Antonio Vanuzzo Linkiesta.
L’agenzia di rating cinese Dagong, avversaria di quelle americane, esprime il proprio giudizio sugli States. Il presidente Guan Jianzhong avverte Washington che li considera già insolventi. E l'accordo sull’innalzamento del tetto del debito Usa, già sforato, diventa una partita internazionale. Attenta America, sei già fallita. Un’accusa, quella sull’elevato indebitamento degli States, che non è nuova. Finché è pronunciata dai repubblicani o dal Tea Party, ha un significato politico fin troppo preciso. Se però, come in questo caso, a lanciare l’allarme è Guan Jianzhong, presidente dell’agenzia di rating cinese Dagong, la boutade diventa minaccia. «Riteniamo che gli Usa siano già falliti», ha specificato Jianzhong, aggiungendo che «per quanto riguarda il debito, Washington ha lasciato che il dollaro si indebolisse rispetto alle altre valute, erodendone il valore per i creditori, Cina inclusa».
La quale detiene 1.152 miliardi di dollari di debito statunitense.
Le parole del numero uno di Dagong arrivano a ventiquattro ore di distanza dal monito di Li Daokui, consigliere della People’s Bank of China. «Non dovete giocare con il fuoco», è stato il commento del top manager dopo che ieri Fitch aveva affermato: «Se non alzate il tetto del debito entro il 4 agosto, il downgrade da AAA a B+ arriverà».
Se si guarda al debito emesso per finanziare l’immissione di risorse pubbliche nel sistema finanziario privato, insomma, la situazione sulle due sponde dell’Atlantico non è poi così diversa. A pesare sui giudizi delle società di rating, così come per l’Europa, è l’incertezza politica. Se proprio oggi è arrivato il via libera di Bruxelles al riscadenzamento dei termini del debito greco, la strada per l’innalzamento del tetto al debito Usa – fissato dal Congresso a 14.294 miliardi di dollari, oggi siamo a quota 14.421 miliardi, 46,2 dollari per ogni cittadino – è tutta in salita.
I repubblicani, che non hanno mai gradito i programmi assistenziali varati dall’amministrazione Obama, si sono messi di traverso e dieci giorni fa hanno bocciato al Congresso la proposta di alzare l’asticella al debt ceiling di 2.400 miliardi di dollari fino a quando non si saranno trovate delle misure per ridurre il deficit. La Casa Bianca avrà altri 60 giorni di tempo per trovare un accordo, ma sarà tutt’altro che facile. Intanto, martedì scorso, Ben Bernanke ha dichiarato che «la crescita Usa è troppo lenta», mentre i giornali americani continuano le loro variazioni sul tema: con un livello di disoccupazione superiore al 7%, l’ultimo dato è 9,1%, un presidente Usa in carica non è mai stato riconfermato alla guida del Paese.
Per non parlare del balletto di indiscrezioni sul terzo capitolo delle misure di allentamento quantitativo, il QE3, che il presidente della Fed potrebbe mettere in atto. Una misura, secondo vari esperti, necessaria soltanto se l’indice S&P scivolasse di duecento punti. Resta il fatto che, ad oggi, il rendimento delle obbligazioni Usa è ancora molto basso e poco appetibile per gli investitori.
Politicamente, dunque, l’America naviga a vista: una situazione ideale per la Cina, che oggi ha la potenza di fuoco per togliersi qualche sassolino dalla scarpa dai tempi in cui il segretario al Tesoro, Tim Geithner, accusava apertamente Pechino di «manipolazione valutaria». Diplomazia internazionale a parte, l’agenzia di rating fondata nel 1994 si sta affermando in fretta alle spalle delle tre sorelle Standard & Poor’s, Moody’s e Fitch
A fine maggio, Dagong aveva declassato il merito debitorio inglese da AA- ad A+, un giudizio più netto rispetto alle società di rating occidentali.
Se ora sono in molti, oltreoceano, a chiedersi ironicamente quando Pechino dirà che i bond di Zio Sam diventeranno junk, cioè spazzatura – come quelli di Atene – sulla percezione, da parte della Cina, della rischiosità del debito Usa non c’è molto da scherzare. Cosa succederebbe se il Dragone seguisse l’esempio di Bill Gross, fondatore di Pimco, e riducesse la sua esposizione su Washington?
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