenza spagnola, il
coronavirus è stato originariamente in grado di prendere piede e
propagarsi rapidamente a causa di un diffuso degrado dell’assistenza
sanitaria di base presso l’insieme della popolazione. Ma proprio perché
questo degrado ha avuto luogo nel mezzo di una crescita economica
spettacolare, è stato oscurato dallo splendore di città scintillanti e
di fabbriche enormi. La realtà, tuttavia, è che in Cina le spese
destinate a beni pubblici come l’assistenza sanitaria e l’istruzione
rimangono estremamente basse, mentre la maggior parte della spesa
pubblica è stata indirizzata verso infrastrutture in “mattoni e malta”:
ponti, strade ed elettricità a basso costo per la produzione.
Nel frattempo, la qualità dei prodotti del
mercato interno è spesso pericolosamente bassa. Per decenni l’industria
cinese ha prodotto esportazioni di alta qualità e di alto valore,
realizzate secondo i più alti standard globali per il mercato mondiale,
come iPhone e chip per computer. Ma i beni destinati ai consumi sul
mercato interno hanno standard incredibilmente scadenti, il che provoca
regolari scandali e alimenta una profonda sfiducia da parte della
popolazione. In molti casi si avverte un innegabile eco che ricorda The Jungle
di Sinclair e altri racconti dell’Età dell’oro americana. Il più grosso
caso avvenuto di recente, lo scandalo del latte alla melanina del 2008,
ha causato la morte di una dozzina di neonati e il ricovero ospedaliero
di decine di migliaia di persone (anche se i colpiti sono stati forse
qualche centinaio di migliaia).
Da allora, numerosi scandali hanno scosso con regolarità il pubblico: nel 2011, quando è stato scoperto che l’olio recuperato dalle trappole per grassi dei canali di scolo veniva utilizzato nei ristoranti di tutto il paese, o nel 2018, quando dei vaccini difettosi uccisero diversi bambini, e in seguito un anno dopo, quando dozzine di persone sono state ricoverate in ospedale in seguito alla somministrazione di falsi vaccini anti HPV. Storie meno pesanti sono anche più diffuse e costituiscono un panorama familiare per chiunque viva in Cina: preparato per zuppe istantanee in polvere tagliato con sapone in modo da contenere i costi; imprenditori che vendono maiali morti per cause misteriose ai villaggi vicini; pettegolezzi dettagliati su quali negozi di strada hanno maggiori probabilità di farti ammalare.
Da allora, numerosi scandali hanno scosso con regolarità il pubblico: nel 2011, quando è stato scoperto che l’olio recuperato dalle trappole per grassi dei canali di scolo veniva utilizzato nei ristoranti di tutto il paese, o nel 2018, quando dei vaccini difettosi uccisero diversi bambini, e in seguito un anno dopo, quando dozzine di persone sono state ricoverate in ospedale in seguito alla somministrazione di falsi vaccini anti HPV. Storie meno pesanti sono anche più diffuse e costituiscono un panorama familiare per chiunque viva in Cina: preparato per zuppe istantanee in polvere tagliato con sapone in modo da contenere i costi; imprenditori che vendono maiali morti per cause misteriose ai villaggi vicini; pettegolezzi dettagliati su quali negozi di strada hanno maggiori probabilità di farti ammalare.
Un tempo, prima dell’incorporazione pezzo
per pezzo della Cina nel sistema capitalistico globale, servizi come
l’assistenza sanitaria venivano forniti (perlopiù nelle città)
nell’ambito del “sistema danwei”, erano cioè legati all’impresa
in cui si lavorava o (principalmente, ma non esclusivamente, nelle
campagne) erano forniti gratuitamente da cliniche sanitarie locali
gestite da un abbondante personale di “medici scalzi“. I successi dell’assistenza sanitaria dell’era socialista
– come i suoi successi nel campo dell’istruzione di base e
dell’alfabetizzazione – furono tanto sostanziali che persino i critici
più severi del paese dovettero riconoscerli. La schistosomiasi,
che ha afflitto il paese per secoli, è stata sostanzialmente spazzata
via in gran parte del suo epicentro storico, salvo ripresentarsi con
vigore nel momento in cui il sistema sanitario socialista ha iniziato a
essere smantellato.
La mortalità infantile è crollata e, nonostante la carestia che accompagnò il Grande Balzo in avanti, l’aspettativa di vita è salita da 45 a 68 anni tra il 1950 e l’inizio degli anni ’80. Le vaccinazioni e le pratiche sanitarie di base si sono diffuse su scala generale, e così pure le informazioni di base sulla nutrizione e sulla salute pubblica, nonché l’accesso ai medicinali rudimentali – tutto ciò era gratuito e accessibile a tutta la popolazione. Nel frattempo, il sistema dei medici scalzi ha contribuito a diffondere conoscenze mediche fondamentali – sebbene limitate – a una vasta fetta della popolazione, permettendo la costruzione di un solido sistema sanitario dal basso in condizioni di grave povertà materiale. Vale la pena ricordare che tutto ciò è avvenuto in un momento in cui la Cina era un paese più povero, a livello di reddito pro capite, della media dei paesi dell’Africa subsahariana di oggi.
La mortalità infantile è crollata e, nonostante la carestia che accompagnò il Grande Balzo in avanti, l’aspettativa di vita è salita da 45 a 68 anni tra il 1950 e l’inizio degli anni ’80. Le vaccinazioni e le pratiche sanitarie di base si sono diffuse su scala generale, e così pure le informazioni di base sulla nutrizione e sulla salute pubblica, nonché l’accesso ai medicinali rudimentali – tutto ciò era gratuito e accessibile a tutta la popolazione. Nel frattempo, il sistema dei medici scalzi ha contribuito a diffondere conoscenze mediche fondamentali – sebbene limitate – a una vasta fetta della popolazione, permettendo la costruzione di un solido sistema sanitario dal basso in condizioni di grave povertà materiale. Vale la pena ricordare che tutto ciò è avvenuto in un momento in cui la Cina era un paese più povero, a livello di reddito pro capite, della media dei paesi dell’Africa subsahariana di oggi.
A partire da quel momento [inizio anni
’80] una combinazione di trascuratezza e privatizzazione ha notevolmente
degradato questo sistema, proprio mentre la rapida urbanizzazione e una
produzione industriale non regolamentata di beni per uso domestico e
alimentare rendevano tanto più necessaria la generalizzazione
dell’assistenza sanitaria – per non menzionare l’altrettanto importante
necessità di stabilire chiare norme in materia alimentare, sanitaria e
di sicurezza. Oggigiorno la spesa pubblica cinese per la difesa della
salute è, secondo i dati
dell’Organizzazione mondiale della sanità, di 323 dollari pro capite.
Questa cifra è bassa anche in comparazione con quella di altri paesi a
“reddito medio-alto”, ed è circa la metà di quanto spendono Brasile,
Bielorussia e Bulgaria.
La regolamentazione è minima o inesistente, con conseguenti numerosi scandali analoghi a quelli sopra menzionati. Nel frattempo, gli effetti di questa situazione ricadono con maggiore forza sulle centinaia di milioni di lavoratori emigranti interni, per i quali qualsiasi diritto alle cure sanitarie di base svanisce completamente nel momento in cui lasciano la loro città natale rurale (luogo in cui, sotto il sistema hukou, sono residenti permanenti indipendentemente della loro effettiva residenza, il che significa che le risorse pubbliche rimanenti non sono accessibili altrove).
La regolamentazione è minima o inesistente, con conseguenti numerosi scandali analoghi a quelli sopra menzionati. Nel frattempo, gli effetti di questa situazione ricadono con maggiore forza sulle centinaia di milioni di lavoratori emigranti interni, per i quali qualsiasi diritto alle cure sanitarie di base svanisce completamente nel momento in cui lasciano la loro città natale rurale (luogo in cui, sotto il sistema hukou, sono residenti permanenti indipendentemente della loro effettiva residenza, il che significa che le risorse pubbliche rimanenti non sono accessibili altrove).
Apparentemente, la sanità pubblica sarebbe dovuta essere sostituita
alla fine degli anni Novanta con un sistema più privatizzato (sebbene
gestito tramite lo stato), in cui una combinazione di contributi – tanto
da parte delle imprese quanto da parte dei dipendenti – avrebbe dovuto
sostenere i costi dell’assistenza medica, delle pensioni e
dell’assicurazione sulla casa. Ma questo regime di previdenza sociale è
stato minato da una sistematica carenza di fondi, nella misura in cui i
contributi “dovuti” da parte dei datori di lavoro spesso semplicemente
non sono versati, facendo sì che la stragrande maggioranza dei
lavoratori debba pagare di tasca propria.
Secondo l’ultima stima nazionale disponibile, solo il 22% dei lavoratori emigranti interni aveva un’assicurazione medica di base. Il mancato versamento di contributi al sistema di previdenza sociale non è, tuttavia, un semplice atto malevolo da parte di padroni individualmente corrotti, è invece ampiamente dovuto al fatto che i margini di profitto ridotti non lasciano spazio alle indennità sociali. Nei nostri calcoli abbiamo scoperto che in un hub industriale come Dongguan chiedere di sborsare le somme, al momento non pagate, necessarie per garantire ai lavoratori la previdenza sociale, dimezzerebbe i profitti industriali e porterebbe molte aziende al fallimento. Per compensare le enormi lacune esistenti, la Cina ha istituito un regime medico supplementare di carattere basilare a copertura di pensionati e lavoratori autonomi, sistema che paga in media solo poche centinaia di yuan per persona all’anno.
Secondo l’ultima stima nazionale disponibile, solo il 22% dei lavoratori emigranti interni aveva un’assicurazione medica di base. Il mancato versamento di contributi al sistema di previdenza sociale non è, tuttavia, un semplice atto malevolo da parte di padroni individualmente corrotti, è invece ampiamente dovuto al fatto che i margini di profitto ridotti non lasciano spazio alle indennità sociali. Nei nostri calcoli abbiamo scoperto che in un hub industriale come Dongguan chiedere di sborsare le somme, al momento non pagate, necessarie per garantire ai lavoratori la previdenza sociale, dimezzerebbe i profitti industriali e porterebbe molte aziende al fallimento. Per compensare le enormi lacune esistenti, la Cina ha istituito un regime medico supplementare di carattere basilare a copertura di pensionati e lavoratori autonomi, sistema che paga in media solo poche centinaia di yuan per persona all’anno.
Questo sistema medico assediato produce di
per sé delle terribili tensioni sociali. Numerosi membri del personale
medico vengono uccisi ogni anno e dozzine vengono feriti negli attacchi
di pazienti arrabbiati o, più spesso, dei familiari dei pazienti che
muoiono durante le cure. L’attacco più recente è avvenuto alla vigilia
di Natale, quando a Pechino un medico è stato pugnalato a morte dal figlio di una paziente, che riteneva che sua madre fosse morta per le cure ospedaliere scadenti. Un sondaggio
condotto tra i medici ha rilevato che un incredibile 85% di loro aveva
subito violenza sul luogo di lavoro e un altro, del 2015, ha rilevato
che il 13% dei medici in Cina era stato aggredito fisicamente nel corso
dell’anno precedente.
I medici cinesi visitano ogni anno il quadruplo dei pazienti rispetto i loro colleghi statunitensi, ma sono pagati meno di $ 15.000 all’anno – in termini relativi si tratta di una cifra inferiore al reddito pro capite (16.760 USD), mentre negli Stati Uniti il salario del medico medio (circa 300.000 USD) è quasi cinque volte più del reddito pro capite (60.200 USD). Prima della sua chiusura (nel 2016) e l’arresto dei suoi creatori, l’ormai defunto blog di censimento dei disordini di Lu Yuyu e Li Tingyu riportava le notizie di diversi scioperi e proteste da parte degli operatori sanitari ogni mese [viii]. Nel 2015 – l’ultimo anno per il quale sono presenti per intero i dati da loro meticolosamente raccolti – erano riportati 43 eventi del genere. Hanno anche registrato dozzine di “incidenti da cure mediche [proteste]” ogni mese, protagonisti familiari di pazienti, con 368 registrati nel 2015.
I medici cinesi visitano ogni anno il quadruplo dei pazienti rispetto i loro colleghi statunitensi, ma sono pagati meno di $ 15.000 all’anno – in termini relativi si tratta di una cifra inferiore al reddito pro capite (16.760 USD), mentre negli Stati Uniti il salario del medico medio (circa 300.000 USD) è quasi cinque volte più del reddito pro capite (60.200 USD). Prima della sua chiusura (nel 2016) e l’arresto dei suoi creatori, l’ormai defunto blog di censimento dei disordini di Lu Yuyu e Li Tingyu riportava le notizie di diversi scioperi e proteste da parte degli operatori sanitari ogni mese [viii]. Nel 2015 – l’ultimo anno per il quale sono presenti per intero i dati da loro meticolosamente raccolti – erano riportati 43 eventi del genere. Hanno anche registrato dozzine di “incidenti da cure mediche [proteste]” ogni mese, protagonisti familiari di pazienti, con 368 registrati nel 2015.
In tali condizioni di massiccio
disinvestimento pubblico dal sistema sanitario, non sorprende che il
COVID-19 abbia preso piede così facilmente. In combinazione con il fatto
che nuove malattie trasmissibili emergono in Cina al ritmo di una ogni
1-2 anni, sembrano sussistere le condizioni affinché tali epidemie
continuino. Come nel caso dell’influenza spagnola, le condizioni
generalmente degradate della sanità pubblica per la popolazione
proletaria hanno permesso che il virus prendesse piede e, da lì, si
diffondesse rapidamente. Ma, ancora una volta, non è solo una questione
di distribuzione. Dobbiamo anche capire come il virus stesso sia stato
prodotto.
Non c’è più una natura selvaggia
Nel caso dell’epidemia in corso, la storia
è meno semplice dei casi di influenza suina o aviaria, che sono così
chiaramente associati al cuore del sistema agroindustriale. Da un lato,
le origini esatte del virus non sono ancora del tutto chiare. È possibile
che provenga da suini, che sono uno dei tanti animali domestici e
selvatici commerciati nel mercato di Wuhan, che sembra essere
l’epicentro dell’epidemia, nel qual caso la causa potrebbe essere più
simile ai casi di cui sopra di quanto non appaia.
Più probabile, tuttavia, sembra essere l’origine del virus dai pipistrelli o forse dai serpenti, gli uni e gli altri solitamente prelevati in natura. Anche in questo caso esiste tuttavia una qualche relazione con il sistema agro-industriale, dal momento che il declino della disponibilità e della sicurezza della carne di maiale a causa dell’epidemia di peste suina africana ha fatto sì che l’aumento della domanda di carne sia spesso soddisfatto dalla vendita di carne di selvaggina “selvatica” in questi mercati del pesce. Ma si può davvero affermare, anche senza che esista un legame diretto con l’agricoltura industriale, che gli stessi processi economici sono in qualche modo complici di questa epidemia?
Più probabile, tuttavia, sembra essere l’origine del virus dai pipistrelli o forse dai serpenti, gli uni e gli altri solitamente prelevati in natura. Anche in questo caso esiste tuttavia una qualche relazione con il sistema agro-industriale, dal momento che il declino della disponibilità e della sicurezza della carne di maiale a causa dell’epidemia di peste suina africana ha fatto sì che l’aumento della domanda di carne sia spesso soddisfatto dalla vendita di carne di selvaggina “selvatica” in questi mercati del pesce. Ma si può davvero affermare, anche senza che esista un legame diretto con l’agricoltura industriale, che gli stessi processi economici sono in qualche modo complici di questa epidemia?
La risposta è sì, ma in modo diverso.
Ancora una volta, Wallace indica non una, ma due vie principali attraverso le quali il capitalismo contribuisce a sviluppare e scatenare epidemie sempre più mortali. La prima, delineata sopra, è quella direttamente legata all’industria, in cui i virus vengono gestiti all’interno di ambienti industriali che sono stati pienamente inclusi nella logica capitalistica. La seconda è indiretta, e si sviluppa attraverso l’espansione e l’estrazione capitalista nell’entroterra, dove virus precedentemente sconosciuti vengono essenzialmente raccolti dalle popolazioni selvatiche [animali] e poi distribuiti lungo i circuiti dei capitali globali.
Le due vie non sono del tutto separate, è ovvio, ma il secondo caso sembra essere quello che descrive meglio l’emergere dell’attuale epidemia [ix]. In questo caso, la crescente domanda di corpi di animali selvatici per consumo, per uso medico o (come nel caso dei cammelli e della MERS) per una varietà di funzioni culturalmente significative, costruisce nuove catene di merci globali costituite da beni “selvaggi”. In altri casi le catene di valore agro-ecologiche preesistenti si estendono semplicemente in sfere precedentemente “selvagge”, cambiando le ecologie locali e modificando l’interfaccia tra l’umano e il non umano.
Ancora una volta, Wallace indica non una, ma due vie principali attraverso le quali il capitalismo contribuisce a sviluppare e scatenare epidemie sempre più mortali. La prima, delineata sopra, è quella direttamente legata all’industria, in cui i virus vengono gestiti all’interno di ambienti industriali che sono stati pienamente inclusi nella logica capitalistica. La seconda è indiretta, e si sviluppa attraverso l’espansione e l’estrazione capitalista nell’entroterra, dove virus precedentemente sconosciuti vengono essenzialmente raccolti dalle popolazioni selvatiche [animali] e poi distribuiti lungo i circuiti dei capitali globali.
Le due vie non sono del tutto separate, è ovvio, ma il secondo caso sembra essere quello che descrive meglio l’emergere dell’attuale epidemia [ix]. In questo caso, la crescente domanda di corpi di animali selvatici per consumo, per uso medico o (come nel caso dei cammelli e della MERS) per una varietà di funzioni culturalmente significative, costruisce nuove catene di merci globali costituite da beni “selvaggi”. In altri casi le catene di valore agro-ecologiche preesistenti si estendono semplicemente in sfere precedentemente “selvagge”, cambiando le ecologie locali e modificando l’interfaccia tra l’umano e il non umano.
Wallace stesso è chiaro su questo punto, spiegando
diverse dinamiche che creano malattie più gravi nonostante i virus
stessi già esistano in ambienti “naturali”. L’espansione della stessa
produzione industriale “potrebbe spingere gli alimenti selvatici sempre
più capitalizzati in profondità provenienti dall’ultimo dei paesaggi
primari [ancora non toccati], andando a pescare una più ampia varietà di
agenti patogeni potenzialmente protopandemici”. In altre parole, man
mano che l’accumulazione di capitale si estende a nuovi territori, gli
animali vengono spinti in aree meno accessibili dove entreranno in
contatto con ceppi di malattie precedentemente isolati – il tutto mentre
questi stessi animali stanno diventando merci vendibili, dal momento
che “anche le specie di sussistenza più selvagge vengono inserite in
catene del valore agricole”.
Allo stesso modo, questa espansione avvicina gli esseri umani a questi animali e questi ambienti, e ciò “può aumentare l’interfaccia e lo spillover tra le popolazioni selvatiche non umane e la nuova ruralità urbanizzata”. Ciò dà al virus maggiori opportunità e risorse per mutare in un modo che gli consente di infettare l’uomo, aumentando la probabilità di spillover biologico. La stessa geografia dell’industria non è ad ogni modo mai così nettamente urbana o rurale, proprio come l’agricoltura industriale monopolistica fa uso di fattorie sia su larga scala che su piccola scala: “in una fattoria [azienda agricola] di un imprenditore ai margini della foresta, un animale da cibo può catturare un agente patogeno prima di essere spedito in un impianto di lavorazione carni situato nell’anello esterno di una grande città.”
Allo stesso modo, questa espansione avvicina gli esseri umani a questi animali e questi ambienti, e ciò “può aumentare l’interfaccia e lo spillover tra le popolazioni selvatiche non umane e la nuova ruralità urbanizzata”. Ciò dà al virus maggiori opportunità e risorse per mutare in un modo che gli consente di infettare l’uomo, aumentando la probabilità di spillover biologico. La stessa geografia dell’industria non è ad ogni modo mai così nettamente urbana o rurale, proprio come l’agricoltura industriale monopolistica fa uso di fattorie sia su larga scala che su piccola scala: “in una fattoria [azienda agricola] di un imprenditore ai margini della foresta, un animale da cibo può catturare un agente patogeno prima di essere spedito in un impianto di lavorazione carni situato nell’anello esterno di una grande città.”
Il fatto è che la sfera “naturale” è già
sussunta da un sistema capitalistico completamente globale che è
riuscito a cambiare le condizioni climatiche di base e a devastare gli
ecosistemi pre-capitalisti [x] sino al punto che quelli
ancora intatti non funzionano più come avrebbero potuto fare in
passato. Anche qui ci si trova di fronte a un ulteriore fattore causale,
poiché, secondo Wallace, tutti questi processi di devastazione
ecologica riducono “il tipo di complessità ambientale con cui la foresta
interrompe le catene di trasmissione”. In realtà, quindi, è erroneo
pensare a tali aree come alla naturale “periferia” di un sistema
capitalista. Il capitalismo è già globale e già totalizzante.
Non c’è più un limite o un confine al di là del quale c’è qualche sfera rimasta allo stato naturale, non capitalista; né esiste una grande catena di sviluppo in cui i paesi “arretrati” seguono quelli che li precedono nel loro cammino lungo la catena del valore; né c’è un qualche spazio autenticamente selvaggio in grado di essere preservato in una sorta di condizione pura, incontaminata. Al contrario, il capitale non ha che un retroterra ad esso subordinato e completamente inserito nelle catene del valore globali. I sistemi sociali che da ciò derivano – dal presunto “tribalismo” fino alla rinascita delle religioni fondamentaliste in senso anti-moderna – sono prodotti interamente contemporanei e sono di fatto quasi sempre collegati, spesso in maniera abbastanza diretta, ai mercati globali.
Lo stesso si può dire dei sistemi biologici ed ecologici che ne risultano, poiché le aree “selvagge” sono in realtà immanenti a questa economia globale, sia in un senso astratto in quanto dipendono dal clima e dagli ecosistemi correlati, sia nel senso diretto di essere collegati a quelle stesse catene del valore globali.
Non c’è più un limite o un confine al di là del quale c’è qualche sfera rimasta allo stato naturale, non capitalista; né esiste una grande catena di sviluppo in cui i paesi “arretrati” seguono quelli che li precedono nel loro cammino lungo la catena del valore; né c’è un qualche spazio autenticamente selvaggio in grado di essere preservato in una sorta di condizione pura, incontaminata. Al contrario, il capitale non ha che un retroterra ad esso subordinato e completamente inserito nelle catene del valore globali. I sistemi sociali che da ciò derivano – dal presunto “tribalismo” fino alla rinascita delle religioni fondamentaliste in senso anti-moderna – sono prodotti interamente contemporanei e sono di fatto quasi sempre collegati, spesso in maniera abbastanza diretta, ai mercati globali.
Lo stesso si può dire dei sistemi biologici ed ecologici che ne risultano, poiché le aree “selvagge” sono in realtà immanenti a questa economia globale, sia in un senso astratto in quanto dipendono dal clima e dagli ecosistemi correlati, sia nel senso diretto di essere collegati a quelle stesse catene del valore globali.
Questo fatto produce le condizioni
necessarie per la trasformazione di ceppi virali “selvaggi” in pandemie
globali. Ma il COVID-19 non è certo il peggiore di questi.
Un’illustrazione ideale del principio di base – e del pericolo globale –
si riscontra invece nel caso dell’ebola. Il virus ebola [xi]
è un chiaro caso di un serbatoio virale esistente che si riversa nella
popolazione umana. Le prove attuali suggeriscono che i suoi ospiti
originari sono diverse specie di pipistrelli nativi dell’Africa
occidentale e centrale, che agiscono come vettori ma non sono essi
stessi colpiti dal virus.
Questo invece non è vero per gli altri mammiferi selvatici, come primati e duiker [l’antilope africana], che contraggono periodicamente il virus e soffrono di focolai rapidi e ad alto tasso di mortalità. L’ebola ha un ciclo di vita particolarmente aggressivo al di fuori delle specie che ne sono portatrici sane. Attraverso il contatto con uno di questi ospiti selvaggi, anche gli esseri umani possono essere infettati, con risultati devastanti. Si sono verificate diverse importanti epidemie e il tasso di mortalità nella maggior parte dei casi è stato estremamente elevato, quasi sempre superiore al 50%. Il più grande focolaio registrato, che è continuato sporadicamente dal 2013 al 2016 in diversi paesi dell’Africa occidentale, ha provocato 11.000 morti.
Il tasso di mortalità per i pazienti ospedalizzati durante il focolaio era compreso tra il 57 e il 59%, ed è stato molto più elevato per tutti coloro che sono rimasti senza accesso agli ospedali. Negli ultimi anni, diversi vaccini sono stati sviluppati da società private, ma meccanismi di approvazione lenti e severe limitazioni legate ai diritti di proprietà intellettuale si sono combinati con la diffusa mancanza di un’infrastruttura sanitaria nel produrre una situazione in cui i vaccini hanno fatto poco per fermare la più recente – e al momento la più lunga – epidemia di questo tipo, concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
Questo invece non è vero per gli altri mammiferi selvatici, come primati e duiker [l’antilope africana], che contraggono periodicamente il virus e soffrono di focolai rapidi e ad alto tasso di mortalità. L’ebola ha un ciclo di vita particolarmente aggressivo al di fuori delle specie che ne sono portatrici sane. Attraverso il contatto con uno di questi ospiti selvaggi, anche gli esseri umani possono essere infettati, con risultati devastanti. Si sono verificate diverse importanti epidemie e il tasso di mortalità nella maggior parte dei casi è stato estremamente elevato, quasi sempre superiore al 50%. Il più grande focolaio registrato, che è continuato sporadicamente dal 2013 al 2016 in diversi paesi dell’Africa occidentale, ha provocato 11.000 morti.
Il tasso di mortalità per i pazienti ospedalizzati durante il focolaio era compreso tra il 57 e il 59%, ed è stato molto più elevato per tutti coloro che sono rimasti senza accesso agli ospedali. Negli ultimi anni, diversi vaccini sono stati sviluppati da società private, ma meccanismi di approvazione lenti e severe limitazioni legate ai diritti di proprietà intellettuale si sono combinati con la diffusa mancanza di un’infrastruttura sanitaria nel produrre una situazione in cui i vaccini hanno fatto poco per fermare la più recente – e al momento la più lunga – epidemia di questo tipo, concentrata nella Repubblica Democratica del Congo (RDC).
La malattia viene spesso presentata come
se si trattasse di qualcosa di analogo a un disastro naturale – nella
migliore delle ipotesi casuale, nella peggiore imputata alle pratiche
culturali “poco igieniche” dei poveri che vivono nelle foreste. Ma il
contesto temporale entro il quale si sono sviluppate le due grandi
epidemie menzionate (2013-2016 in Africa occidentale e 2018-presente
nella RDC) non è casuale. Entrambe si sono verificate proprio quando
l’espansione delle industrie primarie ha spostato ulteriormente le
popolazioni che vivono nelle foreste e sconvolto gli ecosistemi locali.
In effetti, questo sembra essere vero per la maggioranza dei casi più
recenti, poiché, come spiega Wallace, “ogni epidemia di ebola sembra connessa
a cambiamenti nell’uso del suolo di natura capitalista, a partire dal
primo scoppio a Nzara, in Sudan nel 1976, dove una fabbrica finanziata
dagli inglesi filava e tesseva cotone locale”.
Allo stesso modo, le epidemie del 2013 in Guinea si sono verificate subito dopo che un nuovo governo aveva iniziato ad aprire il paese ai mercati globali e vendere grandi estensioni di terra a conglomerati agroalimentari internazionali. L’industria dell’olio di palma – nota per il suo ruolo nella deforestazione e nella distruzione ecologica in tutto il mondo – sembra essere stata particolarmente colpevole, poiché le sue monocolture da un lato devastano le barriere ecologiche che aiutano a interrompere le catene di trasmissione; dall’altro attraggono le specie di pipistrelli che servono come serbatoio naturale per il virus. [xii]
Allo stesso modo, le epidemie del 2013 in Guinea si sono verificate subito dopo che un nuovo governo aveva iniziato ad aprire il paese ai mercati globali e vendere grandi estensioni di terra a conglomerati agroalimentari internazionali. L’industria dell’olio di palma – nota per il suo ruolo nella deforestazione e nella distruzione ecologica in tutto il mondo – sembra essere stata particolarmente colpevole, poiché le sue monocolture da un lato devastano le barriere ecologiche che aiutano a interrompere le catene di trasmissione; dall’altro attraggono le specie di pipistrelli che servono come serbatoio naturale per il virus. [xii]
Nel frattempo, la vendita di grandi appezzamenti di terra a società commerciali agroforestali comporta sia l’espropriazione delle popolazioni che abitano le foreste, sia l’interruzione delle loro forme locali di produzione e di raccolto dipendenti dall’ecosistema. Questo spesso costringe i poveri delle zone rurali a spingersi più all’interno nella foresta, mentre le loro relazioni tradizionali con quell’ecosistema vengono distrutte. Il risultato è che la loro sopravvivenza dipende sempre più dalla caccia alla selvaggina o dalla raccolta di flora e legname locali per la vendita sui mercati globali.
Tali popolazioni diventano quindi i bersagli contro i quali sono indirizzate le ire delle organizzazioni ambientaliste globali, le quali le denigrano bollandole alla stregua di “bracconieri” e “taglialegna illegali”, indicandole come responsabili della deforestazione e della distruzione ecologica, cause che sono invece all’origine della loro necessità a intrattenere questo tipo di commercio. Spesso, il processo prende una svolta molto più oscura, come in Guatemala, dove dopo la fine della guerra civile i paramilitari anticomunisti sono stati trasformati in forze di sicurezza “verdi”, con il compito di “proteggere” la foresta dal disboscamento illegale, dalla caccia e dal narcotraffico, ovvero gli unici mestieri disponibili per i residenti indigeni, che erano stati spinti a tali attività proprio a causa della repressione violenta che avevano dovuto affrontare da parte di quegli stessi paramilitari durante la guerra. [xiii] Da allora tale modello è stato riprodotto in tutto il mondo, applaudito su post dei social media nei paesi ad alto reddito che celebrano l’esecuzione di “bracconieri” (spesso catturata dalla telecamera) da parte di presunte forze di sicurezza “verdi”. [xiv]
Il contenimento come espressione dell’arte di governo
Il COVID-19 ha attirato l’attenzione
globale con una forza senza precedenti. L’ebola, l’influenza aviaria e
la SARS, ovviamente, hanno avuto tutte la loro quota di frenesia
mediatica. Ma questa nuova epidemia ha generato un diverso tipo di
capacità di resistenza. In parte, ciò è quasi certamente dovuto alla
scala spettacolare della risposta del governo cinese, che si traduce in
immagini altrettanto spettacolari di megalopoli vuote che sono in netto
contrasto con la normale immagine mediatica della Cina come
sovraffollata e super-inquinata.
Questa risposta è stata anche una fonte golosa per l’abituale speculazione sull’imminente crollo politico o economico del Paese, anche in forza dell’ulteriore impulso in tale direzione dato dalle continue tensioni determinate dallo stadio iniziale della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Questa situazione, combinata con la rapida diffusione del virus, gli dà il carattere di una minaccia immediatamente globale, nonostante il suo basso tasso di mortalità. [xv]
Questa risposta è stata anche una fonte golosa per l’abituale speculazione sull’imminente crollo politico o economico del Paese, anche in forza dell’ulteriore impulso in tale direzione dato dalle continue tensioni determinate dallo stadio iniziale della guerra commerciale con gli Stati Uniti. Questa situazione, combinata con la rapida diffusione del virus, gli dà il carattere di una minaccia immediatamente globale, nonostante il suo basso tasso di mortalità. [xv]
A un livello più profondo, tuttavia, ciò
che sembra più affascinante della risposta dello stato cinese è il modo
in cui questa risposta è stata rappresentata nei media, come una sorta
di prova generale melodrammatica della mobilitazione totale nella
contro-insurrezione interna.
Questo ci dice realmente qualcosa sulla capacità repressiva dello stato cinese, ma sottolinea anche la più profonda incapacità di quello stato, rivelata dalla sua necessità di fare un così pesante affidamento su una combinazione tra le misure di propaganda totale implementate attraverso ogni aspetto dei media e le mobilitazioni della buona volontà della popolazione locale che, altrimenti, non avrebbe alcun obbligo materiale da prendere in carico.
Sia la propaganda cinese che quella occidentale hanno sottolineato la reale capacità repressiva della quarantena; la prima la racconta come un caso di efficace intervento del governo davanti ad un’emergenza; la seconda come l’ennesima espressione di tendenze totalitarie da parte della Cina in quanto stato distopico. La verità non detta, tuttavia, è che l’aggressività stessa della repressione indica un’incapacità più profonda dello stato cinese, che a sua volta è ancora in costruzione.
Questo ci dice realmente qualcosa sulla capacità repressiva dello stato cinese, ma sottolinea anche la più profonda incapacità di quello stato, rivelata dalla sua necessità di fare un così pesante affidamento su una combinazione tra le misure di propaganda totale implementate attraverso ogni aspetto dei media e le mobilitazioni della buona volontà della popolazione locale che, altrimenti, non avrebbe alcun obbligo materiale da prendere in carico.
Sia la propaganda cinese che quella occidentale hanno sottolineato la reale capacità repressiva della quarantena; la prima la racconta come un caso di efficace intervento del governo davanti ad un’emergenza; la seconda come l’ennesima espressione di tendenze totalitarie da parte della Cina in quanto stato distopico. La verità non detta, tuttavia, è che l’aggressività stessa della repressione indica un’incapacità più profonda dello stato cinese, che a sua volta è ancora in costruzione.
Questo stesso fatto ci dà un’idea della
natura della Cina, mostrando come essa stia sviluppando nuove e
innovative tecniche di controllo sociale e di risposta alle crisi, che
possono essere implementate anche in condizioni in cui i meccanismi
statuali siano scarsi o inesistenti. Tali condizioni, nel frattempo,
offrono un quadro ancora più interessante di come la classe dirigente di
un determinato paese potrebbe rispondere nel caso in cui delle crisi
generalizzate e l’insurrezione attiva causassero malfunzionamenti di
analoga natura, e questo anche in stati più strutturati.
L’epidemia virale è stata favorita sotto tutti gli aspetti da scarse connessioni tra i diversi livelli del governo: la repressione dei medici “informatori” da parte di funzionari locali a discapito degli interessi del governo centrale, meccanismi di segnalazione ospedaliera inefficaci e fornitura estremamente scarsa di assistenza sanitaria di base sono solo alcuni esempi. Nel frattempo, diversi governi locali sono tornati – pur a ritmi diversi – alla normalità, quasi completamente al di fuori del controllo dello stato centrale (tranne nello Hubei, l’epicentro).
Al momento della stesura del presente documento [26 febbraio 2020], sembra quasi del tutto casuale quali porti siano operativi e quali località abbiano riavviato la produzione. Ma questa quarantena-bricolage ha fatto sì che le reti logistiche interurbane da città a città fossero interrotte, dal momento che qualsiasi governo locale sembra apparentemente in grado di impedire ai treni o ai camion merci di passare attraverso i suoi confini. E questa incapacità di livello base del governo cinese lo ha costretto a gestire il virus come se fosse un’insurrezione, giocando alla guerra civile contro un nemico invisibile.
L’epidemia virale è stata favorita sotto tutti gli aspetti da scarse connessioni tra i diversi livelli del governo: la repressione dei medici “informatori” da parte di funzionari locali a discapito degli interessi del governo centrale, meccanismi di segnalazione ospedaliera inefficaci e fornitura estremamente scarsa di assistenza sanitaria di base sono solo alcuni esempi. Nel frattempo, diversi governi locali sono tornati – pur a ritmi diversi – alla normalità, quasi completamente al di fuori del controllo dello stato centrale (tranne nello Hubei, l’epicentro).
Al momento della stesura del presente documento [26 febbraio 2020], sembra quasi del tutto casuale quali porti siano operativi e quali località abbiano riavviato la produzione. Ma questa quarantena-bricolage ha fatto sì che le reti logistiche interurbane da città a città fossero interrotte, dal momento che qualsiasi governo locale sembra apparentemente in grado di impedire ai treni o ai camion merci di passare attraverso i suoi confini. E questa incapacità di livello base del governo cinese lo ha costretto a gestire il virus come se fosse un’insurrezione, giocando alla guerra civile contro un nemico invisibile.
L’apparato dello stato nazionale ha
iniziato a mettersi concretamente in moto il 22 gennaio, quando le
autorità hanno esteso le misure di risposta alle emergenze in tutta la
provincia di Hubei e hanno dichiarato al pubblico
di avere l’autorità legale per istituire strutture di quarantena, oltre
a “procurarsi” tutto il personale, i veicoli e le strutture necessarie
al contenimento della malattia, o alla creazione di blocchi e al
controllo del traffico (conferendo le forme dell’ufficialità a delle
pratiche che in ogni caso erano già allora in atto). In altre parole, il
pieno dispiegamento delle risorse statali è iniziato in realtà con una
richiesta di sforzi volontari da parte della popolazione locale.
Da un lato, un disastro di tale gravità metterebbe a dura prova la potenza di qualsiasi stato (vedi, ad esempio, la risposta agli uragani negli Stati Uniti). Ma, dall’altro, ciò ripete un modello comune nell’arte di governo tipica della Cina, in base al quale lo stato centrale, privo di strutture di comando formali ed esecutive efficienti che si estendono fino al livello locale, deve invece per un verso fare affidamento su una combinazione di appelli alla mobilitazione ampiamente pubblicizzati rivolti ai funzionari e ai cittadini locali, mentre per un altro deve ricorrere alla somministrazione di dure punizioni ex post a coloro che hanno risposto in maniera inadeguata (il tutto all’insegna di misure anticorruzione).
L’unica risposta veramente efficace si è verificata in aree specifiche in cui lo stato centrale concentra la maggior parte del suo potere e della sua attenzione, in questo caso, Hubei in generale e Wuhan in particolare. Entro la mattina del 24 gennaio, la città era già in un vero e proprio blocco completo, senza treni in entrata o in uscita quasi un mese dopo che il nuovo ceppo del coronavirus era stato rilevato per la prima volta. I responsabili della sanità nazionale hanno dichiarato che le autorità sanitarie avrebbero avuto la possibilità di esaminare e mettere in quarantena chiunque a propria discrezione.
Oltre alle principali città di Hubei, dozzine di altre città in tutta la Cina, tra cui Pechino, Guangzhou, Nanchino e Shanghai, hanno indetto blocchi di varia entità sui movimenti di persone e merci in entrata e in uscita dai loro confini.
Da un lato, un disastro di tale gravità metterebbe a dura prova la potenza di qualsiasi stato (vedi, ad esempio, la risposta agli uragani negli Stati Uniti). Ma, dall’altro, ciò ripete un modello comune nell’arte di governo tipica della Cina, in base al quale lo stato centrale, privo di strutture di comando formali ed esecutive efficienti che si estendono fino al livello locale, deve invece per un verso fare affidamento su una combinazione di appelli alla mobilitazione ampiamente pubblicizzati rivolti ai funzionari e ai cittadini locali, mentre per un altro deve ricorrere alla somministrazione di dure punizioni ex post a coloro che hanno risposto in maniera inadeguata (il tutto all’insegna di misure anticorruzione).
L’unica risposta veramente efficace si è verificata in aree specifiche in cui lo stato centrale concentra la maggior parte del suo potere e della sua attenzione, in questo caso, Hubei in generale e Wuhan in particolare. Entro la mattina del 24 gennaio, la città era già in un vero e proprio blocco completo, senza treni in entrata o in uscita quasi un mese dopo che il nuovo ceppo del coronavirus era stato rilevato per la prima volta. I responsabili della sanità nazionale hanno dichiarato che le autorità sanitarie avrebbero avuto la possibilità di esaminare e mettere in quarantena chiunque a propria discrezione.
Oltre alle principali città di Hubei, dozzine di altre città in tutta la Cina, tra cui Pechino, Guangzhou, Nanchino e Shanghai, hanno indetto blocchi di varia entità sui movimenti di persone e merci in entrata e in uscita dai loro confini.
In risposta all’appello alla mobilitazione
da parte dello stato centrale, alcune località hanno preso le loro
strane e severe iniziative. Le più spaventose si sono registrate in
quattro città della provincia di Zhejiang, dove sono stati rilasciati passaporti
locali a trenta milioni di persone, permettendo a un solo individuo per
famiglia di uscire di casa una volta ogni due giorni. Città come
Shenzhen e Chengdu hanno ordinato
la chiusura di ogni quartiere e disposto che interi condomini fossero
soggetti alla quarantena per 14 giorni se si fosse individuato al loro
interno un singolo caso confermato del virus.
Nel frattempo, centinaia di persone sono state arrestate o multate per avere “diffuso voci infondate” sulla malattia, e alcuni di coloro che sono fuggiti dalla quarantena sono stati arrestati e condannati a un lungo periodo di prigione – e le carceri stesse stanno vivendo un grave focolaio, a causa dell’incapacità dei funzionari di isolare le persone malate anche in un ambiente che è stato progettato per un facile isolamento. Questo tipo di misure disperate e aggressive rispecchia le misure prese in casi estremi di contro-insurrezione, richiamando chiaramente le azioni dell’occupazione militare-coloniale in luoghi come l’Algeria o, più recentemente, la Palestina.
Mai prima d’ora erano state prese su questa scala, né in megalopoli di questo tipo, che ospitano gran parte della popolazione mondiale. La condotta attuata con queste misure repressive offre quindi una strana sorta di lezione per coloro che hanno in mente la rivoluzione mondiale, dal momento che si tratta essenzialmente di una prova per le reazioni che in una tale circostanza lo stato metterebbe in atto.
Nel frattempo, centinaia di persone sono state arrestate o multate per avere “diffuso voci infondate” sulla malattia, e alcuni di coloro che sono fuggiti dalla quarantena sono stati arrestati e condannati a un lungo periodo di prigione – e le carceri stesse stanno vivendo un grave focolaio, a causa dell’incapacità dei funzionari di isolare le persone malate anche in un ambiente che è stato progettato per un facile isolamento. Questo tipo di misure disperate e aggressive rispecchia le misure prese in casi estremi di contro-insurrezione, richiamando chiaramente le azioni dell’occupazione militare-coloniale in luoghi come l’Algeria o, più recentemente, la Palestina.
Mai prima d’ora erano state prese su questa scala, né in megalopoli di questo tipo, che ospitano gran parte della popolazione mondiale. La condotta attuata con queste misure repressive offre quindi una strana sorta di lezione per coloro che hanno in mente la rivoluzione mondiale, dal momento che si tratta essenzialmente di una prova per le reazioni che in una tale circostanza lo stato metterebbe in atto.
Incapacità
Questa particolare repressione beneficia
del suo apparente carattere umanitario, con lo stato cinese in grado di
mobilitare una grande quantità di gente del posto nell’aiuto a quella
che è, essenzialmente, la nobile causa di frenare la diffusione del
virus. Ma, come c’è da aspettarsi, questo tipo di repressione può
ritorcersi contro i suoi fautori. La controinsurrezione è, dopotutto,
una sorta di guerra disperata portata avanti solo quando più solide
forme di conquista, la pace sociale e l’integrazione economica sono
diventate impossibili. È un’azione costosa, inefficiente e retrograda,
che svela la più profonda incapacità di qualsivoglia potere sia
incaricato di dispiegarla – siano essi gli interessi coloniali francesi,
il decadente impero americano, o altri poteri.
Il risultato della repressione è quasi sempre una seconda insurrezione, feritadal contraccolpo della prima e fattasi ancora più disperata. Qui, la quarantena difficilmente potrà mostrarsi per quello che realmente è: guerra civile e controinsurrezione. Ad ogni modo, la repressione si è, a modo suo, ritorta contro sé stessa. Con gran parte dello sforzo dello stato concentrato sul controllo delle informazioni e sulla incessante propaganda dispiegata attraverso ogni possibile apparato mediatico, le turbolenze si sono espresse in gran parte all’interno di quelle stesse piattaforme.
Il risultato della repressione è quasi sempre una seconda insurrezione, feritadal contraccolpo della prima e fattasi ancora più disperata. Qui, la quarantena difficilmente potrà mostrarsi per quello che realmente è: guerra civile e controinsurrezione. Ad ogni modo, la repressione si è, a modo suo, ritorta contro sé stessa. Con gran parte dello sforzo dello stato concentrato sul controllo delle informazioni e sulla incessante propaganda dispiegata attraverso ogni possibile apparato mediatico, le turbolenze si sono espresse in gran parte all’interno di quelle stesse piattaforme.
La morte del Dr. Li Wenliang, uno dei
primi che ha denunciato i pericoli del virus, il 7 febbraio scosse i
cittadini rinchiusi nelle loro case in tutto il paese. Li era uno degli
otto medici vittime della retata della polizia per aver diffuso
“informazioni false” all’inizio di gennaio, prima di contrarre lui
stesso il virus. La sua morte ha scatenato la rabbia degli internauti e
una dichiarazione di rammarico da parte del governo di Wuhan. La gente
sta iniziando a percepire che lo stato è composto da funzionari e
burocrati maldestri, che non hanno idea di cosa fare ma che conservano
ancora la faccia tosta per farlo. [xvi]
Questo fatto è stato inequivocabilmente dimostrato quando il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, è stato costretto ad ammettere alla televisione di stato che il suo governo aveva ritardato il rilascio di informazioni critiche sul virus dopo che si era verificato un focolaio. La stessa tensione causata dall’epidemia, unita a quella indotta dalla mobilitazione totale dello stato, ha iniziato a rivelare alla popolazione le profonde fessure che si celano dietro l’autoritratto che il governo dipinge di sè. In altre parole, in circostanze come queste, le incapacità strutturali dello stato cinese sono state rese evidenti a un numero crescente di persone che in precedenza avrebbero preso la propaganda del governo per oro colato.
Questo fatto è stato inequivocabilmente dimostrato quando il sindaco di Wuhan, Zhou Xianwang, è stato costretto ad ammettere alla televisione di stato che il suo governo aveva ritardato il rilascio di informazioni critiche sul virus dopo che si era verificato un focolaio. La stessa tensione causata dall’epidemia, unita a quella indotta dalla mobilitazione totale dello stato, ha iniziato a rivelare alla popolazione le profonde fessure che si celano dietro l’autoritratto che il governo dipinge di sè. In altre parole, in circostanze come queste, le incapacità strutturali dello stato cinese sono state rese evidenti a un numero crescente di persone che in precedenza avrebbero preso la propaganda del governo per oro colato.
Sebbene al momento sia improbabile, la semplice possibilità che questo accada ha causato una cascata di richieste di ripristino della produzione in tutto il paese. L’attività economica, tuttavia, si è rimessa in moto in maniera frammentaria: tutto ha ripreso a funzionare senza intoppi in alcune aree, mentre è ancora indefinitamente sospeso in altre. Stando alle ultime disposizioni promulgate dalle autorità centrali, il 1° marzo è la data entro la quale tutte le aree esterne all’epicentro dell’epidemia dovrebbero tornare al lavoro.
Altri effetti sono stati meno visibili, anche se, probabilmente, sono molto più importanti. Molti lavoratori immigrati, compresi quelli che erano rimasti nelle loro città di lavoro per la Festa di Primavera o che avevano intenzione di rientrare prima della messa in atto dei vari blocchi, ora sono costretti a restare in un pericoloso limbo. A Shenzhen, dove la stragrande maggioranza della popolazione è immigrata, la gente del posto riferisce che il numero dei senzatetto ha iniziato a salire. Ma le nuove persone che compaiono per le strade non sono senzatetto a lungo termine: la percezione è quella che siano state letteralmente scaricate lì e che non abbiano nessun altro posto dove andare. Indossano ancora abiti relativamente buoni, ma non sanno dove dormire all’aria aperta o dove trovare del cibo. Vari edifici della città hanno visto un aumento dei piccoli furti, principalmente di cibo (quello consegnato e depositato di fronte alla porta di casa dei residenti in quarantena).
A livello generale, dal momento che la produzione è ferma, i lavoratori stanno perdendo i loro salari. Nel caso delle interruzioni del lavoro, gli scenari migliori che si prospettano sono i dormitori-quarantene come quello imposto nello stabilimento Foxconn di Shenzhen, dove i nuovi “rientrati” sono confinati nei loro alloggi per una settimana o due, venendo pagati un terzo del loro normale salario e sono in seguito autorizzati a tornare sulla loro postazione di lavoro. Le imprese più piccole non hanno tale possibilità e persino il tentativo del governo di dare loro piccoli crediti probabilmente a basso costo, a lungo andare non servirà a gran che. In alcuni casi sembra che il virus stia semplicemente accelerando la tendenza preesistente a delocalizzare le fabbriche, tant’è vero che aziende come Foxconn stanno espandendo la loro produzione in Vietnam, India e Messico per compensare l’attuale rallentamento produttivo.
La guerra surreale
Nel frattempo, la maldestra risposta precoce al virus, la scelta dello stato di affidarsi a misure particolarmente punitive e repressive per controllarlo e l’incapacità del governo centrale di coordinarsi in modo efficace con i territori decentrati per il mantenimento di un equilibrio tra produzione e quarantena, sono altrettanti indicatori della radicale incapacità della macchina statale. Se, come sostiene il nostro amico Lao Xie, l’enfasi dell’amministrazione Xi è stata sulla “costruzione dello stato”, sembra che resti ancora molto da fare al riguardo.
Allo stesso tempo, se la campagna contro COVID-19 può anche essere letta come una battaglia corpo-a-corpo contro l’insurrezione, va notato che il governo centrale ha dimostrato di essere capace di fornire un coordinamento efficace solo nell’epicentro dello Hubei, mentre i provvedimenti presi per altre province – anche in località ricche e rinomate come Hangzhou – rimangono in gran parte scoordinati e inefficaci. Possiamo interpretare tutto ciò in due modi: in primo luogo, come lezione sulla debolezza nascosta sotto all’apparente solidità del potere statale; in secondo luogo, come una messa in guardia dalla minaccia rappresentata dai provvedimenti delle autorità locali. Infatti, quando il meccanismo dello stato centrale è sopraffatto, il mancato coordinamento può portare a risposte scoordinate e irrazionali.
Queste sono lezioni importanti per un’epoca in cui la distruzione provocata dall’accumulazione incessante [di capitale] ha esteso i propri tentacoli sia verso l’alto, nell’atmosfera, sia verso il basso, nel substrato microbiologico della vita sulla terra. Tali crisi diventeranno sempre più comuni. Man mano che la secolare crisi del capitalismo va assumendo un carattere apparentemente non economico, nuove epidemie, carestie, inondazioni e altri disastri “naturali” verranno usati per giustificare l’estensione del controllo statale. E tale risposta alla crisi da parte degli stati rappresenterà una grandiosa opportunità per sperimentare modalità nuove, ancora non testate, di controinsurrezione. Una politica comunista coerente deve cogliere entrambi questi fatti insieme.
A livello teorico, questo significa comprendere che la critica del capitalismo si impoverisce ogni volta che viene separata dalle cosiddette scienze dure. A livello pratico, questo significa che l’unico possibile progetto politico è quello capace di orientarsi su un terreno caratterizzato dalla diffusione del disastro ecologico e microbiologico, e capace di agire in questo perpetuo stato di crisi e di isolamento sociale.
Nella Cina in quarantena iniziamo a intravvedere, abbozzato, un simile scenario: le strade vuote di fine inverno spolverate di neve non calpestata, le facce illuminate dal telefono che scrutano fuori dalle finestre, casuali barricate con un piccolo numero di infermiere al lavoro o di poliziotti o di volontari o semplicemente di attori, pagati per issare bandiere e dirti di indossare la mascherina e tornare a casa. Il contagio è sociale. Quindi, non dovrebbe sorprendere che l’unico modo per combatterlo in una fase così avanzata sia quello di scatenare una sorta di guerra surrealista contro la società stessa.
Non riunitevi, non provocate il caos. Ma il caos si può provocare anche in una situazione di isolamento. Mentre i forni di tutte le fonderie si raffreddano cedendo il posto, prima, a braci leggermente scoppiettanti, poi, a ceneri fredde come la neve, non si può impedire a queste tante isolate disperazioni di uscire dalla quarantena per dare forma, insieme, ad un caos ancora più grande che potrebbe un giorno risultare difficile da contenere, come questo contagio sociale.
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NOTE
[i] Gran parte di ciò che spiegheremo in questa sezione è semplicemente un riassunto conciso delle argomentazioni di Wallace, rivolte ad un pubblico più ampio, senza la necessità di “presentare il caso” ad altri biologi attraverso l’esposizione di argomentazioni rigorose e prove approfondite. Per coloro che vorrebbero contestare le prove di base, ci riferiamo in tutto il testo al lavoro di Wallace e dei suoi compatrioti.
[ii] Robert G Wallace, Big Farms Make Big Flu: Dispatches on Infectious Disease, Agribusiness, and the Nature of Science, Monthly Review Press, 2016. p. 52.
[iii] Ibid, p. 56.
[iv] Ibid, pp. 56-57.
[v] Ibid, p. 57.
[vi] Questo non vuol dire che il confronto degli Stati Uniti con la Cina di oggi non fornisca informazioni. Dal momento che gli Stati Uniti hanno un proprio enorme settore agroindustriale, esso stesso contribuisce in modo esorbitante alla produzione di nuovi virus pericolosi, per non parlare delle infezioni batteriche resistenti agli antibiotici.
[vii] Si veda: Brundage JF, Shanks GD, “What really happened during the 1918 influenza pandemic? The importance of bacterial secondary infections”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 196, No. 11, December 2007. pp. 1717–1718, author reply 1718–1719; Morens DM, Fauci AS, “The 1918 influenza pandemic: Insights for the 21st century”. The Journal of Infectious Diseases. Vol. 195, No. 7, April 2007. pp. 1018–1028.
[viii] Cfr. “Picking Quarrels” nel n° 2 della nostra rivista: http://chuangcn.org/journal/two/picking-quarrels/
[ix] A modo loro, queste due vie di produzione della pandemia rispecchiano ciò che Marx chiama sussunzione “reale” e “formale” nella sfera della produzione vera e propria. Nella sussunzione reale, il processo di produzione stesso viene modificato attraverso l’introduzione di nuove tecnologie in grado di intensificare il ritmo e l’entità della produzione, in modo simile a quello con cui l’ambiente industriale ha cambiato le condizioni di base dell’evoluzione virale così che le nuove mutazioni sono prodotte ad un ritmo accelerato e con maggiore aggressività. Nella sussunzione formale, che precede la sussunzione reale, queste nuove tecnologie non sono ancora implementate. Le forme di produzione preesistenti vengono semplicemente riunite in nuove sedi che hanno rapporti con il mercato globale, come nel caso degli operai tessili che lavorano con il telaio a mano, collocati in una fabbrica che vende i prodotti del loro lavoro per fare profitti. Questo processo è simile al modo in cui i virus prodotti in contesti “naturali” vengono spostati dalle popolazioni animali selvatiche e introdotti nelle popolazioni animali domestiche attraverso il mercato globale.
[x] Tuttavia è un errore equiparare questi ecosistemi a quelli “pre-umani”. La Cina ne è un esempio perfetto, dal momento che molti dei suoi paesaggi naturali apparentemente “incontaminati” erano, in effetti, il prodotto di periodi molto più antichi di espansione umana che spazzarono via specie precedentemente diffuse nell’est asiatico continentale, come gli elefanti.
[xi] Nel linguaggio tecnico questo è un termine generico per 5 o più virus distinti, il più micidiale dei quali è a sua volta semplicemente chiamato virus Ebola (precedentemente virus Zaire).
[xii] Per il caso specifico dell’Africa occidentale, cfr.: RG Wallace, R Kock, L Bergmann, M Gilbert, L Hogerwerf, C Pittiglio, Mattioli R and R Wallace, “Did Neoliberalizing West African Forests Produce a New Niche for Ebola,” International Journal of Health Services, Vol. 46, No. 1, 2016; per una visione più ampia della connessione tra le condizioni economiche e il virus Ebola in quanto tale, cfr. Robert G Wallace and Rodrick Wallace (Eds), Neoliberal Ebola: Modelling Disease Emergence from Finance to Forest and Farm, Springer, 2016; per dichiarazioni più schiette e meno accademiche, cfr. l’articolo di Wallace, al link sopra: “Neoliberal Ebola: the Agroeconomic Origins of the Ebola Outbreak,” Counterpunch, 29 July 2015. <https://www.counterpunch.org/2015/07/29/neoliberal-ebola-the-agroeconomic-origins-of-the-ebola-outbreak/>
[xiii] Cfr. Megan Ybarra, Green Wars: Conservation and Decolonization in the Maya Forest, University of California Press, 2017.
[xiv] È certamente errato affermare che tutto il bracconaggio sia condotto dalla popolazione povera rurale locale o che tutte le guardie forestali nelle foreste nazionali dei diversi paesi operino allo stesso modo degli ex paramilitari anticomunisti, ma gli scontri più violenti e i casi più aggressivi di militarizzazione delle foreste sembrano essenzialmente seguire questo schema. Per una panoramica ad ampio raggio del fenomeno, cfr. Il numero speciale di Geoforum (69/2016) dedicato all’argomento. La prefazione può essere trovata qui: Alice B. Kelly and Megan Ybarra, “Introduction to themed issue: ‘Green security in protected areas’”, Geoforum, Vol. 69, 2016. pp.171-175.
[xv] Di gran lunga la meno pericolosa di tutte le malattie menzionate qui, l’alto bilancio delle vittime da essa causato è stato in gran parte il risultato della sua rapida diffusione a un gran numero di ospiti umani. In termini assoluti ha provocato un elevato numero di morti ma in termini relativi risulta fatale solo in pochi casi.
[xvi] In un’intervista podcast, Au Loong Yu, riportando i pareri di amici che vivono nell’area continentale, afferma che il governo di Wuhan è effettivamente paralizzato dall’epidemia. Au suggerisce che la crisi non stia solo lacerando il tessuto sociale, ma anche la macchina burocratica del PCC, e questo processo si intensificherà quando il virus si diffonderà a tal punto da mettere in crisi le autorità governative locali di tutto il paese. L’intervista è di Daniel Denvir di The Dig, pubblicata il 7 febbraio: https://www.thedigradio.com/podcast/hong-kong-with-au-loong-yu/
[xvii] Il video è autentico, ma bisogna notare che Hong Kong è stata un focolaio particolare di atteggiamenti razzisti e di teorie cospirative dirette contro gli abitanti della Cina continentale e contro il PCC, per cui ciò che viene condiviso sul virus sui social media da parte della gente di Hong Kong dovrebbe essere attentamente controllato.
Fonte QUI
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