lunes, 25 de junio de 2012

Cina - Lavoratori cercansi: una lettura della carestia di migranti

Le campagne sono ancora un bacino illimitato di forza lavoro a basso costo?
Ivan Franceschini

cineresie.info All’inizio di marzo del 2012 il “Nanfang Zhoumo” riportava come il comune di Xintang a Guangzhou, un luogo che alcuni conoscono come la “capitale dei jeans” (niuzaifu zhi du), ma che è noto ai più in quanto teatro di violenti scontri tra lavoratori migranti e forze di pubblica sicurezza, fosse paralizzato a causa dall’assenza di lavoratori migranti. Alla fine di febbraio, quasi un mese dopo il capodanno lunare, le oltre quattromila aziende di abbigliamento e prodotti complementari che costituivano la spina dorsale di questa comunità erano in ginocchio, piegate da una scarsità di forza lavoro che arrivava fino al 70%
della domandaNon solo le fabbriche di Xintang, già provate da un crollo del 30% negli ordini causato dalla crisi europea e da una contrazione dei margini di profitto a meno del 5%, avevano dovuto rinunciare a far fronte ai propri ordini, ma i commercianti avevano dovuto fermare i propri affari per l’assenza di merci da vendere e gli alberghi e i ristoranti avevano dovuto chiudere per mancanza di clienti e di personale
La gente del posto dichiarava che anche negli anni precedenti c’erano stati problemi del genere nel periodo successivo alle feste, ma che la situazione non era mai stata così grave. La domanda sorgeva inevitabile: che la riluttanza dei lavoratori migranti a tornare a lavorare a Xintang fosse una strategia di resistenza di fronte alle violenze dell’anno precedente?

Un milione di lavoratori manca all’appello

In realtà, la vicenda di Xintang si inserisce nel contesto di un problema sociale più ampio, quello della “carestia di migranti” (mingonghuang), un fenomeno che ogni anno, da quasi un decennio, occupa regolarmente le pagine dei media cinesi. Il 2012 in questo non fa eccezione. Stando ad una articolo pubblicato sul “21st Century Business Herald“, nel periodo successivo alla Festa di primavera, l’Ufficio per l’occupazione dello Hubei stimava che i posti di lavoro rimasti vacanti nella provincia fossero circa cinque o seicentomila; nello stesso periodo, secondo l’Ufficio delle risorse umane e della previdenza sociale della provincia del Guangdong, nell’area del Delta del Fiume delle Perle mancava all’appello circa un milione di lavoratori, il 5% della forza lavoro totale.
Dati del genere non sono certo giunti inaspettati. Stando ad un’indagine condotta nel quarto trimestre del 2011 su 91 strutture pubbliche di servizio all’occupazione: a fronte di 4.486.000 posti di lavoro offerti, si erano fatti avanti solamente 4.298.000 persone alla ricerca di un’occupazione, con un rapporto di 1,04 tra la domanda e l’offerta. Al contempo, negli ultimi anni sono emersi diversi segnali che dimostrano come nel Paese si stia rafforzando la tendenza alle migrazioni intra-provinciali, con un conseguente inasprimento della competizione tra aree centrali e le aree costiere per la manodopera. Questa dinamica risulta particolarmente evidente se si considera il fatto che nei tre anni compresi tra il 2009 e il 2011 la percentuale di lavoratori migranti dello Hubei che ha trovato lavoro all’interno della provincia è stata rispettivamente del 40%, 43% e 47%.

Le ragioni della carestia di manodopera

La “carestia di manodopera” ha fatto la sua comparsa per la prima volta in Cina nel 2003, scardinando la pluri-decennale convinzione che le campagne cinesi costituissero un bacino pressochè illimitato di forza lavoro a basso costo, in grado di sostenere la crescita economica per ancora molti anni a venire. Se fino a quel momento il problema principale per i datori di lavoro, cinesi e stranieri, era stato quello di trovare della manodopera qualificata, dopo il 2003 anche solamente trovare un numero sufficiente di lavoratori per azionare le catene di montaggio e manovrare i macchinari è diventato un problema, soprattutto nei periodi che precedono e seguono le festività.
In molti si sono interrogati sulle ragioni di questa scarsità. Zhang Yi dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali in uno studio pubblicato nel “Libro blu sulla società cinese nel 2012″ ha elencato sei cause: l’evoluzione della struttura demograficacausata dalla politica del figlio unico; il cambiamento strutturale nell’offerta di lavoro, con il numero di lavoratori con diploma di scuola media che sta progressivamente scendendo a fronte di un mercato che continua ad aver bisogno di manodopera con un livello culturale basso; la crescente domanda di manodopera nelle aree meno sviluppate, trainata dalla crescita economica delle aree centrali ed occidentali del Paese; il livello eccessivamente basso dei salari, che non è più in grado di attrarre la forza lavoro come un tempo, soprattutto a fronte di un crescente costo della vita; la progressiva riduzione del divario tra i salari nelle aree costiere e nelle zone dell’interno; la breve durata dei contratti di lavoro.

Un’arma in più nelle mani dei lavoratori

Se da un lato questa “carestia” costituisce l’ennesima sfida per chi vuole fare impresa in Cina, dall’altro la scarsità di manodopera aumenta notevolmente la forza contrattuale dei lavoratori migranti, i quali di fronte a salari e condizioni di lavoro insoddisfacenti possono sempre scegliere di “votare con i piedi” (yijiao toupiao). Inoltre, la competizione tra le aree costiere e le aree dell’interno per attrarre la forza lavoro si traduce in altre dinamiche favorevoli ai lavoratori, quali ad esempio innalzamenti generali dei salari minimi e l’adozione di nuove norme per tutelare il lavoro: stando a dati del Ministero del Personale e della Sicurezza Sociale, alla fine di settembre del 2011 ventuno città e province avevano innalzato il proprio salario minimo, un aumento medio del 21,7%. Un ulteriore giro di aumenti è poi previsto per i primi mesi del 2012.
In questa situazione, quale via d’uscita per l’impresa? Come ha scritto di recente il “Quotidiano del Popolo“, rispondere alla “carestia” semplicemente assumendo nuovi lavoratori rappresenta uno spreco di risorse umane e di soldi per l’impresa. Se da un lato, come ha evidenziato Zhang Yi, le autorità cinesi hanno la responsabilità di innalzare il livello di integrazione dei migranti nelle città, rafforzare l’applicazione della legislazione esistente, coordinare lo sviluppo delle varie aree e perfezionare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro, dall’altro le aziende possono reagire investendo parte dei profitti nella formazione dei dipendenti, garantendo loro un lavoro dignitoso e facendo sì che i lavoratori si sentano parte dell’impresa. 
Questo a sua volta dovrebbe ottenere un sostegno da parte delle autorità nella forma di aiuti ed esenzioni fiscali, come ha sostenuto Zhang Feng dell’Università di Pechino intervistato dai giornalisti del “Diyi Caijing Ribao“. Solamente a queste condizioni sarà possibile accogliere l’appello del “Quotidiano del Popolo” a “servirsi del domani per trattenere i lavoratori” (yong mingtian liuzhu nongmingong).

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