Giuseppe Angiuli cambiailmondo.org
Alla fine degli anni ’80 del secolo scorso, i locali discepoli del “gran sacerdote” Milton Friedman (tra i quali si segnalava l’allora Ministro dell’Industria Moisès Naìm, spesso ospitato sulle colonne del settimanale italico pseudo-progressista l’Espresso, bibbia della nostra borghesia de sinistra) avevano appena finito di privatizzare tutto ciò che c’era da privatizzare in Venezuela, con la consueta egida del F.M.I., quando tra le strade di Caracas scoppiò il finimondo: la rivolta del Caracazo, nel 1989, fece centinaia di morti tra la popolazione civile che, esasperata dal costo della vita divenuto insostenibile,
prese d’assalto banche e supermercati, un po’ come avrebbero fatto poco più di un decennio dopo, per cause analoghe, gli abitanti di Buenos Aires all’insegna del motto “que se vayan todos!”.
Non tutti i settori della società venezuelana hanno accettato di buon grado l’avvento del socialismo bolivariano a conduzione chavista: i gruppi sociali che, prima dell’avvento di Chavez si collocavano nei piani alti della piramide sociale, non hanno perdonato al Governo la pesante ingerenza nei loro affari, dalla inedita imposizione fiscale (prima quasi del tutto assente nel Paese) ai penetranti controlli sulla regolarità del lavoro subordinato.
A tal proposito, mi ha colpito non poco scoprire che in Venezuela, quando gli ispettori del lavoro “fanno visita” ad un esercizio commerciale riscontrandovi delle irregolarità fiscali o contributive, sono autorizzati dalla legge ad apporre una specie di cartello con funzione di marchio d’infamia sulla porta d’ingresso del negozio, a beneficio informativo della clientela. Il punto più critico dell’azione governativa, denunciato con particolare intensità dalla comunità di emigrati italiani presente in Venezuela, è quello degli espropri di alcune aziende.
Il socialismo chavista riconosce il diritto alla proprietà privata e permette piena libertà alla piccola iniziativa d’impresa ma interviene incisivamente sull’accumulazione di capitale medio-grande con azioni mirate di esproprio per pubblica utilità, in particolare contro le fabbriche e gli stabilimenti ritenuti fermi o improduttivi. Un imprenditore di origini italiane stabilitosi a Maracay non ci nasconde che per lui, se Chavez dovesse vincere anche le prossime elezioni previste per la fine del 2012, sarebbe preferibile spostare la sua azienda in Brasile, Paese ritenuto più sicuro per gli investitori privati. La verità è che le azioni di esproprio sono spesso dirette da ambienti militari, nei quali può annidarsi un tendenziale arbitrio che a volte collima con una propensione endemica alla corruzione, costume ahimè molto diffuso a queste latitudini.
Un Paese in cui si percepiscono sentimenti contrastanti, quindi, il Venezuela, ma davvero molto lontano dall’immagine rozza, falsa e caricaturale fornita dai mass media italiani ed europei, che per descrivere il Paese sudamericano sono spesso soliti ricorrere impunemente all’epiteto diffamante (oltreché fuorviante) di “dittatura”. Nel quartiere coloniale di El Hatillo, sito alla periferia di Caracas, sono tutti benestanti e di indole anti-chavista. Il titolare di un bar-paninoteca sfoga senza remore il suo sentimento ostile al governo: “Lavoravo nella grande azienda petrolifera statale (la PdVSA, n.d.r.) ma quando c’è stata la serrata che paralizzò per diversi mesi il Paese (3), alla quale aderii, sono stato licenziato.
Tuttavia adesso ho una mia impresa che fattura l’equivalente di circa 600 dollari al giorno”. Se di “dittatura” si tratta - mi viene subito da pensare - è una dittatura alquanto liberal, visto che il chavismo ben permette ad un dissidente epurato dalla più importante azienda di Stato di aprire un’attività ricettiva in un elegante quartiere della capitale, con un fatturato niente male! Negli ambienti vicini a Chavez, viceversa, si respira un’atmosfera di elettrizzante e contagioso entusiasmo che la recente malattia del Presidente ha finito per rinvigorire, anziché abbattere: per tutta la capitale si leggono scritte e murales che augurano una pronta guarigione al Presidente con l’incitamento “Pa’ lante, Comandante” (Avanti, comandante)!
Tra gli intellettuali ed i giovani chavisti, il fermento è palpabile: a Caracas si lavora sul cinema, sulla cultura, sulle iniziative che valorizzino le identità indigene ancestrali ed anche sulla riorganizzazione dei mezzi di comunicazione, oggi in Venezuela ritenuti un bene del popolo e per il popolo. Il governo chavista negli ultimi anni ha revocato la concessione a trasmettere via etere anche a storiche televisioni commerciali come R.C.T.V. ma al contempo ha distribuito dal basso nuove frequenze ad associazioni e gruppi di quartiere: da qui la esplosione delle TV e radio comunitarie, un’esperienza di reale democrazia partecipativa che dalle nostre parti è ritenuta assolutamente “roba da marziani” ma che invece in America latina vive una diffusione a macchia d’olio.
E che il sistema della comunicazione in Venezuela funzioni ben diversamente che da noi lo si comprende anche dal grado di diffusione di certe notizie che qui in Italia non sono certo possedute dall’uomo della strada: un istruttore di nuoto di mezza età, che mi ha offerto gentilmente di aiutarmi a cercare un taxi in un mio momento di difficoltà, mi spiega dettagliatamente cosa è accaduto alla Libia di Gheddafi (appena “aggredita dall’Impero”) e ci tiene a mostrarmi un filmato memorizzato sul suo cellulare che ritrae gli ultimi momenti di vita del leader libico.
Da una frase in idioma spagnolo scappata dalla voce di uno dei carnefici di Gheddafi (“el fusil, el fusil!”) si deduce la probabile presenza anche a Sirte degli immancabili para-militari colombiani. “Se lo hanno fatto alla Libia – conclude il mio gentile amico venezuelano – un giorno potranno farlo anche a noi. Ma a quel punto noi ci stringeremo in un abbraccio difensivo che coinvolgerà tutto il continente, a cominciare dal nostro buon vicino Brasile. E vinceremo!”.
In un’Europa sconvolta dalla crisi dei debiti sovrani, dal dominio della finanza tecnocratica, dal generale impoverimento dei ceti medio-bassi e dalla costante incertezza verso il futuro che ci attende, non farebbe male a nessuno rivolgere un maggiore sguardo di attenzione verso il continente sudamericano, che pulsa di vitalità e voglia di crescita, ricordando sotto tanti aspetti i gioiosi anni ’50 e ’60 del novecento, fase che in Europa fu vissuta dalla generazione protagonista dell’immediato dopoguerra. Il socialismo latino-americano del XXI° secolo è interessante da studiare perché non ha dogmi ma è allo stesso tempo un laboratorio di idee ed un cantiere vivo di progetti in carne ed ossa.
E’ un socialismo redistributivo, gradualista ed autenticamente riformista (quanto è abusata in Italia, ed a sproposito, questa antica categoria concettuale!). Un socialismo fondato sull’inclusione e sull’aspirazione al riscatto dei poveri e degli emarginati. Un socialismo condito da un sano nazionalismo patriottico di stampo sovranista e solidale.
Un socialismo che può apparire liberticida soltanto a chi ritiene che la più sacra delle libertà dell’uomo sia quella di arricchirsi. Un socialismo che guarda anche a noi che viviamo nel cosiddetto “mondo ricco” (ricco ancora per quanto tempo?), ricordandoci che quando l’uomo è totalmente alienato dal lavoro ed è tutto preso dalla smania compulsiva di “competere” con i suoi simili, ha già perso una buona fetta della propria umanità, anche se non ne è consapevole.
Giulio Santosuosso, docente universitario di origini italiane, già assistente del prof. Lucio Lombardo Radice alla “Sapienza” di Roma, da circa 35 anni emigrato in Venezuela, afferma di essere arrivato qui dopo avere compreso che “l’occidente è morto da tempo”. La sua idea di socialismo è stata condensata nello scritto "Socialismo en un paradigma liberal".
Monica Vistali, giovane giornalista professionista di origini bresciane, racconta quotidianamente la vita a Caracas dalle pagine del suo blog (http://monicacaracas.blogspot.com ): lei invece ha scelto di rimanere a vivere in Venezuela semplicemente “perché qui l’aria è più frizzante”.
NOTE: 1) Tale vicenda, molto poco conosciuta in Italia, è stata raccontata in un raro documentario (“La rivoluzione non sarà teletrasmessa”) realizzato da una troupe nord-europea, che si trovò casualmente a poter filmare sia l’arresto di Chavez all’interno del Palazzo presidenziale che il suo repentino ritorno a bordo di un elicottero militare.
2) Per comprendere appieno gli storici meccanismi di sfruttamento socio-economico di tipo coloniale che per secoli (a partire dalle dominazioni spagnola e portoghese nel ‘500 per giungere al dominio inglese nel ‘700 ed a quello yankee nel ‘900) hanno ingabbiato i popoli latino-americani, impedendo sviluppo e autodeterminazione, è fondamentale la lettura del libro scritto dall’intellettuale uruguayano Eduardo Galeano “Le vene aperte dell’America latina”, pubblicato in Italia nella collana editoriale "Continente desaparecido" curata dalla Sperling & Kupfer Editori. Il libro è stato pubblicamente dato in omaggio da Chavez a Barack Obama, nel corso di una recente conferenza intergovernativa.
3) Dopo il fallito tentativo di Golpe del 2002, l’opposizione venezuelana nel 2003 mise in atto una vasta azione di sabotaggio dell’intera attività estrattiva di petrolio, col deliberato intento di mettere in ginocchio il Paese e costringere il Presidente alle dimissioni. Tale azione ricordò il famigerato sciopero dei camionisti che paralizzò il Cile alla vigilia del colpo di Stato contro Salvador Allende, nel 197
Sugli eventi del golpe anti-Chavez e la risposta popolare, oltre alla presenza italiana all'interno della rivoluzione bolivariana guarda il film-documentario "Venezuela dopo la tempesta", di R. Ricci e F. Galli :
No hay comentarios:
Publicar un comentario