Se sono rose, fioriranno
Tito Pulsinelli
Obama si e' istallato alla presidenza mantenendo alte le aspettative e la speranza, indispensabili in uno dei momenti piu' critici, cruciale per la nazione nordamericana, scossa da sismi che ne hanno ridimensionato l'egemonia sul resto del mondo.
La simbologia indotta dagli eventi che hanno marcato il debutto di Obama, evoca e rimanda in modo convergente a due cose: e' finita un'epoca, c'e' bisogno di una rifondazione radicale. Si tratta, pero', di un'impresa storica che va oltre le vicissitudini di un corto periodo presidenziale.
Obama qualcosa di chiaro l'ha detta: ci vuole un nuovo inizio, dove prevalga la solidarietá e la coesione, bisogna superare il darwinismo sociale su cui ha prosperato solo il 5% della popolazione.
Se sono rose, fioriranno. La realta' ereditata e' quella di un disastro sociale, che sta tracimando dal finanziario all'economia reale; dalla Borsa alle Banche, dagli azionisti ai detentori di carte di credito, fino ai consumatori dei supermercati.
Obama solletica l'orgoglio dei suoi concittadini, toccando l'argomento sensibile del "sogno americano" che tornera' ad essere tangibile e possibile. E' una buona arma retorica che scuote nel profondo, pero' questo mito identitario e' un valore soprattutto materiale. Legato alla possibilitá di redistribuire eccedenze che provenivano dalla rendita di posizione sul resto del mondo.
Potra' Obama garantire il tenore di vita piu' alto ai suoi connazionali che vivono al di sopra delle loro possibilita' dal 1972 (perlomeno)? Come dare sostanza al "sogno americano" se il dollaro non e' piu' la principale divisa internazionale? Il mondo e' sempre meno disponibile a finanziare i consumi e gli sprechi ecologici degli Stati Uniti, o continuare a subire passivamente la depredazione "finanziaria".
Obama ha ereditato un Paese in aperto declino e deve decidere su che rotta indirizzarlo e che posto vuole occupare nel nuovo scenario multipolare. La scelta fatta dagli USA, dopo l'implosione dell'Unione Sovietica, si e' rivelata una fantasia megalomane: non riescono piu' ad essere i direttori d'orchestra del mercato-mondo. E nemmeno a imporre lo spartito a tutti gli orchestrali.
L'oltranzismo delle elites WASP, in osmosi con l'oligarchia finanziaria sionista, ha lasciato macerie sociali all'interno, e due guerre perse all'esterno. Ci vorrebbe una virata strategica, ma lo lasceranno fare?
Non sopravalutiamo il potere politico in nessun Paese, men che mai negli Stati Uniti, dove il potere economico, militare, finanziario,mediatico -e relative lobby- conformano una vera e propria "democrazia rappresentativa oligarchica".
Obama sará giudicato per le sue opere, non per i discorsi. Per essere meglio di Bush non ci vuole molto. Altra cosa, pero', e' se sara' all'altezza della gravita' della situazione del suo Paese e del declinante egemonismo imperiale. Ci si augura -almeno- che sia uno dei pochi Presidenti democratici a non dichiarare guerre o guerricciole.
In America latina -al di lá degli equilibrismi diplomatici- non ci si aspetta nessuna svolta significativa: la Colombia continuera' ad essere coccolata, il Messico sara' oggetto di crescenti e soffocanti "attenzioni", e con il Brasile tenteranno l'intesa cordiale.
Tra i consiglieri piu' intimi di Obama, la presenza di un dichiarato sionista -combattente in una delle troppe guerre di Israele- viene interpretata come un sinistro presagio che non lascia spazio all'ottimismo, meno all'illusione.
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