domingo, 14 de septiembre de 2008

Bolivia, il massacro di Porvenir. Chi, come e perché.

di Giovanna Vitrano – Selvas.org

Giovedì mattina andava in scena la classica manifestazione contro le velleità separatiste delle prefetture boliviane della Media Luna : migliaia di campesinos sulla strada, in marcia verso Cobija, una città nei pressi di Porvenir, per urlare il loro dissenso contro le scelte della prefettura (siamo in quella di Pando) e per affermare ancora e ancora l’appoggio al presidente Evo Morales.

Una scena purtroppo “solita”, una cosa che si vede quasi ogni giorno sulle strade boliviane, visto che il “presidente indio” si è messo in testa di governare democraticamente, arrivando persino a destinare addirittura il 30% degli introiti della vendita degli idrocarburi a spese sociali come buoni scuola e pensioni sociali. Su questo ci torniamo dopo.
Adesso siamo per strada, siamo vicini a Porvenir. Stiamo camminando con uomini e donne e bambini, tutti vestiti con i rozzi abiti da lavoro, il lavoro dei campi, quello che rompe la schiena. E poi ci sono le donne, con quei loro buffi cappellini e quegli scialli colorati sulle gonne nere larghe, unte e logore.
Gente che non parla l’inglese, e in molti casi neppure il castillano. Parlano in dialetto, la lingua volgare dei loro padri, della loro storia.
Insomma, sono indios. E per di più sono armati. Hanno bastoni e coltelli, e facce per niente rassicuranti. E camminano, camminano, non hanno intenzione di fermarsi. Gridano slogan contro il prefetto di Pando, Leopoldo Fernandez, cha ha interpretato il successo dell’ultimo referendum come una sorta di “autorizzazione popolare” a riportare gli indios al posto che spetta loro: tra i campi, a lavorare in silenzio per mantenere i latifondi dei grandi proprietari terrieri, senza chiedere nient’altro che la possibilita di campare un giorno in più.
I campesinos, gli indios, però, sono tanti e non sono d’accordo. Sono poveri e non hanno altra forma di lotta se non quella di mettersi in marcia, camminare e camminare, per andare a gridare la loro rabbia sotto i balcino di qualche ufficio “importante”.

I fatti
Questo è quello che volevano fare giovedì, dopo che in tutto il dipartimento del Pando si sono fatte sempre più frequenti le aggressioni, le botte, le violenze contro i contadini dalla pelle scura. Il CSUTCB, una delle più grandi confederazioni sindacali boliviane, ha denunciato la scomparsa di 50 affiliati cochabambini, spariti nel nulla nell’ultimo mese…
Siamo in strada. C’è un ponte. Un piede dietro l’altro, uno slogan dietro l’altro.
Poi comincia a piovere. Non acqua, non pioggia. Piovono pallottole. Da ogni parte. Dall’alto degli alberi e dal basso, oltre delle barricate di stile militare.
Crepitano le mitragliatrici, urlano le donne, i bambini, gli uomini. La folla si scompagina come tante formiche in fuga dal formicaio in fiamme.
Sono otto i morti che restano per strada, chissà quanti i feriti (i numeri ballano da 30 a 150, ma non sono affidabili). Ma a sabato i morti “ufficiali” sono saliti a 30.
“Sparavano pure da postazioni sugli alberi”, raccontano dei testimoni. “Ci stavano aspettando, è stata una vera imboscata”, dicono.
In effetti, non si può nascondere la mano che ha fatto fuoco: troppo imponente è stato l’assalto.
Opera dei mercenari del prefetto Fernandez, proprio quello di cui già nel 2006 era stato denunciato il fatto che fosse giunto a Cobija alla testa di un centinaio di paramilitari “per la sicurezza dei cittadini”.
Questi paramilitari, armati di tutto punto come e forse meglio dell’esercito regolari, sono quelli che incendiano con le loro vessazioni le strade della Media Luna, delle cui bravate è strapieno il sito youtube (personalmente, vi consiglio di dare uno sguardo al documento di Cesar Briè.

I perché
Perché? Per un solo motivo. E non c’entra niente la questione razziale, o la tanto invocata autonomia. Della Bolivia a questi signori non importa poi più di tanto. Che si chiamino Fernandez o Cossio (entrambi prefetti “autonomisti”), che abbiano o meno i baffi, simbolo palese della appartenenza “bianca” e quindi “occidentale”, che o no il doppiopetto, la faccenda non cambia: l’importante sono i soldi e, da qui, il potere.
Voler “stornare” addirittura il 30% degli incassi dalle vendite del petrolio per garantire pensioni sociali e istruzione deve essere sembrato un vero insulto. Voler paragonare questi indios a esseri umani degni è impossibile, oggi come ieri, come è sempre stato, almeno dal XV secolo.
Perché questa terra è proprietà dei poteri economici statunitensi, che si tratti di frutta, di legno, di rame, di acqua o di idrocarburi. Il Comando Sud dell’esercito statunitense è presente con grandi numeri. Le ingerenze nella politica latinoamericana non è affatto una “novità” (qualcuno si ricorda ancora la faccenda Allende? Qualcuno si ricorda del golpe di Banzer? Qualcuno si ricorda del Plan Condor, degli anni Settanta?).
Gli idrocarburi, materia più preziosa ogni giorno che passa, non possono essere nazionalizzati da un paesino del terzo mondo, una macchia sul mappamondo, una terra che perfino gli Spagnoli del Cinquecento hanno dichiarato che “non esiste”.
Allora come oggi. C’è la Repsol, ma c’è anche la Union Fruit, la Total, la Coca Cola…
Non si può nazionalizzare la produzione agricola e industriale boliviana.
Non lo si può lasciar fare.

Ambasciator porta pena
Solo un accenno alla cacciata dell’ambasciatore statunitense in Bolivia, Philip Goldberg.
Tutti hanno gridatoallo scandalo per l’allontanamento del diplomatico, senza fare il minimo accenno alle cause della difficile decisione del presidente Morales.
Goldberg è stato accusato (prove alla mano) di aver girato fondi statunitensi ai paramilitari della Media Luna, che si tratti dei banditi di Fernandez o che si tratti degli squadristi della Juventud Cruceña, il cui lieder è un certo Branko Gora Marinkovic (di cui Goldberg non nasconde la “fraterna amicizia”), figlio di Silvio Marinkovic, croato, sostenitore del Programma Nazista.
E’ un facoltoso proprietario terriero, è stato Direttore generale della Oleaginous Industries Corp., è azionista e direttore del Banco Economico ed ha ruoli importanti all’intreno del Cadex, IBCE, e Cainco.
Se volete sapere chi è Philip Goldberg potete leggere l’articolo pubblicato su Selvas nel 2007, proprio all’indomani del suo incarico.
Qualunque altro commento sarebbe superfluo.

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