7 richieste: il rilascio dei civili processati dai tribunali militari - tribunale speciale per il processo dei poliziotti accusati di aver ucciso dei manifestanti - sostituzione dell'attuale ministro degli interni - dimissioni del Procuratore Generale - processo di Mubarak - revisione della finanziaria appena approvata - restrizione dei poteri del Consiglio Militare
Elisa Ferrero blog
Cairo - I ragazzi di Tahrir - e non solo i ragazzi - non se ne sono andati. Sono ancora tutti là, sotto il bruciante sole estivo questa volta, felici e determinati (sì, non so proprio come definirli altrimenti). Dopo la milyioniya di venerdì 8 luglio è iniziato il sit-in a oltranza, finché tutte le richieste della rivoluzione non saranno accolte. Al contrario di gennaio, il numero di dimostranti aumenta al calar del sole,
quando il caldo si fa più sopportabile. Ma in realtà i rivoluzionari non mollano nemmeno di giorno. Nella mattinatadi oggi, primo giorno lavorativo della settimana, i dimostranti erano molti di meno, perché tante persone hanno dovuto tornare al lavoro, ma non c'è dubbio che questa sera saranno di nuovo lì.
In piazza sono tornate le tende e tutte le "infrastrutture" del libero stato di Tahrir, già sperimentate a febbraio. Ci sono ambulatori medici, punti per ricaricare batterie di ogni tipo, un barbiere, speaker corners e questa volta persino i ventilatori. Ferrea la divisione dei compiti: ci sono gruppi incaricati dell'approvvigionamento dei manifestanti, altri che si occupano delle pulizie ed altri ancora, fondamentali, addetti alla sicurezza della piazza. Il servizio di sicurezza, finora, ha funzionato a dovere. Almeno sette persone armate di tutto punto sono state fermate agli ingressi della piazza, tra le quali una donna. Pertanto, la maggior parte della gente si sottopone volentieri ai controlli, anche se questo significa fare la fila prima di poter accedere alla piazza. Contrallate anche le uscite del metro, che sboccano proprio lì.
Ieri, dopo la prima giornata di sit-in, le variegate forze rivoluzionarie di piazza Tahrir e di tutto l'Egitto, tra le quali non ci sono più gli islamisti, si sono accordate su sette sostanziali richieste: il rilascio dei civili processati dai tribunali militari, che dovranno essere riprocessati da tribunali civili; l'istituzione di un tribunale speciale per il processo dei poliziotti accusati di aver ucciso dei manifestanti e la loro sospensione immediata dal servizio; la sostituzione dell'attuale ministro degli interni con un civile (e non un militare), possibilmente con esperienza nel campo dei diritti umani, e un piano preciso, che indichi tempi e modalità di una ristrutturazione del ministero; le dimissioni del Procuratore Generale; il processo di Mubarak e di tutta la sua combriccola; la revisione della finanziaria appena approvata, includendo un salario minimo adeguato; la restrizione dei poteri del Consiglio Militare, rispetto al governo, il quale dovrà essere a sua volta purificato dai residui del vecchio regime.
Queste le richieste di base della piazza, attorno alle quali si è raccolto un vasto consenso. Anzi, sono ordini non richieste. Perché la piazza non chiede, bensì comanda. Esercito e governo sono solo i servitori del popolo egiziano, così affermano i giovani ribelli. Tuttavia, il discorso del primo ministro Essam Sharaf, giunto nella serata di ieri, non ha soddisfatto la piazza. Sharaf ha promesso di licenziare tutti i poliziotti implicati nell'uccisione dei manifestanti, ma non ha dato spiegazioni sul perché non sia stato fatto prima. Poi, ha anche affermato che avrebbe istituito una commissione, o qualcosa del genere, per studiare politiche sociali adeguate che possano venire incontro ai bisogni dei più poveri.
Solo promesse e parole vacue per i manifestanti, i quali hanno risposto, questa mattina, chiudendo il Mogamma, il palazzone che costituisce il centro della burocrazia egiziana, situato proprio in piazza Tahrir. I dipendenti del Mogamma, trovando le porte chiuse, non si sono affatto scomposti, anzi si sono uniti anche loro al sit-in. E sempre in risposta al discorso deludente di Sharaf, alcuni manifestanti hanno anche invitato a uno sciopero della fame, mentre altri hanno minacciato la disobbedienza civile. Tutti quanti, invece, hanno indetto una nuova milyioniya per martedì prossimo, se non riceveranno risposte migliori da parte di del governo.
E tra la rabbia della piazza e le promesse dello stanco Sharaf, risuona il forte silenzio del Consiglio Militare. Nessuna risposta da parte loro, nonostante siano fortemente chiamati in causa. Il feldmaresciallo Tantawi, per parte sua, si è limitato a far giurare il nuovo ministro dell'informazione, come se niente fosse. Poi, ciliegina sulla torta, si è mostrato pubblicamente in compagnia di Ahmed Shafiq, il predecessore di Sharaf per le cui dimissioni si erano mobilitate le piazza.
Ora, mentre in piazza Tahrir si attende una grande serata-concerto, con artisti e canzoni della rivoluzione, vecchie e nuove, pare che il primo ministro Sharaf stia incontrando alcuni rappresentanti dei giovani rivoluzionari. Non si hanno ancora dettagli, ma le prossime ore potrebbero essere decisive. A Suez, invece, dove sono ancora più determinati che al Cairo e ad Alessandria, hanno minacciato di interrompere i lavori del Canale. Mossa sbagliata, mai toccare gli interessi internazionali dell'Egitto, alias dell'esercito egiziano. Cominciano infatti a giungere notizie che i militari avrebbero fatto irruzione nel sit-in. Come ha detto qualcuno dei dimostranti di piazza Tahrir, questa rivoluzione non andrà da nessuna parte senza la gente di Suez.
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