lunes, 7 de enero de 2008

I.S.Freedom: "Ascoltare i morti per la libera informazione"

Libertà di stampa 2007: non basta contare i morti, bisogna ascoltarli, ci insegnano il coraggio

di Stefano Marcelli (presidente di Information Safety and Freedom)


Il Washington Post apre il 2008 schierandosi esplicitamente contro la pena di morte. Questa campagna per la Moratoria delle esecuzioni,approdata vittoriosamente all'Assemblea Generale dell'Onu, proprio sul finale del 2007,con il marchio del Made in Italy, è uno dei pochi buoni auspici per il futuro che s'intravedono in questo inverno. Sarà anche per questo che, di bilanci, sui media, in questo periodo, se ne son visti pochi. La nostra società (e la borsa) ha bisogno di ottimismi e, se si fanno i conti, in quasi tutti i campi, di motivi di buonumore se ne trovano davvero pochi.
I bilanci, quelli obbligatori di fine anno, fanno venire i brividi. L'economia cova probabilmente una nuova crisi di quelle memorabili. La situazione internazionale vede aprirsi ogni giorno nuovi punti di crisi. A Iraq, Afghanistan, Sudan, Libano, Palestina, Iran, si sono aggiunti tragicamente anche Pakistan e Kenia. Ma alle crisi acute vanno aggiunte quelle meno mediatizzate e se si leggono i rapporti delle associazioni umanitarie, allora il quadro delle emergenze dilaga.

Restiamo a ciò che è di nostra competenza, e cioè lo stato della libertà di stampa nel mondo. Il 2007 si è chiuso con un bilancio di 100 giornalisti uccisi nel corso dell'anno. Un dato, questo di Information Safety and Freedom, che coincide sostanzialmente con il conto effettuato nel Rapporto Annuale di Reporters sans frontières (86 giornalisti + 20 operatori dei media). Ma, come dicono gli economisti, quel che conta di più, è il dato tendenziale: dal 2002 ad oggi, i giornalisti uccisi nel mondo sono aumentati del 240 per cento.
Certo, la guerra in Iraq continua a essere il principale scenario degli omicidi. Ora sono in gran parte colleghi iracheni (48 nel 2007, più di 200 dall'inizio del conflitto) a essere uccisi su quel fronte dell'informazione rimasto ormai affidato solo a loro. Alle spalle dell'Iraq, si guadagna il secondo posto la Somalia (otto colleghi uccisi) che riemerge così da un lungo oblio, seguita dalla Colombia che mantiene la propria posizione stabile da anni e dal Pakistan (quattro uccisi ognuno). Del tutto ignorato continua il bagno di sangue nelle Filippine (tre colleghi uccisi anche quest'anno). E così in Messico e Guatemala (3 morti ognuno), Brasile (2 morti), Haiti, Honduras ed El Salvador (1 morto a testa).
Può sembrare inutile e anche noioso elencare queste cifre, ma dietro a ogni numero c'è una situazione di emergenza sul fronte dei diritti umani. Se si arriva fino all'omicidio dei giornalisti, vuol dire che lo stato di queste società è lontano dagli standard democratici. Prima dell'omicidio c'è il controllo economico e politico dei media, ci sono le minacce, gli arresti, gli attentati. (...)
(Continua su http://www.isfreedom.org/home1082.htm)

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