#UnMesSinSantiago
Potrebbe essere questa che vedete l’immagine per il lancio della nuova campagna pubblicitaria Benetton: il volto un po’ arruffato di un giovane ragazzo argentino, capelli scompigliati, dreadlock in vista e sguardo penetrante su sfondo nero – monocromo -, proprio come quelli che piacciono tanto al bravo Oliviero Toscani, e poi, immancabile, il logo con il motto della celebre azienda italiana, United Colors of Benetton, divenuto, grazie ad abili strategie di marketing, sinonimo di apertura, multiculturalismo, integrazione tra i popoli e le culture.
Santiago Maldonado si è integrato
talmente bene che non lo si trova più. Scomparso nel nulla, anzi,
scomparso nei possedimenti patagonici del gruppo Benetton. D’altra parte
come non perdersi in 900mila ettari di terra? Già, perché le dimensioni
delle proprietà di una tra le maggiori imprese nel mercato
dell’abbigliamento mondiale ammontano a tale spropositata cifra solo in
America Latina. Un’acquisizione – o meglio, un accaparramento – del
valore di 50 milioni di dollari che risale al 1991.
Ma quelle terre non appartenevano allo
stato argentino e men che meno alla Argentine Southern Land Company
Limited, l’impresa inglese che ne deteneva la proprietà legale già dai
primi del ‘900.
Quelle terre appartenevano e appartengono
al popolo Mapuche, gli indigeni araucani che vivono in Patagonia da
tempi immemorabili, ben prima dell’arrivo dei colonizzatori spagnoli. E,
com’è noto, la terra è di chi l’abita. Nessuna legge potrà mai
contraddire questo principio universale.
I Mapuche non possono esibire alcun
titolo di proprietà riferito a quei terreni. Non ne hanno mai avuto
bisogno, né si arrogherebbero mai la presunzione di poter considerare la
natura un oggetto da negoziare. Sono il “Popolo (che) della Terra (mapu)”, e per questo rivendicano il diritto ad abitarla come hanno sempre fatto.
Quando il gruppo Benetton si è
appropriato dei loro luoghi ancestrali, non ha esitato un momento nel
procedere con gli sgomberi forzati di interi villaggi, sfollando le
famiglie e sostituendole con quasi 300mila pecore da lana. Le greggi, è
proverbiale, son mansuete, ma non i Mapuche, che da allora non hanno
smesso di lottare, resistendo e reagendo alle violenze che
periodicamente vengono portate avanti contro i loro membri più attivi,
spesso arrestati e imprigionati dalle autorità nazionali con l’accusa di
terrorismo.
È questo il caso di Facundo Jones Huala, leader della Resistenza Ancestrale Mapuche (RAM),
che da oltre due mesi è detenuto nel carcere di Esquel, nella provincia
di Chubut, per aver promosso e partecipato ad attività di boicottaggio e
riappropriazione di terre che ora appartengono a Benetton.
Il 1 agosto 2017, la Gendarmeria
Nacional, forza armata direttamente agli ordini del Ministero della
Sicurezza del Governo – attualmente presieduto da Mauricio Macri – ha
fatto irruzione nella comunità in resistenza Pu Lof, nella stessa
provincia di Chubut, dove membri della RAM e vari sostenitori della
causa mapuche, stavano manifestando il loro diritto alla terra.
L’intervento repressivo dei militari ha disperso la folla indigena a
suon di cariche, pallottole di gomma e roghi di abitazioni, senza
risparmiare le violenze a donne e bambini.
Santiago Maldonado, un artigiano
ventottenne di Buenos Aires, si trovava lì a sostenere la lotta del
popolo mapuche. Alcuni testimoni raccontano di averlo visto per l’ultima
volta nelle mani della Gendarmeria, ma la stessa arma e il governo
smentiscono.
È trascorso un mese esatto dalla sua sparizione.
L’Argentina non ha bisogno di aggiungere un nuovo nome alla macabra lista dei desaparecidos.
Signor Presidente, donde està Santiago Maldonado?
Signori Benetton, dov’è Santiago Maldonado?
Vogliamo una risposta.
Vogliamo Santiago, vivo.
www.
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