Mario Tchou, al centro, a Ivrea nel 1961 in occasione della visita dell’industriale tedesco Krupp (il primo a sinistra) agli stabilimenti Olivetti.
Paolo Brogi Due domande, anzi tre: come è morto Adriano Olivetti? E come è
morto un anno dopo, nel 1961, Mario Tchou? Che fine fece il
supercalcolatore elettronico Elea, che dopo la morte dei due finì alla
General Electric americana? E infine: come è morto subito dopo, nel
1962, Enrico
vedi: Mario Tchou e il sogno spezzato dell’informatica italiana qui
Mattei dell’Eni?
Tra il 1960 e il 1961 l’Italia fu decapitata del programma che insidiava la supremazia americana rappresentata dalla Ibm. Un anno dopo con un altro morto veniva spezzato il sogno di autonomia energetica gestito da Enrico Mattei.
Poco tempo fa è stato Carlo De Benedetti ad avanzare l’ipotesi che Mario Tchou, un genio dell’informatica (nella foto con Roberto Olivetti), sia stato ucciso dagli americani.
Un dato è certo, dopo la morte di Tchou e di Olivetti il
cammino dell’informatica in Occidente prese un’altra strada, quella
americana. E dopo Mattei la supremazia delle Sette Sorelle diventò
inossidabile…
Ma torniamo all’Olivetti e al suo mago elettronico Mario Tchou: chi era Tchou?
Ecco la scheda di Wikipedia:
Mario Tchou (recte: Mario Zhū[1]; Roma, 1924 – Santhià, 9 novembre 1961) è stato un ingegnere italiano di origine cinese, esperto di elettronica, tra gli sviluppatori dell’Olivetti, noto per il ruolo avuto nello sviluppo del progetto di alta tecnologia Olivetti Elea.
Nato a Roma nel 1924, era figlio di Evelyn Waugh e del diplomatico Tchou Yin, che lavorava all’interno del Consolato della Cina imperiale presso la Santa Sede. Intraprese gli studi in Italia, laureandosi poi negli Stati Uniti al Politecnico dell’Università di New York. All’età di 28 anni fu chiamato a insegnare all’Università Columbia di New York.
Data la sua conoscenza dell’elettronica, nel 1955 Adriano Olivetti lo portò in azienda, e gli affidò l’incarico di formare un gruppo di lavoro che, in collaborazione con l’Università di Pisa, aveva l’obiettivo di progettare e costruire un calcolatore elettronico tutto italiano, su suggerimento di Enrico Fermi, utilizzando i 150 milioni già stanziati (per un sincrotrone realizzato invece successivamente a Frascati) per la Calcolatrice Elettronica Pisana a valvole. In seguito lavorò al più grande Olivetti Elea, il massimo supercomputer a transistor dell’epoca, costruito in 40 esemplari.
L’attività di Mario Tchou era improntata a una visione che puntava sull’alta innovazione. Nel laboratorio di Barbaricina (quartiere di Pisa) raccolse i migliori cervelli, tutti giovani:
Egli considerava l’Italia «allo stesso livello dei paesi più
avanzati nel campo delle macchine calcolatrici elettroniche dal punto di
vista qualitativo. Gli altri però ricevono aiuti enormi dallo Stato. Gli Stati Uniti stanziano
somme ingenti per le ricerche elettroniche, specialmente a scopi
militari. Anche la Gran Bretagna spende milioni di sterline. Lo sforzo
di Olivetti è relativamente notevole, ma gli altri hanno un futuro più
sicuro del nostro, essendo aiutati dello Stato»[3].
Il giovane ingegnere cercò personalmente di avvicinarsi a Ivrea, la sede storica piemontese
dell’Olivetti, per abbattere il muro di diffidenza che gli impiegati
del settore meccanico avevano nei confronti della neonata divisione
elettronica. Ma anche i tentativi di Tchou si dimostrarono vani: il
settore meccanico e quello elettronico restarono divisi, come le
rispettive sedi, l’una a Ivrea, l’altra a Borgolombardo, vicino a Milano, dove si trasferì nel 1960 il gruppo di Barbaricina.
Mario Tchou morì in un incidente d’auto il 9 novembre 1961, a soli 37 anni, mentre si recava a Ivrea per discutere del progetto di una nuova architettura hardware
a transistor, basata su un nuovo software: il nuovo progetto avrebbe
dovuto utilizzare come linguaggio di programmazione preferenziale il Palgo, derivativo dell’ALGOL, e un assembler di nome PSICO. L’improvvisa morte di Tchou, successiva di un anno alla morte prematura di Adriano Olivetti, decretò la fine del progetto Elea (il laboratorio guidato da Tchou fu in seguito venduto alla General Electric).
Entrambe le morti chiudono un’importante stagione per l’elettronica
italiana, che vedeva allora la leadership industriale e tecnologica
della Olivetti.
Nel 2013, Carlo De Benedetti,
che guidò negli anni 80 e 90 l’Olivetti, avanzerà l’ipotesi che
l’incidente mortale in cui rimase convolto Tchou sia stato provocato dai
servizi segreti americani per favorire l’IBM.
Nota personale: Mario Tchou era fratello di Maria Tchou, sposata con
Riccardo Mamo, cugino di Paolo Padovani, mio suocero, che aveva lavorato
con Adriano Olivetti nelle edizioni di Comunità. Paolo diceva che Mario
era un vero genio.
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