Qualche settimana fa ha visitato Buenos Aires Diego Borja, ex ministro d’Economia del governo di Rafael Correa, ex presidente della Banca Centrale dell’Ecuador e attuale coordinatore regionale del progetto della Nuova Architettura Finanziaria e delle politiche economiche dell’ALBA. Tre sono i pilastri della denominata “Proposta Ecuadoriana”: la Banca del Sur, il SUCRE e il Fondo del Sur. La Banca del Sur si propone come una banca alternativa per lo sviluppo regionale, come uno strumento chiave
Un elemento centrale del SUCRE (Sistema Unificato de Pagamenti) è la creazione di una moneta virtuale che sostituisce il dollaro per gli scambi a livello regionale tra i paesi membri dell’ALBA. Tra gli obiettivi dichiarati si trova quello di liberare valute forti per gli investimenti produttivi e di incrementare il commercio interregionale, creando opportunità di commerciare con paesi vicini anche per le piccole e medie imprese che non possono affrontare gli alti costi di transazioni in valuta estera. Al momento partecipano del sistema SUCREBolivia, Cuba, Ecuador e Venezuela.
Il Fondo del Sur è pensato invece come l’alternativa sudamericana al FMI, mediante la creazione di nuovi fondi di riserva a livello regionale. Borja ha parlato a Buenos Aires di questi programmi con l’attenzione posta anche ai chiaroscuri dell’esperienza europea. Di fronte alla crisi dell’UE, ci si domanda se è possibile che una maggiore cooperazione regionale a livello monetario e finanziario incrementi, invece di ridurre (come nel caso europeo), lo spazio politico necessario per implementare strategie di sviluppo alternativo.
“Il vero problema in Europa è l’uscita del neoliberalismo e di questo non se ne parla, perché se si uscisse dall’euro per andare avanti con misure neoliberali non ci sarebbe nessun cambiamento”, riflette il funzionario ecuadoriano e aggiunge: “La configurazione istituzionale è importante, ma più importante ancora è l’obiettivo che si cerca di raggiungere con la stessa. L’Europa dovrebbe configurare istituzioni che le consentano di uscire dal neoliberalismo, perché con la prospettiva dell’aggiustamento strutturale, della stabilità finanziaria, della disciplina fiscale, come propone Angela Merkel, non c’è modo. Il problema finanziario europeo troverebbe soluzione con una volontà politica differente in due giorni, se la Banca Centrale Europea si facesse carico dei debiti e trattasse tutta l’unità monetaria come un insieme. Se c’è unità monetaria deve esistere un’unità politica che permetta la coesione”, questa è una lezione per l’America Latina[3].
In ogni caso, l’ex ministro dell’Ecuador considera che le condizioni oggi sono favorevoli per l’America del Sud e, le esperienze di Unasur, Alba e le altre forme di integrazione regionale presentano un contesto molto differente da quello europeo per prendere decisioni a favore dell’integrazione da prospettive diverse da quella neoliberale. “Una banca di sviluppo, ad esempio, permetterebbe alla Regione di contare su un’istituzione diversa dalla Banca Mondiale e dalla Banca Interamericana di Sviluppo, che sostenga iniziative di sviluppo senza condizioni, dove le decisioni siano sovranamente definite e soggette all’autorità democratica, cosa che oggi non succede in Europa dove osserviamo un’erosione della democrazia.”
Inoltre, un tema centrale è quello dell’uso delle riserve del Tesoro e quindi delruolo delle banche centrali: “La regione ha accumulato riserve per quasi mezzo bilione di dollari che continuano ad essere gestite dentro uno schema neoliberale, investite nelle banche straniere, negli stessi epicentri della crisi, mettendo a rischio questi attivi finanziari” e continua “come presidente della Banca Centrale ho avuto l’onore di modificare questo concetto non funzionale alla nostra economia” per il quale le riserve sono intangibili mentre il paese deve indebitarsi per avviare progetti produttivi o per saldare i debiti precedenti.
Riforme come quella dello status della Banca Centrale sono state intraprese anche in altri paesi delle regione, come abbiamo visto in un nostro precedente articolo sull’Argentina ([4]), comunque si tratta di un cammino irto di ostacoli e terreno di durissimi confronti politici. Inoltre, nonostante l’affinità politica della maggioranza dei governi sudamericani in questo periodo, i meccanismi di integrazione finanziaria alternativi stentano a decollare, perché ci sarebbe, secondo Borja, “una ricomposizione delle forze della vecchia architettura finanziaria che cerca di fermare queste nuove iniziative”.
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La questione dell’ambasciata ecuadoregna a Londra è salita alla ribalta mercoledì 15 agosto, quando il governo del Regno Unito ha comunicato all’Ecuador che, secondo la propria legislazione, avrebbe potuto revocare lo status diplomatico della sua sede di rappresentanza e procedere alla detenzione di Assange per la sua estradizione a Svezia. L’ intimidazione è stata accompagnata dal dispiegamento della polizia inglese attorno all’edificio e dall’immediata risposta dei governi sudamericani in solidarietà con il governo di Quito, condannando la minaccia dell’uso della forza tra Stati e ratificando la piena vigenza del diritto di asilo, come è emerso nelle dichiarazioni approvate in primo luogo dai paesi dell’ALBA (Alleanza Bolivariana Per i Popoli della Nostra America) e, nel precedente weekend, dai ministri degli Esteri del UNASUR (Unione delle Nazioni Sudamericane).
Venerdì scorso l’unione sudamericana ha ottenuto una vera vittoria diplomatica nell’OEA (Organizzazione di Stati Americani) quando, vincendo le resistenze iniziali degli Stati Uniti, Canada e Honduras, è stata approvata una “risoluzione di consenso” (quindi, anche con il voto degli USA) di “solidarietà e sostegno all’Ecuador”, anche senza nominare esplicitamente la minaccia del Regno Unito. Nello stesso incontro l’UNASUR è riuscito a bloccare il tentativo dei governi che appoggiano l’interruzione dell’ordine costituzionale subita dal Paraguay – tra cui gli Stati Uniti – per avviare una strada per il riconoscimento.
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Negli stessi giorni che scoppiava il caso Regno Unito-Ecuador, si celebrava a Buenos Aires l’incontro internazionale “Crisi del Debito e sua risoluzione”. L’evento, presentato e promosso dal Governo come una celebrazione della sua politica economica, è stato aperto nella Casa Rosada (Museo del Bicentenario) con le conferenze di Joseph Stiglitz e della Presidente della Repubblica, in un clima di festa e militanza.
Il Premio Nobel di Economia, salutato dai giovani kirchneristi al grido di “attenzione, attenzione, Stiglitz ti salutano i soldati di Perón”, ha ribadito i suoi elogi all’Argentina per l’uscita dalla crisi in base a una politica di svalutazione e ristrutturazione del debito, mentre ha affermato che il problema dell’ Europa è soprattutto di disegno istituzionale, da quando i paesi hanno abdicato al controllo del tipo di cambio e dei tassi d’interesse con l’unificazione monetaria. “Il patto fiscale europeo è un sistema automatico per la destabilizzazione.Questi accordi peggiorano le cose; regole come quelle delle mete d’inflazione, ad esempio, servono soltanto a creare steccati sempre più pericolosi”, ha segnalato, e sempre a proposito del vecchio continente ha aggiunto: “L’Europa ha bisogno di essere più federale (…) Il disegno istituzionale dell’Europa ha creato il rischio di default, perché, anche se l’euro è una valuta di riserva come il dollaro, i paesi sono finanziati con una valuta che non controllano”, chiamando infine a una ristrutturazione del debito dei paesi periferici che sia accompagnata da un approccio strutturale ai problemi della zona euro.
In merito a questo problema, Cristina Kirchner ha affermato che la principale difficoltà per trovare un’uscita alla crisi finanziaria internazionale è la mancanza di leadership politica e il fatto di “non trovare un riferimento teorico al post-neoliberalismo”, perché “se gli uomini e donne che sono seduti nei palazzi di governo non prendono decisioni, le prendono i mercati e i dirigenti delle banche”. In questa prospettiva una grande responsabilità tocca alla Germania, che fino a poco tempo fa collocava l’80% delle sue esportazioni nel resto di Europa, visto che “se prende fuoco il quartiere qualche sasso per forza ti arriva”, ha ammonito.
Comunque, la Presidente si è soffermata soprattutto su quello che considera i pregi delle politiche argentine di uscita della crisi, i cui elementi cardini sono stati, da una parte, il sostegno della domanda aggregata – “perché i morti non possono pagare i debiti”, come diceva Nestor Kirchner, ha ricordato – e dall’altra, lo “sdebitamento ”. L’Argentina affermò il principio che “nella ristrutturazione del debito i creditori dovevano condividere parte dei costi” perché “la responsabilità del debito non è soltanto di chi prende il prestito, ma piuttosto del creditore, che è quello che ha competenze per capire chi può ritornare o no il denaro”.
L’analisi della risposta argentina al debito, le questioni teoriche e storiche attorno alla prevenzione e gestione delle crisi e l’approfondimento sul caso europeo, sono stati dibattuti dai numerosi esperti locali e internazionali che hanno partecipato nei workshop della Facoltà di Economia della Università di Buenos Aires (UBA), tra cui diversi europei. Il ministro di Economia Hernan Lorenzino ha percorso le principali tappe della politica di sdebitamento argentina, che ha consentito la riduzione del debito sul PIL dal 166% nel 2002 al 42% attuale, soffermandosi in particolare sull’originalità della ristrutturazione dei bond argentini del 2005, di ampio successo eccetto in Italia (i famigerati “tango-bond”), seguendo il modello di condivisione di costi con il creditore con l’applicazione di un taglio vicino al 75 per cento del valore nominale e l’incorporazione di elementi inediti come quello dei titoli vincolati alla crescita del PIL.
Propriamente quest’esperienza può servire oggi all’Europa, crede il Prof. Marcus Miller dell’Università di Warwick, quando propone la creazione di un eurobond vincolato alla crescita europea come strumento per affrontare la crisi. Per il Ministro Lorenzino, l’uscita delle crisi si ottiene con la crescita del PIL e la riduzione delle disuguaglianze sociali, mentre le politiche attuali di Europa si orientano a una distribuzione regressiva dei redditi: “C’è un’appropriazione dei redditi da parte del settore finanziario a scapito dei profitti e dei salari dell’economia reale.
Questo processo per mantenersi esige l’indebitamento dei settori produttivi (…) Mediante le ricette che adesso propongono non si attacca la questione di fondo, che è un problema di distribuzione dei redditi. Vogliono fare aggiustamento strutturale e creare uno spazio fiscale per pagare il debito: la conseguenza è recessione (…) Se in Europa si vuole creare spazio fiscale mediante tagli e aggiustamento strutturale, da noi l’intenzione è sdebitarsi per ricavare spazio fiscale per fare politica contro-ciclica contro la crisi”, conclude.
L’incontro internazionale fa parte delle diverse iniziative promosse sia dal Governo, che da altre istituzioni, attorno alla questione della politica nazionale sul debito, che includono ad esempio l’apertura di un Museo sul Debito Estero Argentino di parte della Facoltà di Scienze Economiche (UBA), che nel prossimo novembre sarà presentato dall’ambasciata argentina in Italia e in altre capitali europee. Queste manifestazioni di carattere celebrativo sono proposte in questi giorni, in consonanza con un avvenimento economico – il pagamento da parte dello Stato del titolo Boden 2012 ai creditori - che è presentato a livello simbolico come culminazione della politica ufficiale del debito e conclusione di una fase della storia argentina [5].
Lo scorso 3 agosto l’Argentina ha rimborsato 2.198 milioni di dollari ai proprietari di questi titoli. L’evento, presentato dalla Presidente Cristina Kirchner in una cerimonia nella Borsa di Commercio come una conquista dell’indipendenza nazionale, si concretizza tuttavia in una congiuntura economica che comincia a mostrare indicatori preoccupanti e in circostanze dove gli umori sociali e politici tendono ad inasprirsi.
L’inflazione è un problema quotidiano, che erode soprattutto i redditi dei lavoratori precari e svantaggiati (i salariati regolari riescono a compensarla mediante la negoziazione collettiva, con incrementi attorno al 25% negli ultimi anni). Il governo resiste ad una forte pressione a favore della svalutazione del peso da parte dei gruppi economici, con il risultato della creazione di un mercato parallelo di monete (il “dollaro blue” con quotazioni 35-40% superiori al dollaro ufficiale) e l’imposizione di politiche di ferreo controllo sulle valute che stanno portando ad un crescente malessere tra i ceti medi (abituati a risparmiare in dollari) e a reali difficoltà per alcune attività economiche e per la reperibilità di beni essenziali: restrizioni delle importazioni, stop dell’attività immobiliare realizzata finora soltanto in dollari, complicazioni per viaggiare all’estero, per l’invio di rimesse dei migranti, ecc. ecc.
La politica di sdebitamento e specialmente il recente rimborso del Boden, sono anche la motivazione alla base delle politiche restrittive e del forte fabbisogno di dollari da parte del Governo. Non sono mancate, per tanto, critiche su queste politiche da parte dell’opposizione. Da posizioni diverse, si mette in discussione l’uso di riserve della Banca Centrale o dei fondi della previdenza per questo tipo di operazioni: per le potenziali conseguenze per la vita della popolazione (inflazione per emissione di moneta; pensioni a rischio), o semplicemente in termini dei principi ideologici, nel caso degli ortodossi del neoliberalismo. Le forze di sinistra o centro-sinistra non allineate con il kirchnerismo criticano il discorso ufficiale e mettono il dito sul fatto che i reali beneficiari di quello che è presentato come politica di liberazione nazionale sono le banche estere e i fondi d’investimento: si stima che tra l’80-85% dei proprietari dei titoli appartengono a questa categoria, perché li avevano acquistati a basso prezzo, negli anni successivi alla crisi argentina, dai piccoli risparmiatori originali.
Da posizioni più radicali, si discute il principio stesso di pagare il debito considerato illegittimo [6] – perché stipolato in primo luogo dalla dittatura mediante numerosi procedimenti giuridicamente illeciti, che includono la nazionalizzazione dei debiti privati dei grandi gruppi economici –, ma invece convalidato dal governo kirchnerista che finisce così per diventare il migliore pagatore agli organismi di credito e alle banche internazionali della storia argentina cambiailmondo.org
[1] “Deuda externa, deuda eterna” in spagnolo.
[2] L’ALBA (Allianza Bolivariana para los Pueblos de Nuestra America) è un accordo tra i paesi dell’America Latina e i Caraibi, nato nel 2004 sotto impulso di Cuba e Venezuela come contrappunto al progetto ALCA (Area di Libero Commercio delle Americhe) promosso dagli Stati Uniti di. Hanno aderito Bolivia, Nicaragua, Honduras (in seguito sospesa in ragione del colpo di stato contro il governo di Zelaya del 2009), Ecuador e gli stati della CARICOM (Comunità Caraibica: Antigua y Barbuda, Dominica, San Vicente, Granadinas).
L’UNASUR (Unione de las Naciones Sudamericanas) è nata nel 2008 tramite il Trattato di Brasilia ed ha esistenza legale dal 2011. E’ costituita da dodici nazioni – Argentina, Bolivia, Brasile, Cile, Colombia, Ecuador, Guyana, Paraguay (sospesa momentaneamente per la rottura dell’ordine costituzionale nella vicenda della destituzione del presidente Lugo), Perù, Surinam, Uruguay e Venezuela – che si pongono come obiettivo sviluppare uno spazio regionale integrato e costituire un’identità e una cittadinanza sudamericana.
[3] “Todas las manos…”. Intervista realizzata da Javier Lewcowicz a Diego Borja per Pagina 12, 5/08/2012.
[5] Si veda: “Kirchner all’Europa: i morti non possono pagare i debiti”, Cambia il Mondo, 20/05/2012. Altre tappe fondamentali della politica di indebitamento sono state: la cancellazione del debito con il FMI nel 2006, che ha consentito prescindere dai suoi interventi e la seconda ristrutturazione dei titoli nel 2010, alla quale hanno finalmente aderito i creditori italiani.
[6] Nell’anno 2000 il giudice federale Jorge Ballesteros ha emesso una sentenza nella causa presentata por un privato cittadino (Alejandro Olmos) dopo 18 anni d’investigazione, dichiarando l’illegittimità del debito estero argentino, stabilendo la responsabilità di funzionari della dittatura che lo hanno contratto, e la corresponsabilità degli organismi internazionali come il FMI, che hanno approvato prestiti illegali e fraudolenti. Poiché l’azione penale era prescritta, il giudice inviò la sentenza al Congresso affinché questo intervenisse secondo le competenze che la Costituzione le attribuisce nel tema del debito pubblico, tuttavia l’argomento non è stato mai preso in considerazione dalla maggioranza parlamentare. Il debito estero che era di 7.000 millioni di dollari all’inizio della dittatura raggiunge i 45 mila milioni alla sua fine, nel 1983.
Nel 1984 un audit realizzato dal Ministero di Economia del governo di Alfonsin sul 50% del debito, aveva determinato che il 90% era illecito, comunque il debito privato nazionalizzato di imprese come Macri, Bridas, Pérez Companc, Bulgheroni, Renault Argentina, Grupo Clarín, Papel Prensa, etc ha continuato a finanziarsi con i governi democratici e si stima che rappresentava la metà del totale negli anni della crisi del 2001. In questi anni si è sviluppato un importante movimento d’attivisti di organizzazioni sociali, di diritti umani, sindacati e partiti, per chiedere la revisione e audit del debito estero, nel quale partecipano riconosciute figure come il Premio Nobel per la Pace Perez Esquivel. Fonte: http://www.cambiailmondo.org
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