9° Forum Sociale Mondiale a BELEM (Para) Brasile. Oltre 100mila partecipanti da tutto il mondo. Migliaia le organizzazioni della società civile per costruire un mondo migliore, non solo possibile, ma necessario e indispensabile.
di Maurizio Matteuzzi
"E ora dove si va, dopo otto anni e cinque presidentiBelem (Brasile), inizia oggi il Forum sociale mondiale della crisi globale e delle svolte a sinistra latinoamericane. Ma per i movimenti sociali, i nuovi governi sono amici o nemici?
Quando tutto cominciò, otto anni fa a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, all'altro capo dell'immenso Brasile, arrivarono in 20 mila per «resistere» alle nefandezze economiche, sociali e politiche del neo-liberismo ancora imperante pur se ormai in evidente declino e gridare che «un altro mondo è possibile».
Oggi, qui a Belém, nel Pará, estremo nord-est, il più grande porto dell'Amazzonia prima che il Rio delle Amazzoni si getti nell'Atlantico, sono arrivati, stanno arrivando, arriveranno in più di 100mila per continuare un cammino lungo e tortuoso come il fiume, e cercare quell'«altro mondo» che non solo è possibile ma ormai è sopratutto urgente.
Il collasso non del capitalismo (per quello ci vorrà ancora del tempo) ma del capitalismo finanziario, del neo-liberismo e del (falso) libero mercato, con la tremenda crisi economica (e sociale) in cui è sprofondato il mondo, conferma le previsioni di quell'avanguardia generosa e visionaria della società civile che si riunì nel 2001 nella città governata allora dal Pt del candidato Lula.
Sono passati solo otto anni che sembrano otto secoli. Il mondo non è più quello di prima, l'America latina - il triste laboratorio sperimentale del neo-liberismo degli ultimi trent'anni del '900 - non è più quella che era. Allora Lula era ancora l'eterno candidato apparentemente condannato alla sconfitta, Evo Morales soltanto un leader cocalero del Chapare, Rafael Correa un giovane economista cattolico in cerca di una sua strada nella vita, Fernando Lugo faceva ancora il vescovo nel derelitto Paraguay.
L'unico già in sella era il bollente Hugo Chávez in Venezuela, ma non era visto, ancora, come uno degli «eroi» dell'altro mondo possibile. Poi c'era George W. Bush alla Casa bianca... Oggi quei cinque velleitari di allora sono presidenti della repubblica, frutto non solo ma anche della cultura politica di cui l'Fsm era portatore.
E alla Casa bianca c'è Obama che ha vinto la corsa anche grazie alla straordinaria mobilitazione della società civile statunitense da sempre molto rappresentata e attiva da Porto Alegre in poi.
Un migrante ex-sindacalista presidente del Brasile, un indio presidente della Bolivia, un meticcio presidente del Venezuela, un prete della teologia della liberazione presidente del Paraguay, un nero presidente degli Stati uniti. Per questo l'edizione di Belém del Forum sociale mondiale che si apre domani e durerà fino al primo febbraio, «è la più importante dopo la prima del 2001». La più importante perché se allora si trattava solo «di resistenza» ora si tratta di fare il passo successivo e mettere a punto «un'agenda» d'azione praticabile ed efficace in una situazione completamente diversa.
E' qui che il Forum social mundial si spacca. Come nell'appuntamento del 2006 a Caracas, inevitabilmente egemonizzato da Chávez, anche a Belém 2009 la divisione passa - schematicamente - fra due schieramenti. Quelli che, fedeli alle origini e alla «carta dei principi» sono propensi a fare della società civile e dei movimenti - saranno 400mila quelli presenti provenienti da 150 paesi - il clou incontrastato dell'Fsm, lasciandolo libero di «navigare in mari sconosciuti» che non sono necessariamente quelli dei «governi progressisti» dell'America latina (anzi per molti aspetti criticabili).
E quelli che nel 2009, con la crisi globale in atto, sostengono che l'Fsm debba stringere sui governi che chi più e chi meno hanno preso le distanze dal neo-liberismo e battuto nuove rotte. Dice Emir Sader, sociologo brasiliano e uno dei componenti del Consiglio internazionale che in senso lato dirige l'Fsm, che «il Forum social ha avuto molta importanza nella resistenza al neo-liberismo. Ma è rimasto indietro nelle proposte perché si è sempre concentrato sulla società civile lasciando fuori dalla porta i governi.
Adesso abbiamo la chance di cambiare strada». Per Sader «il momento topico» dell'appuntamento di Belém sarà quindi giovedì prossimo quando è prevista una grande serata in cui i partecipanti del Forum s'incontreranno con i magnifici cinque: Lula, Chávez, Morales, Correa e Lugo.
Non concorda Francisco Whitacker, un altro dei fondatori e dei membri del Consiglio internazionale, che ribatte: «Tutti i presidenti invitati dalla società civile sono i benvenuti a patto che non interferiscano né prevarichino la attività dell'Fsm».
Questa divisione fra «movimentisti» e «istituzionali» non sarà facile da risolvere, come non lo fu a Caracas (ma là c'era solo Chávez...). E andrà a toccare inevitabilmente anche altri nervi sensibili: da cosa sia la società civile fino a cosa sia oggi la sinistra. Roba non da poco.
E' vero comunque che questa nona edizione è molto speciale. Innanzi tutto la scelta della sede. Belém, «la città dei manghi», è un posto molto lontano, difficile da raggiungere, pochi turisti e quindi pochi alberghi. Ma Belém è la porta dell'Amazzonia e l'Amazzonia e gli indigeni dell'Amazzonia, 500 mila sui 25 milioni di persone che abitano l'inferno verde, sono i protagonisti assoluti di questo Forum e saranno presenti a migliaia da ogni parte del continente.
Questo vuol dire la scelta di Belém, anche senza trascurare il fatto che come Porto Alegre (e il suo bilancio partecipativo) nel 2001 era il fiore all'occhiello del Pt, oggi il governo del Pará vede alla sua testa - attivissima nell'organizzare l'evento - la governadora Ana Júlia Carepa anche lei del Partido dos Trabalhadores (e della sua ala più radicale e critica della moderazione di Lula).
di Maurizio Matteuzzi
"E ora dove si va, dopo otto anni e cinque presidentiBelem (Brasile), inizia oggi il Forum sociale mondiale della crisi globale e delle svolte a sinistra latinoamericane. Ma per i movimenti sociali, i nuovi governi sono amici o nemici?
Quando tutto cominciò, otto anni fa a Porto Alegre, nel Rio Grande do Sul, all'altro capo dell'immenso Brasile, arrivarono in 20 mila per «resistere» alle nefandezze economiche, sociali e politiche del neo-liberismo ancora imperante pur se ormai in evidente declino e gridare che «un altro mondo è possibile».
Oggi, qui a Belém, nel Pará, estremo nord-est, il più grande porto dell'Amazzonia prima che il Rio delle Amazzoni si getti nell'Atlantico, sono arrivati, stanno arrivando, arriveranno in più di 100mila per continuare un cammino lungo e tortuoso come il fiume, e cercare quell'«altro mondo» che non solo è possibile ma ormai è sopratutto urgente.
Il collasso non del capitalismo (per quello ci vorrà ancora del tempo) ma del capitalismo finanziario, del neo-liberismo e del (falso) libero mercato, con la tremenda crisi economica (e sociale) in cui è sprofondato il mondo, conferma le previsioni di quell'avanguardia generosa e visionaria della società civile che si riunì nel 2001 nella città governata allora dal Pt del candidato Lula.
Sono passati solo otto anni che sembrano otto secoli. Il mondo non è più quello di prima, l'America latina - il triste laboratorio sperimentale del neo-liberismo degli ultimi trent'anni del '900 - non è più quella che era. Allora Lula era ancora l'eterno candidato apparentemente condannato alla sconfitta, Evo Morales soltanto un leader cocalero del Chapare, Rafael Correa un giovane economista cattolico in cerca di una sua strada nella vita, Fernando Lugo faceva ancora il vescovo nel derelitto Paraguay.
L'unico già in sella era il bollente Hugo Chávez in Venezuela, ma non era visto, ancora, come uno degli «eroi» dell'altro mondo possibile. Poi c'era George W. Bush alla Casa bianca... Oggi quei cinque velleitari di allora sono presidenti della repubblica, frutto non solo ma anche della cultura politica di cui l'Fsm era portatore.
E alla Casa bianca c'è Obama che ha vinto la corsa anche grazie alla straordinaria mobilitazione della società civile statunitense da sempre molto rappresentata e attiva da Porto Alegre in poi.
Un migrante ex-sindacalista presidente del Brasile, un indio presidente della Bolivia, un meticcio presidente del Venezuela, un prete della teologia della liberazione presidente del Paraguay, un nero presidente degli Stati uniti. Per questo l'edizione di Belém del Forum sociale mondiale che si apre domani e durerà fino al primo febbraio, «è la più importante dopo la prima del 2001». La più importante perché se allora si trattava solo «di resistenza» ora si tratta di fare il passo successivo e mettere a punto «un'agenda» d'azione praticabile ed efficace in una situazione completamente diversa.
E' qui che il Forum social mundial si spacca. Come nell'appuntamento del 2006 a Caracas, inevitabilmente egemonizzato da Chávez, anche a Belém 2009 la divisione passa - schematicamente - fra due schieramenti. Quelli che, fedeli alle origini e alla «carta dei principi» sono propensi a fare della società civile e dei movimenti - saranno 400mila quelli presenti provenienti da 150 paesi - il clou incontrastato dell'Fsm, lasciandolo libero di «navigare in mari sconosciuti» che non sono necessariamente quelli dei «governi progressisti» dell'America latina (anzi per molti aspetti criticabili).
E quelli che nel 2009, con la crisi globale in atto, sostengono che l'Fsm debba stringere sui governi che chi più e chi meno hanno preso le distanze dal neo-liberismo e battuto nuove rotte. Dice Emir Sader, sociologo brasiliano e uno dei componenti del Consiglio internazionale che in senso lato dirige l'Fsm, che «il Forum social ha avuto molta importanza nella resistenza al neo-liberismo. Ma è rimasto indietro nelle proposte perché si è sempre concentrato sulla società civile lasciando fuori dalla porta i governi.
Adesso abbiamo la chance di cambiare strada». Per Sader «il momento topico» dell'appuntamento di Belém sarà quindi giovedì prossimo quando è prevista una grande serata in cui i partecipanti del Forum s'incontreranno con i magnifici cinque: Lula, Chávez, Morales, Correa e Lugo.
Non concorda Francisco Whitacker, un altro dei fondatori e dei membri del Consiglio internazionale, che ribatte: «Tutti i presidenti invitati dalla società civile sono i benvenuti a patto che non interferiscano né prevarichino la attività dell'Fsm».
Questa divisione fra «movimentisti» e «istituzionali» non sarà facile da risolvere, come non lo fu a Caracas (ma là c'era solo Chávez...). E andrà a toccare inevitabilmente anche altri nervi sensibili: da cosa sia la società civile fino a cosa sia oggi la sinistra. Roba non da poco.
E' vero comunque che questa nona edizione è molto speciale. Innanzi tutto la scelta della sede. Belém, «la città dei manghi», è un posto molto lontano, difficile da raggiungere, pochi turisti e quindi pochi alberghi. Ma Belém è la porta dell'Amazzonia e l'Amazzonia e gli indigeni dell'Amazzonia, 500 mila sui 25 milioni di persone che abitano l'inferno verde, sono i protagonisti assoluti di questo Forum e saranno presenti a migliaia da ogni parte del continente.
Questo vuol dire la scelta di Belém, anche senza trascurare il fatto che come Porto Alegre (e il suo bilancio partecipativo) nel 2001 era il fiore all'occhiello del Pt, oggi il governo del Pará vede alla sua testa - attivissima nell'organizzare l'evento - la governadora Ana Júlia Carepa anche lei del Partido dos Trabalhadores (e della sua ala più radicale e critica della moderazione di Lula).
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