miércoles, 25 de enero de 2012

Venezuela: Appunti di viaggio (1/2)

foto D.Damoisson
Perché il socialismo latino-americano può costituire un faro per il mondo intero
Giuseppe Angiuli cambiailmondo.org

Caracas: centro propulsore continentale dell’integrazione latino-americana e capitale mondiale del cosiddetto “Socialismo del XXI° secolo”. Comunque la si pensi, un viaggio in Venezuela di questi tempi è un’esperienza che lascia impressioni indelebili giacchè, fin dallo sbarco all’aeroporto internazionale “Simon Bolìvar” e percorrendo le affollatissime strade che conducono al centro cittadino, si ha la netta impressione di trovarsi in un posto alquanto speciale. Sulle ripide colline che costellano la vasta area urbana di Caracas si abbarbicano i barrios, popolatissimi quartieri che raccolgono il sottoproletariato rimasto ai margini della società per decenni ed a cui il governo chavista
 ha per la prima volta riconosciuto un bagaglio di diritti minimi: espulsi dalle campagne, dove la manodopera disponibile è storicamente in eccedenza rispetto alla domanda di lavoro, milioni di persone indigenti hanno costruito case di fortuna che sfidano la legge di gravità e creano dei cumuli che somigliano, visti a distanza, ai nostri presepi natalizi.

23 de Enero, Catia, Petare: questi sobborghi brulicanti di case, di uomini, donne e soprattutto di bambini, costituiscono la vera linfa vitale del processo rivoluzionario inaugurato dal Presidente Chavez. Il mio amico Gabriel, per il cui matrimonio siamo accorsi in Venezuela, ci spiega che durante il colpo di Stato supportato da George W. Bush nell’aprile del 2002, con il quale una componente reazionaria dell’esercito venezuelano provò a mettere da parte l’esperienza bolivariana, migliaia di persone si misero in marcia spontaneamente da questi barrios, raggiungendo rapidamente il Palazzo Presidenziale Miraflores dove reclamarono a gran voce il rientro del loro legittimo Presidente: Hugo Chavez, anche grazie alla decisiva presa di posizione in suo favore di alcuni maggiorenti dell’esercito, riuscì così a rientrare in sella nel giro di 48 ore, in quella che finora viene ritenuta la prima esperienza di colpo di Stato fermato da un moto popolare (1).

I primi di dicembre del 2011 la capitale venezuelana ha dato il battesimo ad una nuova organizzazione intergovernativa a carattere regionale, sorta con la finalità di dare finalmente un corpo istituzionale all’integrazione dei Paesi latino-americani: la CELAC (Comunidad de Estados Latinoamericanos y Caribeños). La nascita dell’organismo (a cui aderiscono 33 Paesi situati a sud del Rìo Bravo, dal Messico fino all’Argentina, con la inedita esclusione degli U.S.A. e la significativa inclusione di Cuba) costituisce un evidente successo politico per il Presidente Chavez, nella cui mente la CELAC costituirà d’ora in poi un gran polo di potere regionale, realizzazione del sogno di un’unica Patria grande già coltivato da Simon Bolìvar e dal Che Guevara, punto di arrivo dopo 200 anni di battaglia per sottrarsi alla dottrina Monroe imposta da Washington (2).

Uno dei primi aspetti che si colgono in un viaggio in America Latina è che, da quelle parti, il latifondo e l’allevamento estensivo di bestiame, praticati dalle più potenti famiglie oligarchiche di origine bianca ed indo-europea, richiedono da sempre poche braccia per l’agricoltura e al contempo sottraggono tanta terra preziosa alla coltivazione di prodotti alimentari decisivi per il sostentamento della popolazione: in quest’ambito il chavismo è intervenuto in misura pesante, con una radicale riforma agraria che punta ad espropriare tutti i terreni privati eccedenti un certo limite dimensionale e che risultano non coltivati o improduttivi.

Nonostante il clima politico generalmente favorevole ai piccoli contadini, il mio amico Diego mi riferisce che anche nelle immense campagne venezuelane (sebbene in misura molto inferiore a quanto quotidianamente accade nella vicina Colombia, ultimo bastione geopolitico degli U.S.A. nella regione) si segnalano molti omicidi di campesinos aspiranti alla distribuzione di un piccolo fazzoletto di terra. Ma è nell’ambito della gestione dell’immensa ricchezza petrolifera che Hugo Chavez ha impresso la svolta più significativa al Paese.

La completa nazionalizzazione dell’oro nero ha aperto al Venezuela due grandi risorse. In primo luogo, le ha consentito di inaugurare la stagione della “diplomazia del greggio”, usando il petrolio quale mezzo alquanto persuasivo per ingraziarsi l’amicizia ed il sostegno politico di diversi Paesi viciniori, con alcuni dei quali si è cementata l’integrazione economica mediante la creazione dell’ALBA, un’area di scambio alternativa alla tradizionale zona di cosiddetto “libero commercio” (ALCA) da sempre egemonizzata da Washington.

Sotto un altro profilo, il controllo pubblico sulle entrate del greggio ha permesso in quest’ultimo decennio di “socializzare i profitti” della vendita del petrolio, reinvestendoli in immense campagne governative (definite Misiones) che hanno regalato a milioni tra i più poveri ed emarginati del Paese ciò che essi non avevano mai avuto in passato: assistenza sanitaria gratuita nei quartieri popolari delle città (Misiòn Barrio adentro), con il decisivo apporto professionale di personale sanitario cubano; alfabetizzazione di massa estesa anche alle periferie più estreme del Paese (Misiòn Robinson); da ultimo, proprio nei giorni di quest’ultimo Natale si è inaugurata la Misión Niños y Niñas del Barrio, finalizzata a sottrarre i bambini dalla devianza minorile di strada attraverso un programma sociale di recupero.

La mia amica Melys ci invita orgogliosamente a visitare il progetto di recupero minorile di cui lei stessa è responsabile all’interno del Municipio di Petare, uno dei luoghi a più alto tasso di violenza e omicidi di tutto il Paese (se non dell’intero subcontinente). Ma sono in tanti a sconsigliarci di fare ingresso all’interno del barrio, che sarebbe troppo pericoloso per dei gringos di pelle bianca come noialtri, perfino in orari diurni.

Rinunciamo all’invito, anche per mancanza di tempo, ma non senza avere compreso un aspetto causale poco conosciuto inerente la genesi di un certo tipo di violenza di strada a Caracas: è più di uno ad informarmi del fatto che all’interno del pericolosissimo barrio di Petare si sono infiltrate delle cellule organizzate di paramilitari colombiani i quali da tempo svolgono una lenta ma costante azione di destabilizzazione del Venezuela, spesso fomentando disordini e microcriminalità e non rinunciando al controllo dei flussi di cocaina (abbondantemente prodotta nel loro Paese d’origine, a dispetto del tanto sbandierato Plan Colombia Made in U.S.A.).

Riusciamo a conoscere anche Mariana, dentista venezuelana moglie di Antonio (docente e intellettuale creativo emigrato dall’Italia) la quale ha scelto per vocazione di operare proprio all’interno di Petare, praticando tariffe calmierate a beneficio della sua clientela di estrazione sottoproletaria che abita il barrio. “Nonostante sia stata aggredita già 2 volte all’interno del mio studio dentistico – ci confida Mariana, la quale comunque vive in un grazioso quartiere residenziale di Caracas - traggo quotidianamente gratificazione, nel mio lavoro, dal rapporto con la gente umile del quartiere”. In fondo il Venezuela socialista e bolivariano di oggi è soprattutto questo: una terra dove si tenta di colmare rapidamente le immense differenze sociali formatesi in decenni di ricette neo-liberiste.
continua

1 comentario:

Avenarius dijo...

L'esperienza bolivariana del Comandante Chavez ci lascia un residuo di speranza che anche da noi le cose possano un giorno cambiare.

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