martes, 3 de junio de 2008

FAO: Ecco chi specula sulla fame. Avanti dritto!


Giampaolo Cadalanu

ROMA - Non poteva esserci un momento più adatto per il vertice della Fao, in piena crisi alimentare mondiale. L'agenzia dell'Onu che combatte la fame dovrà cercare nuove risposte contro problemi vecchi e sfide inattese, dalle emergenze climatiche all'avvento dei biocarburanti, all'esplosione dei prezzi.

Ma stavolta nei negoziati a viale Aventino c'è un elemento nuovo. È la coscienza precisa che la nuova crisi è opera dell'uomo. La certezza che se le scorte alimentari sono ai minimi storici e i prezzi ai massimi livelli, la causa non è un'imprevedibile ondata di maltempo. È la scoperta che dalla sofferenza estesa c'è chi guadagna, e molto bene.

"Facciamo i nomi di chi si è arricchito", dice Marco De Ponte, segretario generale di ActionAid, una delle organizzazioni non governative più agguerrite. E sono nomi noti, quelli delle cinque multinazionali che controllano più dell'80 per cento del mercato dei cereali con accanto le cifre esplosive dei profitti 2007:

Cargill (+36 per cento),
Archer Daniels Midland (+67%),
ConAgra (+30%),
Bunge (+49%)
Dreyfuss (+19% nel 2006).
Molto bene è andata anche ai giganti produttori di sementi, erbicidi e pesticidi: Monsanto, Bayer, Dupont, Basf, Dow, Potashcorp e anche a fabbricanti di trattori come la Case New Holland.

Sotto accusa ovunque è il modello produttivo iperliberista, che dà mano libera alla speculazione finanziaria, e con l'aiuto di Fondo monetario e Banca Mondiale ha favorito la vecchia "linea" di privilegio della monocoltura per esportazioni.

La parola d'ordine è "filiera corta" nello spazio e nel tempo, cioè produzione orientata per i
consumi locali o d'area. "Oggi", spiega Antonio Onorati di Crocevia, "a decidere i prezzi è la grande distribuzione, catene come Auchan o Wal-Mart. Che trattano direttamente con i produttori e incassano la fetta più grande dei prezzi finali".


Anche il governo italiano ha una sua ricetta per governare la globalizzazione: "Servono tre cose", dice Adolfo Urso, sottosegretario allo Sviluppo economico: "Produrre a sufficienza per tutti, anche se questo comporta ripensare la politica comunitaria Ue; far leva sull'export di tecnologia, agricola ma anche finanziaria, per esempio con strumenti come il microcredito; rivalutare la posizione sugli Ogm, senza scelte ideologiche ma garantendo la tracciabilità e la tutela delle produzioni di alta qualità".
Secondo Urso è indispensabile "collegare la crisi alimentare con il Doha Round", il negoziato del Wto.

Quest'ultima prospettiva in realtà è già prevista nella bozza di documento finale preparata da esperti delle "economie agricole forti" (Ue, Usa, Canada e Brasile), che Repubblica ha potuto vedere prima ancora della discussione.
Il punto più controverso è proprio il richiamo ai paesi membri del Wto perché si impegnino "a stabilire un regime agricolo internazionale più corretto e orientato al mercato, che aiuterà le economie emergenti ad aumentare la capacità produttiva". Per chi non ce la fa, è previsto un meccanismo di aiuti.

Ma è proprio questo schema - mercato libero e assistenza - che non convince le Ong.
"I paesi in via di sviluppo sono costretti a un bivio", dice ancora Onorati: "I più deboli devono ricorrere agli aiuti internazionali, che spesso sono meccanismi ideati solo per assorbire a prezzi garantiti i surplus dell'occidente. I più dinamici invece sono spinti sempre verso l'agricoltura intensiva per l'esportazione, secondo il modello iperliberista. Invece per favorire la produzione legata ai consumi locali bisogna ripensare a meccanismi protettivi".

I presupposti, insomma, lasciano poco spazio all'ottimismo. La promessa del 1996, quando i leader del pianeta si impegnarono a dimezzare il numero delle persone a rischio entro il 2015, rischia di restare l'ennesima parola al vento dell'occidente.
Dodici anni fa, a rischio di sopravvivenza erano 800 milioni, oggi sono 854 milioni. E se si continua a investire sui biocarburanti anziché sul pane, dice Oxfam, nel 2025 ci saranno altri 600 milioni di affamati.

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