Mappa
delle competenze condivise dai partecipanti della piattaforma JOGL sui
progetti Covid-19, e le loro interazioni. Marc Santolini,/JOGL-CRI
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Ovunque
in tutto il mondo, epidemiologi, professionisti, ingegneri (e tanti
altri) sfruttano senza sosta la marea di informazioni sull’epidemia per
modellizzare la sua progressione, predire l’impatto degli interventi
possibili o sviluppare delle soluzioni alla carenza di attrezzature
mediche.
Marc Santolini Generano così modelli e codici aperti riutilizzabili da parte di altri laboratori.
Il
mondo della ricerca e dell’innovazione sembra essere invaso da una
frenesia di collaborazione e di
produzione di conoscenze aperte
altrettanto contagiosa che il coronavirus.
Sarebbe quindi questa la famosa “intelligenza collettiva” che dovrebbe risolvere i nostri problemi planetari più gravi?
Nel 1675 Newton scriveva: “Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle dei giganti.”
Da
allora, il riconoscimento di questa eredità intellettuale collettiva è
diventato uno standard nella ricerca scientifica. Tra l’altro, nella
scienza e nell’ingegneria, oggi, il 90% delle pubblicazioni sono scritte
da equipe di lavoro.
Durante
questi ultimi trent’anni l’arrivo di internet prima, e dei social dopo,
ha partecipato al cancellamento dei limiti tradizionali
dell’intelligenza collettiva, e di società di “sapienti” esclusive con
riviste a pagamento, passando attraverso l’opacità del sistema di
revisione tra pari (peer-review).
La
ricerca accademica vive una situazione tecnologica facilitata e
un’apertura senza precedenti che permette a diversi attori di interagire
in modo immediato e diffuso tra loro. Si osserva una crescita senza
precedenti di riviste ad accesso aperto e di siti di archiviazione di
articoli.
Al di fuori del sistema accademico sorgono delle comunità non istituzionali : hackers, bio-hackers o ancora makers si
auto organizzano on line e partecipano allo sforzo collettivo di
produzione di conoscenze. È questo il terreno fertile che permette una
reazione senza precedenti alla crisi del Covid-19.
Il Covid-19 sveglia l’intelligenza collettiva
All’inizio
dell’epidemia abbiamo visto la ricerca “tradizionale” accelerarsi e
aprire notevolmente i suoi mezzi di produzione. Alcuni giornali
prestigiosi, come Science, Nature, o ancora The Lancet,
che di solito fanno pagare per accedere ai loro contenuti, hanno aperto
l’accesso alle pubblicazioni sul coronavirus e sul Covid-19.
Le
informazioni sulla progressione dell’epidemia sono aggiornate
continuamente – quelle dell’Università John Hopkins, per esempio, sono
il frutto di un lavoro aperto e collaborativo e sono state riutilizzate circa 9.000 volte sulla piattaforma collaborativa Github da parte di altri progetti.
I risultati sono immediatamente pubblicati su dei server di prepubblicazione con accesso aperto, o sugli stessi siti dei laboratori. Algoritmi e visualizzazioni interattive sono on line su GitHub ; video educativi e di divulgazione su YouTube.
I numeri danno le vertigini, con oggi più di 45,000 articoli accademici pubblicati a questo riguardo.
Recentemente, delle initiative popolari che
riuniscono vari attori sono emerse fuori dagli ambienti istituzionali,
utilizzando delle piattaforme on line. Per fare un esempio, una comunità
di biologi, di ingegneri e di sviluppatori è apparsa sulla piattaforma
collaborativa Just One Giant Lab (JOGL)
per sviluppare dei sistemi a basso costo e open-source contro il virus.
Questa piattaforma, concepita da Léo Blondel (Harvard) e Thomas
Landrain (La Paillasse, PILI) durante questi ultimi tre anni, ha come
vocazione quella di essere un istituto di ricerca virtuale, aperto e
diffuso in tutto il pianeta.
La
piattaforma permette alle comunità di auto organizzarsi, per portare
delle soluzioni innovanti a delle problematiche urgenti che richiedono
delle competenze fondamentalmente interdisciplinari, come anche delle
conoscenze “sul campo”. Agisce in effetti come chiave di volta per
facilitare la coordinazione mettendo in relazione bisogno e risorse
all’interno della comunità, l’animazione dei programmi di ricerca e
l’organizzazione dei challenges.
In
particolare, l’utilizzo di algoritmi di raccomandazione permette di
filtrare l’informazione per fare in modo che i contribuenti possano
seguire l’attività e i bisogni della comunità in modo più pertinente,
fluidificando la collaborazione e facilitando la formazione di
un’intelligenza collettiva.
Quando il primo progetto legato
al Covid-19, un test di diagnosi open source e a basso costo, vi è nato
un mese fa, abbiamo assistito a una vera e propria corsa sulla
piattaforma. Il numero di contributi al minuto non smetteva di
aumentare… centinaia di interazioni, creazioni di progetti, scambi… Così
tanto che il server che ospita la piattaforma non teneva più! In un
mese soltanto ci furono più di 60 mila visite da 183 paesi, tra cui 3
mila contribuenti attivi che hanno generato più di 90 progetti, dal
design delle mascherine di protezione a prototipi di ventilatori a basso
costo.
Questa
comunità massiva si è rapidamente organizzata in piccoli gruppi di
lavoro, unendo diverse competenze e universi: data scientists di grandi
imprese, ricercatori antropologi, ingegneri e biologi lavorano insieme
in questo universo virtuale.
La
persona più attiva, coordinatrice emergente della comunità, è stata…
una liceale di 17 anni di Seattle! Questa iniziativa oggi è diventata un
programma di ricerca a tutti gli effetti. OpenCOVID19,
con i suoi 100 mila euro di finanziamento della Axa Research Fund da
ridistribuire ai progetti emergenti secondo un sistema di controllo da
parte della comunità, in partenariato con l’AP-HP [consorzio pubblico degli ospedali universitari dell'area di Parigi].
per facilitare la valutazione e la validazione dei designs destinati ad
un uso ospedaliero, e diversi assi importanti: diagnosi, prevenzione,
trattamento e ancora analisi dei dati e modellizzazione.
L’auto
organizzazione delle comunità è stato l’appannaggio del mondo
open-source e l’origine di un progetto massivo come quello di Linux.
Diventa oggi evidente per la soluzione di problemi globali e
multidisciplinari, mettendo la diversificazione delle competenze al
servizio della complessità.
L’intelligenza collettiva, che cos’è?
Se
riusciamo a misurare l’intelligenza individuale attraverso la riuscita
di diversi compiti e riusciamo così a calcolare un “quoziente
d’intelligenza” individuale (il famoso QI), allora perché non misurare
l’intelligenza di un gruppo di individui grazie alla loro riuscita di
compiti collettivi?
Alcuni ricercatori hanno dimostrato ,
nel 2010, l’esistenza di un « fattore c » d’intelligenza collettiva,
predittivo della riuscita di gruppo in base a diversi compiti.
Rete di competenze dei progetti Covid-19 sulla piattaforma JOGL. Marc Santolini/JOGL |
Perché
un gruppo massimizzi la sua intelligenza collettiva, non c’è bisogno di
riunire persone con un alto QI. Quello che conta è la sensibilità
sociale dei membri, cioè la loro capacità a interagire in modo efficace,
la loro capacità a prendere parola in modo equo durante le discussioni,
o anche la differenziazione dei membri, in particolare la proporzione
tra uomini e donne in seno al gruppo.
Per
dirla diversamente, un gruppo intelligente non è un gruppo formato da
individui intelligenti, ma da individui diversi che interagiscono in
modo adeguato. Gli autori aggiungono: “Sembrerebbe più facile aumentare
l’intelligenza collettiva che quella di un individuo. Potremmo aumentare
l’intelligenza collettiva, per esempio, grazie a migliori mezzi
collaborativi in rete?”
Questo
era lo spirito alla creazione della piattaforma JOGL: si può misurare
in tempo reale l’evoluzione della comunità e l’avanzamento dei progetti,
e in questo modo si può creare una migliore coordinazione dei diversi
programmi, tra cui ovviamente i programmi Covid-19.
I dati offrono anche uno standard quantitativo di “buone pratiche” che
facilitano l’intelligenza collettiva, e che permettono l’avanzamento
delle ricerche di base sulle collaborazioni che esistono in seno della mia équipe di ricerca al Centro di Ricerche Interdisciplinari di Parigi. Infatti, attivando i mezzi scientifici dei social, studiamo come queste dinamiche collaborative sottintendano l’avanzamento delle conoscenze
.
Risveglio effimero o sconvolgimento a lungo termine?
Come
riuscire a perennizzare queste rivoluzioni? Se possiamo trarre anche un
solo insegnamento dagli “hackathons”, quegli eventi che applicano i
principi dell’intelligenza collettiva per produrre dei progetti in un
paio di giorni, è che è difficile stabilizzare l’attività di questi
progetti nel tempo, dopo l’effervescenza dell’evento.
Nonostante
sia troppo presto per trarre delle conclusioni a questo proposito nel
caso dell’OpenCOVID19, esistono diverse piste per immaginare il futuro
di tali collaborazioni massive.
Un punto comune delle comunità che diventano in poco tempo immense è che ci si trova subito persi ! Chi
contattare per risolvere un problema o rispondere a una domanda? La
soluzione: un’ “architettura dell’attenzione” che permetta di guidare
gli individui dove i loro talenti sarebbero più adatti per il progresso
del progetto. In altro modo, è nel sistema di raccomandazioni, questi
stessi algoritmi che hanno fatto il successo di social come Twitter,
Instagram o Facebook, che risiede il Graal di queste comunità.
Un tale approccio, basato sui fondamenti della scienza delle equipe e della scienza delle reti,
permette di utilizzare le tracce digitali lasciate dalla comunità
(interazioni, discussioni, progetti realizzati, competenze dichiarate)
per presentare in un flusso di attività quale sarebbe la migliore
persona da contattare, il progetto più pertinente da aiutare, o anche il
compito più logico da produrre in seguito.
Al centro dell’architettura del JOGL, tali algoritmi permettono così di favorire questi incontri casuali che si rivelano essere, in modo inatteso, benefici alla realizzazione di un progetto.
Lo
sviluppo di tali algoritmi di raccomandazione a profitto di
collaborazioni massive necessita l’apporto di varie discipline, che
vanno dall’informatica alle scienze sociali, passando dalla matematica e
l’etica. Alla fine, il futuro dell’intelligenza collettiva si volge su
se stesso: perché è proprio l’intelligenza collettiva che dovrà mettersi
al servizio del suo stesso divenire.
fonte QUI
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