martes, 10 de noviembre de 2009

Caduta del Muro, parto del neoliberismo globalitario

Damoison

Tito Pulsinelli
Nei cieli mediatici si irradiano fumi di incenso, echi metallici delle fanfare rock, frammisti
alle lodi incommensurabili dei retorici della politica con memoria corta. L'ecumenica ed ovvia celebrazione del ventennale della caduta del muro di Berlino, consente di sorvolare sui risvolti e riflessi che hanno fondato la "nuova menzogna" globalitaria.
Lo sguardo apologetico non vede que che è poi successo all'interno delle società nazionali e nell'equilibrio mondiale. L'epoca di pace inarrestabile promessa quando la polvere dei calcinacci non si era ancora depositata al suolo, è stata la menzogna giurata dei futuri mercanti globali.

Una volta disintegrato il "male comunista" e disciolta l'alleanza militare dell'est, le elites degli Stati Uniti si sono sentite padrone del mondo e della storia, senza rivali nè modelli sociali alternativi. Credevano che il globo terracqueo fosse cosa loro, quasi una cavia per la libera sperimentazione della darwinista ingegneria sociale anglosasone.

Al posto di proporre al mondo un nuovo patto che comunque salvaguardasse un posto di riguardo agli Stati Uniti, ritennero erroneamente di aver tutto saldamente in pugno, di aver raggiunto finalmente l'egemonismo assoluto: parlavano senza vergogna di nuova Roma, nella fase di transizione da Repubblica ad Impero.
Scandivano un arrogante unilateralismo, il disconoscimento delle istituzioni internazionali e la guerra come strumento legittimo di una politica internazionale finalizzata alla ricerca del Santo Graal energetico.

Di fronte al crollo dell'Unione sovietica e alla fine del Patto di Varsavia, rilanciarono la NATO e spese militari senza precedenti, e le imposero alle flebili elites europee come una camicia di forza che ha finora privato il blocco dell'UE di una autentica e autonoma difesa.

Venti anni fa cadde un modello sociale che si basava sulla pianificazione dell'economia e su di una centralizzazione articolata attorno a grandi monopoli statali, che aveva consentito il superamento del feudalismo latifondista dell'aristocrazia russa e l'industrializzazione. Il ruolo dello Stato nell'economia rese possibile lo sviluppo di grandi politiche sociali e assistenziali.

La risposta, antitetica e speculare, è stato il neoliberismo: zero Stato, tutto il potere al mercato, le Borse devono dirigere tutto, tagli ai salari, finanziamenti alle banche: i fasti di caricaturali "bolscevici del mercato". Il settecentesco "laissez faire" spacciato come modernismo ideologico globalitario, ma il nuovo millenarismo è stato un fuocherello fatuo, e non ha dischiuso nessun ciclo storico.
Dopo soli vent'anni, non c'è più nessun "nuovo secolo americano" alla vista, si palpa un declino dell'egemonia "occidentale", e lo stesso modello strombrazzato urbi et orbi con arroganza è costretto a sopravvivere con trasfusioni finanziarie statali. E' corretto denominare "libero mercato" il sistema in cui le corporazioni bancarie sono finanziate con le tasse dei cittadini?
Forse assieme al socialismo, sotto le macerie è rimasto anche quel che restava del liberalismo. Il portafogli viene prima della coerenza, ma la "dottrina" è azzoppata.
Negli Stati Uniti, l'insieme dei salvataggi statali operati dal governo ha bruciato una quantità di risorse finanziarie equivalenti a 14 (quattordici!) volte la massa monetaria circolante"! Libero mercato? Nè l'uno nè l'altro. Ci sono soldi per i banchieri, per i guerrieri, non per l'assistenza medica di 40 milioni di salariati o disoccupati. Normale, quando il 40% dei deputati e senatori sono milionari (nel senso del fisco).
Si osserva che i Paesi che meno sono stati danneggiati dal crollo di Wall street e della credenza millenarista del neoliberismo, sono quelli in cui lo Stato conserva o recupera un ruolo centrale nella fissazione delle regole del gioco. Dove ha un ruolo nell'economia ed impedisce il depredatorio monopolismo, controlla le risorse naturali come bene pubblico e non accetta la "autonomia" delle Banche centrali.
Autonome dagli Stati, non dai grandi centri finanziari internazionali privati. La Russia, in questo modo, si è ripresa velocemente dalla cura coatta "fondomonetarista" e la Cina non ha mai annaspato.

I poeti del crollo del Muro e i cantori dell'eterna alba occidentale, farebbero bene a ricordare che gli Stati Uniti hanno edificato -nel frattempo- un altro muro lungo la frontiera con il Messico, ed hanno finanziato quello eretto da Israele ai danni della Palestina.
C'è muro e muro, ma è sempre muro contro muro. Il mondo sta andando altrove, lontano dalle illusioni di Berlino, va verso il multipolarismo, economie miste e il ritorno dello Stato e del mercato interno -nazionale o di blocco- come asse portante.


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