viernes, 13 de octubre de 2017

TEATRALITÀ di TRUMP e MISSILI dell'IRAN

IranMissiles_update_06  Coriolanis Un Trump sempre più teatrale e mediatico ha scaricato sul Congresso degli Stati Uniti la decisione sul futuro del trattato siglato con l'Iran. La Casa Bianca ha sceneggiato un'altra volta il numero dei "puro e duro", minaccia sfracelli in tutti i continenti ma poi -stringi stringi- scarica sui deputati e senatori la responsabilità
di decidere. Sapendo che assemblare una maggioranza è problematico. Un accordo multilaterale che impegna lo Stato nordamericano è declassato al rango di "politica interna" dei partiti nazionali o delle lorocorrenti . E' un altro passo verso l'auto-isolazionanismo? Forse per l'elettorato di Trump, ma per Israele -allarmato dalla unità d'azione Russia-Iran-Hezbollah- è poco più che uno stimolo morale. Il Medioriente non solo non è mai diventato Grande Medioriente, ma vede la minimizzazione dell'influenza degli USA, preludio dell'imminente uscita di scena dall'area. 

Tutti i 5 Paesi garanti del Trattato multilaterale che  regola la questione nucleare iraniana, si sono affrettati a prendere distanza e dissociarsi pubblicamente dalla mossa spettacolare di Trump. La Germania e la Francia, come pure l'Unione Europea, non hanno nessun interesse a congelare i contratti e i sostanziosi progetti già avviati con l'Iran. E' scaduto il tempo dei boicottaggi unilaterali decretati a Washington, il cui peso ricade sempre e unicamente sull'Europa, visto che da trent'anni gli USA non hanno nessuna relazione con Teheran. Il gas proveniente dalla Russia non va bene, quello inviato dall'Iran neppure. USA/Nato sembra troppo interessata a controllare il rubinetto dei flussi energetici verso il vecchio continente.  

La Russia e la Cina hanno messo in guardia sulle conseguenze del disconoscimento di un Trattato di questa rilevanza. Dopo l'apocalittico scenario tratteggiato davanti all'Assemblea generale dell'ONU, c'è stato il ritiro dall'accordo climatico stipulato a Parigi, poi l'uscita dall'Unicef. Minacciare di cancellare dalla carta geografica la Corea del nord e di aggredire militarmente altre quattro nazioni, non è più persuasivo nè un deterrente. Per ultimo, a causa di imprecisate "radiazione acustiche", c'è stata persino il siluro sulle relazioni diplomariche con Cuba, riannodate alcuni mesi addietro.

D'ora in poi, sarà legittimo chiedersi se ha senso firmare accordi con gli USA. Chi siederà a un tavolo negoziale? I nord-coreani sanno dell'inaffidabilità sin dalla firma delll'armistizio di Panmunjeom nel 1954. Questo "stile" che autorizza a sacrificare la trasparenza, quasi fosse un diritto speciale acquisito, è causa della pessima relazioni attuali con la Turchia. Tutto ha un prezzo. Dopo il colpo di Stato dell'estate del 2016, smantellato da Erdogan, questi denunciava la mano non tanto occulta di Washington. Da baluardo avanzato della NATO, la Turchia ha poi agito in piena autonomia in Siria ed ha deciso di dotarsi del sistema di difesa aerea S-400 venduto dal Cremlino. Si consolida, pertanto, un'intesa solida con l'Iran e l'Iraq che fa scattare la sirena d'allarme a Tel Aviv.

Da un lato molto rumore mediatico e diplomazia teatrale, rivolta contro "amici" e ostili, dall'altra una sequenza di passi sostanziali e convergenti tesi a consolidare l'arco di forze del mondo pluripolare. E' vero "auto-isolazionismo"? Non sembra. E' un altro obiettivo ottenuto dalla Giunta militare insediata nel gabinetto di Trump, dopo l'assegnazione al Pentagono di 800 miliardi. Persino un ulteriore invio in Afganistan di un contigente di truppe, tanto per rinviare l'epilogo infruttuoso di una guerra durata più a lungo della spedizione in Europa del 1943. A quel tempo, però, azzerarono la concorrenza delle due economie egemoniche: Germania e Giappone. Oggi la Cina, invece, ha scalato la prima posizione.

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