Copenhagen, 10 dicembre 2009
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Un consiglio: se avete intenzione di andare a Tuvalu per le vacanze, andateci il prima possibile. L’Oceano Pacifico, quello delle barriere coralline e degli atolli sabbiosi, rischia di inghiottirsele da qui a qualche decennio. Otto isole abitate da poco più di 11mila persone, il quarto Paese più piccolo al mondo, poco interessante per i negoziatori che contano, Tuvalu -assieme ad altri stati più o meno grandi, tra cui anche il più strutturato Bangladesh-, sarà una delle prime vittime dell’innalzamento degli oceani come conseguenza dell’aumento delle temperature.
È per questo che Tuvalu si è fatta coraggio e ha bloccato i lavori della Cop15, la Conferenza Onu sui cambiamenti climatici che si tiene in questi giorni a Copenhagen. Il fronte dei Paesi emergenti e in via di sviluppo non era riuscita a trovare una quadra tra quelli che credono che sia necessario riconfermare il Protocollo di Kyoto e quelli che chiedono un accordo più vincolante.
Tra questi Tuvalu, che per bocca della capo negoziati Ian Fry ha chiarito che senza alcun accordo legale non si va avanti: “Il mio Primo ministro così come altri Capi di stato sono venuti a Copnhagen con la chiara intenzione di firmare un accordo legalmente vincolante”, ha dichiarato Fry alla stampa.
Alle richieste di Tuvalu si sono associati il gruppo delle Small Island States (42 Paesi) e i Paesi poveri africani, con l’obiettivo di inserire nell’accordo vincolante un aumento della temperatura non superiore agli 1,5 gradi centigradi, stabilizzando la concentrazione dei gas climalteranti in atmosfera a non più di 350 ppm (parti per milione) piuttosto che a 450 ppm con un aumento di 2° C della temperatura come indicato dai Paesi sviluppati ed alcuni Paesi emergenti.
“Con l’aumento di 0,8 gradi registrato nel secolo”, hanno sottolineato da Tuvalu, “l’aeroporto locale è già a serio rischio di inondazione. Questa è la nostra linea”, concludono, anche se non è supportata “da tutti i Paesi in via di sviluppo tanto che Brasile, Cina e Sudafrica, per loro questioni, si sono chiaramente dissociati”.
“Non siamo neanche sulla mappa” ha dichiarato Dessima Williams, capo negoziatrice per il gruppo delle Small Island States. E non è un eufemismo. Né Tuvalu né le altre piccole realtà insulari sono riportate sull’enorme globo di cinque metri di diametro che incombe sui delegati nella grande sala centrale del Bella Centre, il Centro conferenze dove si sta svolgendo la Cop15. E nonostante questo dietro a Tuvalu si sta raccogliendo una massa di Paesi piccoli o poveri, più di cento secondo Dessima Williams, che si sono posti l’obiettivo di limitare l’aumento della temperatura a 1.5 ° centigrafi.
Alla Wto di Cancun furono i Paesi africani a far saltare il banco dei negoziati, perché alla loro richiesta di trattare alcuni temi sensibili, tra cui il cotone, venne risposto picche dai Paesi industrializzati. Forse anche a Copenhagen saranno le formiche a fare la differenza.
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