domingo, 12 de julio de 2009

Falisce in Iran la "rivoluzione colorata" (parte 4)

La mobilitazione dell’opinione pubblica internazionale

Thierry Meyssan
Nel corso degli ultimi anni, Washington ha avuto modo di lanciare delle « rivoluzioni colorate » convinta che esse avrebbero fallito la presa del potere, ma permesso di manipolare l’opinione pubblica e le istituzioni internazionali.
Nel 2007, numerosi Birmani insorgono contro l’aumento dei prezzi della benzina per uso domestico. Le manifestazioni degenerano. I monaci buddhisti prendono la testa della contestazione. È la « rivoluzione zafferano » [13]. In realtà, a Washington non interessa il regime di Rangoon ; le interessa invece strumentalizzare il Popolo birmano per far pressione sulla Cina che in Birmania ha interessi strategici (oleodotti e basi militari di ascolto elettronico). Per questo, l’importante è mettere in scena la realtà.
Immagini prese da telefoni portatili appaiono su YouTube. Esse sono anonime, non verificabili e fuori contesto. È precisamente la loro apparente spontaneità a dare loro autorità. La Casa Bianca può imporre la sua interpretazione dei video.
Più recentemente, nel 2008, manifestazioni studentesche paralizzano la Grecia in seguito all’uccisione di un ragazzo di 15 anni da parte di un poliziotto. Rapidamente, fanno la loro comparsa dei teppisti.
Sono stati reclutati nel vicino Kosovo e trasportati in autobus. I centri cittadini sono saccheggiati. Washington cerca di far fuggire i capitali verso altri lidi e di riservarsi il monopolio degli investimenti nei terminali del gas in costruzione.
Una campagna di stampa farà dunque passare l’asfittico governo Karamanlis per quello dei colonnelli. Facebook e Twittter sono utilizzati per mobilitare la diaspora greca. Le manifestazioni si estendono ad Istanbul, Nicosia, Dublino, Londra, Amsterdam, L’Aja, Copenhagen, Francoforte, Parigi, Roma, Madrid, Barcellona, etc.
La rivoluzione verde
L’operazione condotta nel 2009 in Iran s’inscrive in questa lunga lista di pseudo rivoluzioni. In primo luogo, il Congresso vota nel 2007 uno stanziamento di 400 milioni di dollari per « cambiare il regime » in Iran. Questo si aggiunge ai budget ad hoc della NED, dell’USAID, della CIA e tutti quanti.
Si ignora come sia utilizzato questo denaro, ma ne sono destinatari tre gruppi principali : la
famiglia Rafsanjani, la famiglia Pahlevi e i Mujahidin del popolo.
L’amministrazione Bush prende la decisione di sponsorizzare una « rivoluzione colorata » in Iran dopo aver confermato la decisione dello stato maggiore di non attaccare militarmente il paese.
Questa scelta è convalidata dall’amministrazione Obama.
Per difetto, si riapre dunque il dossier di « rivoluzione colorata », preparato nel 2002 con Israele all’interno dell’American Enterprise Institute. All’epoca, avevo pubblicato un articolo su questo dispositivo [14].
Basta rileggerlo per identificare gli attuali protagonisti : è stato poco modificato. Era stata aggiunta una parte libanese che prevede una sommossa a Beyruth in caso di vittoria della coalizione patriottica (Hezbollah, Aun) alle elezioni legislative, ma è stata annullata.
Lo scenario prevede un massiccio sostegno al candidato scelto dall’ayatollah Rafsanjani, la contestazione dei risultati dell’elezione presidenziale, attentati a 360 gradi, la deposizione del presidente Ahmadinejad e della guida suprema l’ayatollah Khamenei, l’instaurazione di un governo di transizione diretto da Musavi, poi la restaurazione della monarchia e l’installazione di un governo diretto da Sohrab Sobhani.
Come ideato nel 2002, l’operazione ha come suoervisori Morris Amitay e Michael Ledeen. Essa mobilita in Iran le reti dell’Irangate. A questo punto, è necessario un breve richiamo storico. L’Irangate è un’illecita vendita d’armi : la Casa Bianca desidera fornire armi da una parte ai Contras nicaraguensi (perché lottassero contro i sandinisti) e dall’altra parte all’Iran (per far durare la guerra Iran-Iraq fino allo sfinimento), ma ne è interdetta dal Congresso.
Allora gli Israeliani propongono di subappaltare contemporaneamente le due operazioni. Ledeen, che ha la doppia nazionalità statunitense ed israeliana, serve da agente di collegamento a Washington, mentre Mahmud Rafsanjani ( fratello dell’ayatollah) è il suo corrispondente a Teheran.
Il tutto sullo sfondo di corruzione generalizzata. Quando negli Stati Uniti scoppia lo scandalo, nasce una commissione d’inchiesta indipendente diretta dal senatore Tower e dal generale Brent Scowcroft (mentore di Robert Gates). Michael Ledeen è uno che la sa lunga sulle operazioni segrete. Lo si trova a Roma in occasione dell’assassinio di Aldo Moro, lo si ritrova nell’invenzione della pista bulgara nella circostanza del tentato assassinio di Giovanni Paolo II o, più recentemente, nell’invenzione delle fornitura a Saddam Hussein di uranio dal Niger.
Oggi lavora all’American Enterprise Institute [15] (a fianco di Richard Perle e di Paul Wolfowitz) e alla Foundation for the Defense of Democracies [16]. Morris Amitay è ex direttore dell’American Israel Public Affairs Committee (AIPAC).
Oggi, è vicepresidente del Jewish Institute for National Security Affairs (JINSA) e direttore di uno studio di consulenza per grandi ditte d’armamento. Il 27 aprile scorso, Morris e Ledeen organizzano un seminario sull’Iran all’American Enterprise Institute a proposito delle elezioni iraniane, attorno al senatore Joseph Lieberman.
Il 15 maggio scorso, nuovo seminario. La parte pubblica consiste in una tavola rotonda animata dall’ambasciatore John Bolton sulla « grande contrattazione » : accetterebbe Mosca di lasciar cadere Teheran in cambio della rinuncia di Washington allo scudo antimissili in Europa centrale ? L’esperto francese Bernard Hourcade partecipa a questi scambi di vedute.
Contemporaneamente, l’Istituto lancia un sito internet destinato alla stampa nella crisi a venire : IranTracker.org. il sito comprende una rubrica sulle elezioni libanesi. In Iran, è compito dell’ayatollah Rafsanjani rovesciare il suo vecchio rivale, l’ayatollah Khamenei.
Proveniente da una famiglia di agricoltori, Hashemi Rafsanjani ha fatto fortuna sotto lo Scià con la speculazione immobiliare. È divenuto il principale grossista di pistacchi del paese e ha arrotondato la sua fortuna durante l’Irangate. I suoi averi sono valutati in parecchi miliardi di dollari.
Divenuto l’uomo più ricco d’Iran, è stato successivamente presidente del parlamento, presidente della Repubblica e, oggi, è presidente del Consiglio di discernimento (istituzione di arbitraggio tra il Parlamento e il Consiglio dei guardiani della costituzione).
Egli rappresenta gli interessi del bazar, ossia dei commercianti di Teheran. Durante la campagna elettorale, Rafsanjani ha fatto promettere al suo ex avversario divenuto suo pupillo Mirhossein Musavi, di privatizzare il settore del petrolio.
Senza alcuna connessione con Rafsanjani, Washington si rivolge ai Mujahidin del popolo [17]. Questa organizzazione protetta dal Pentagono è considerata terroristica dal dipartimento di Stato e lo è stata dall’Unione Europea. In effetti, negli anni 80, essa ha effettuato operazioni terribili, tra cui un mega-attentato costato la vita all’ayatollah Beheshti nonché a quattro ministri, sei ministri aggiunti e ad un quarto del gruppo parlamentare del Partito della repubblica islamica.
L’organizzazione è comandata da Massud Rajavi, che aveva sposa in prime nozze la figlia del presidente Bani Sadr e poi, in seconde nozze, la crudele Myriam. La sua sede è installata nella regione persiana e le sue basi militari in Iraq, dapprima sotto la protezione di Saddam Husein poi, oggi, sotto quella del dipartimento della Difesa. Sono i Mujahidin che assicurano la logistica degli attentati dinamitardi durante la campagna elettorale [18].
Spetta a loro provocare scontri tra militanti pro ed contro Ahmadinejad, cosa che probabilmente fannp. Nel caso in cui subentri il caos, la Guida suprema può essere rovesciata. Un governo di transizione, diretto da Mirhussein Musavi privatizzerebbe il settore del petrolio e ristabilirebbe la monarchia. Il figlio dell’ex Scià, Reza Ciro Pahlavi, verrebbe rimesso sul trono e designerebbe come Primo ministro Sohrab Sobhani. In questa prospettiva, Reza Pahlavi pubblica in febbraio un libro di conversazioni con il giornalista francese Michel Taubmann.
Questi è direttore dell’ufficio d’informazione parigino d’Arte e presiede il Cercle de l’Observatoire, il club dei neoconservatori francesi. Ricordiamoci che Washington aveva previsto il ripristino della monarchia anche in Afghanistan. Mohammed Zaher Scià doveva riprendere il suo trono a Kabul e Hamid Karzai doveva essere il suo Primo ministro.
Malauguratamente, a 88 anni, il pretendente era divenuto troppo vecchio. Karzai è dunque divenuto lui presidente della Repubblica. Come Karzai, Sobhani è anche cittadino statunitense. Come lui, lavora nel settore petrolifero del Caspio. Dal lato propaganda, il dispositivo iniziale è affidato allo studio Benador Associates. Ma esso si è evoluto sotto l’influenza dell’assistente del segretario di Stato per l’Istruzione e la Cultura, Goli Ameri.
Questa iraniana statunitense è una vecchia collaboratrice di John Bolton. Specialista dei nuovi media, ha realizzato dei programmi di equipaggiamento e di formazione ad internet per gli amici di Rafsanjani. Ha inoltre elaborato radio e televisioni in lingua farsi per la propaganda del dipartimento di Stato e in coordinamento con la britannica BBC.
La destabilizzazione dell’Iran è fallita perché la molla principale delle «rivoluzioni colorate» non è stata attivata correttamente. Mir Hussein Musavi non è arrivato a cristallizzare i malcontenti sulla persona di Mahmud Ahmadinejad. Il Popolo iraniano non si è ingannato. Non ha reso il presidente uscente responsabile delle conseguenze delle sanzioni economiche statunitensi sul paese. Per questo, la contestazione si è limitata alla borghesia dei quartieri nord di Teheran.
Il potere si è astenuto dall’opporre dei manifestanti gli uni contro gli altri e ha lasciato che i complottasti si scoprissero. . Tuttavia, bisogna ammettere che l’intossicazione dei media occidentali ha funzionato.
L’opinione pubblica estera ha creduto realmente che due milioni di Iraniani fossero scesi in piazza, quando il numero reale è inferiore di almeno dieci volte.
Il fatto che i corrispondenti della stampa rimanessero nelle loro sedi ha facilitato tali esagerazioni dispensandoli dal fornire le prove delle loro accuse. Avendo rinunciato alla guerra e fallito nel rovesciare il regime, quale carta resta nelle mani di Barack Obama ?

** Analista politico, fondatore del Réseau Voltaire.
13] « Birmanie : la sollicitude intéressée des États-Unis », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 5 novembre 2007.
[14] « Les bonnes raisons d’intervenir en Iran », di Thierry Meyssan, Réseau Voltaire, 12 febbraio 2004.
[15] « L’Institut américain de l’entreprise à la Maison-Blanche », Réseau Voltaire, 21 giugno 2004.
[16] « Les trucages de la Foundation for the Defense of Democracies », Réseau Voltaire, 2 febbraio 2005.
[17] « Les Moudjahidin perdus », di Paul Labarique, Réseau Voltaire, 17 febbraio 2004.

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