di vomito. Aveva ordinato a Padre Tramonti di strigliare quella massa di sudicioni che, dopo la gita, si erano lavati sommariamente con l'acqua fredda: "Puzzano come l'inferno! E anche lei, non vede come ha ridotto la sua tonaca?". Se n'era andato scuotendo la testa.
Il
ragazzo chiese il permesso di fare il bagno invece della doccia. Non lo aveva
mai fatto prima e aveva voglia di provare. Immerso nell'acqua calda, evitò
accuratamente di guardarsi ma quando si passò il sapone nei pressi delle parti
intime non poté trattenersi: cos'era quella cosa calda e grossa che non aveva
mai notato prima e che adesso tirava verso l'alto così forte e... così piacevolmente? Eppure era parte di lui!
E quei peli? Non li aveva mai visti. Si lasciò scivolare nell'acqua, chiuse gli
occhi, cercò le parole di una preghiera senza riuscirci. Era agitato.
Ritornato nell’aula-studio si accorse di
essere stato l'ultimo a rientrare. Padre Tramonti gli diede un'occhiata
distratta e tornò alla sua lettura. Lui si sedette, aprì il coperchio del banco
e trovò un bigliettino piegato in quattro. Meravigliato lo aprì. Vide il
disegno di un cuore e questa frase: "Non potremo mai amarlo abbastanza,
vero?" Aprì il suo diario: un altro bigliettino: "Fino a quando sarai
la fidanzata di tutti?". Si riferivano a Gesù? Allora perché non avevano
scritto questi pensieri sul quaderno del gruppo mariano? Non capiva, era
turbato. Chiese il permesso di recarsi dal Padre spirituale. Appena lo vide
entrare, padre Richetti, arrossì violentemente: così pulito e pettinato gli
sembrò un angelo.
"Vorrei
confessarmi," disse il ragazzo, timidamente.
"Chiudi
la porta e inginocchiati," gli rispose il prete e indossò i paramenti.
Mentre il ragazzo finiva la preghiera preparatoria, Padre Richetti si accorse
di tremare. Decise di essere rapido e brusco: "Hai peccato?"
"Sì, Padre, oggi, durante la gita, ho
toccato Enrico..."
"Dove?"
"Sul braccio. L'ho preso per un braccio
perché non mi stava a sentire..."
Padre
Richetti provò gelosia per quel seminarista che era stato toccato dal ragazzo.
"Le amicizie particolari sono proibite,
lo sai? E' il primo punto del libretto sugli abiti che vi ho dato un mese fa.
Non ci hai riflettuto abbastanza. Le amicizie particolari portano ai
toccamenti, che sono molto pericolosi. E poi?"
"Durante il bagno mi sono guardato e ho
visto una cosa brutta."
Padre Richetti aveva fretta di porre termine a
quella confessione che lo eccitava. Gli ordinò dieci visite a Gesù e due rosari
da dire prima di addormentarsi, lo assolse, si mise a sedere e aprì un libro.
"Dovrei parlarle" disse il ragazzo,
sostando in piedi dietro la scrivania.
Voleva chiedergli il significato delle frasi che aveva trovato sui
bigliettini. Il padre spirituale alzò lo sguardo, arrossì violentemente e si
sentì perduto.
"Vieni qui vicino, - gli disse - spiegami bene che cosa hai visto facendo il
bagno."
Il ragazzo si avvicinò, anche lui arrossendo:
"I.. i... i peli... e una cosa, un coso..."
Il prete gli prese una mano, l'avvicinò al suo
pene e gli chiese, a bassa voce: "Così?"
"Sì."
"Però tu non hai fatto... - gli chiese
strofinando la mano del ragazzo sul suo pene eretto - non hai fatto...
cosi?"
"No" disse il ragazzo senza togliere
la mano. Si fidava ciecamente del Padre spirituale.
Improvvisamente
padre Richetti rovesciò la testa all'indietro ed emise un rantolo. Il ragazzo
sentì sussultare la "cosa grossa" e la tonaca che diventava
appiccicosa. Il Padre gli allontanò la mano, emise un lungo sospiro poi,
imbarazzato, gli ordinò con una strana voce roca: "Vai, vai a studiare".
Uscendo
dalla stanza il ragazzo notò il letto sfatto del padre e provò pena per lui.
Gli pareva che dovesse essere molto triste vivere solo. A lui piaceva
addormentarsi nella camerata in compagnia di tanti altri ragazzi. Chiese a
Padre Richetti: "A lei piace dormire solo soletto? Non ha paura?"
Il Padre spirituale sgranò gli occhi. "Mi
sta tentando ancora - pensò. - E' un demonio."
Il primo maggio i seminaristi si recarono alla
stazione per accogliere Padre Gori, appena fuggito dall'Albania; veniva per un
periodo di riposo. I prefetti avevano parlato a lungo ai ragazzi di
quell’eroico missionario che da bambino aveva trovato, miracolosamente, nella biblioteca della sua parrocchia, una
copia degli esercizi spirituali di S. Ignazio e, arrivato al paragrafo 95,
aveva sentito la chiamata di Gesù. L'immagine che S. Ignazio gli chiedeva di
evocare si era formata così limpida, così vivida nella sua mente che si era
precipitato a casa per annunciare a sua mamma: "Il re mi ha detto che
vuole sottomettere al suo potere tutto il territorio degli infedeli e mi ha
chiesto di andare con lui, accontentandomi di mangiare e di bere come
lui..."
Lei l'aveva guardato stupefatta: "Vuoi mangiare come un
re?" "Sì, e come il re voglio faticare di giorno, vegliare di
notte." "Ma i re non fanno mica quelle cose lì, le fanno fare agli
altri" gli aveva spiegato la mamma. "Non hai capito niente! Il mio re è nostro Signore che ha detto a tutti
gli uomini di voler sottomettere al suo potere tutto il mondo e tutti gli avversari
per entrare nella gloria del Padre. Io lo seguirò nelle sofferenze e nella
gloria".
In Albania Padre Gori aveva patito la prigione
e la tortura e, sempre miracolosamente, era riuscito a fuggire. Prima del suo
arrivo Padre Tramonti aveva raccontato più volte come, la notte della fuga di
Padre Gori, nel cielo di Tirana fosse apparsa una croce luminosa che aveva
scacciato tutte le nuvole e che queste, disperdendosi, avevano formato nel
cielo il nome del missionario. Poi una lingua di fuoco si era sprigionata dalla
croce e aveva fuso le sbarre del carcere, cosicché Padre Gori era arrivato in
Italia senza sapere come. Del resto... anche alla nascita di Padre Matteo
Ricci, il grande missionario che aveva sbalordito i cinesi con la sua sapienza
sconfinata e la sua memoria prodigiosa, in cielo era apparsa una croce e le
nuvole avevano formato il nome del futuro apostolo della fede. Questi miracoli,
sosteneva Padre Tramonti, erano importanti non in se stessi ma in quanto
dimostravano l'esistenza e la bontà di Dio.
I seminaristi erano emozionatissimi. Si
aspettavano un gigante, nel corpo come nella fede, un esempio luminoso di
quanto li attendeva sulla via della dedizione alla Chiesa di Cristo. In
stazione, oltre a loro, c'erano due persone: Mario e una splendida ragazza
dallo sguardo impertinente. Era Giuseppina, venuta a salutare suo fratello che
partiva per l'Inghilterra. In presenza della donna i seminaristi tennero gli
occhi bassi, Padre Colombo, il nuovo rettore, si avvicinò ai due e li salutò
cordialmente.
Regalò al mezzadro un'immagine del Sacro Cuore e gli consegnò un
bigliettino con l'indirizzo di un convento cui avrebbe potuto rivolgersi in
caso di bisogno spirituale. Il mezzadro non diede segni di riconoscenza; passò
l'immaginetta alla sorella che la infilò ridendo nella borsetta e i due
fratelli si allontanarono lungo la pensilina. Appena il treno per Milano si
mise in moto Giuseppina mandò al fratello, che si sporgeva dal finestrino con
espressione spaurita, grandi baci cinematografici; poi s’incamminò verso la
frazione del Fico. Sarebbe rimasta qualche giorno a sbrigare le ultime faccende
di famiglia.
Poco dopo fu annunciato l'arrivo del treno che
trasportava Padre Gori. I seminaristi si disposero in coro, dai bassi ai
soprani, padre Sartori impugnò il diapason, lo fece vibrare picchiandoselo in
testa, lo accostò all'orecchio e intonò le varie sezioni. Il rettore e i
prefetti si avvicinarono alla banchina. Il treno si fermò sferragliando e da un
finestrino spuntò una faccia spaventata. "Presto, Padre, scenda" gli
gridò il nuovo rettore ma il missionario si voltò più volte a guardare i
passeggeri, come per assicurarsi che nessuno lo seguisse.
"Il treno
riparte, presto" insistette ancora il rettore e finalmente Padre Gori
trovò il coraggio di scendere. Subito i seminaristi intonarono un poderoso
"Gloria". Terrorizzato, il Padre fece un balzo all'indietro e sarebbe
finito sotto le ruote del treno se il rettore non l'avesse afferrato per un
braccio. Mentre risalivano verso il seminario, il missionario si guardò
numerose volte alle spalle e inciampò nelle sue stesse gambe; solo in chiesa sembrò tranquillizzarsi.
Nel pomeriggio tutti gli abitanti del
seminario si riunirono nella sala teatro. Padre Gori fu fatto accomodare al
posto d'onore, alla sua destra sedette il nuovo rettore, alla sua sinistra
padre Padovan, accanto a lui il contrito e affamato padre Richetti, affiancato
da padre Cassina, letteratura e storia.
Padre Merli, famoso matematico, si era ricavato un posticino nascosto, rasente
il muro.
Era un vecchietto malfermo e tremolante, dalla salute compromessa, che
si faceva aiutare dai prefetti nella correzione dei compiti. Capelli bianchi,
magrissimo, sorrideva spesso con un'espressione ebete. Era molto silenzioso e
appartato, raramente i seminaristi lo incontravano fuori delle aule, spesso
si assentava dalle lezioni. Se gli si
chiedeva quanti nuovi teoremi aveva contribuito a risolvere si schermiva:
"Non sono cose importanti, è la fede che conta, la
fede risolve tutto."
Il programma dei festeggiamenti prevedeva un
discorso di benvenuto al Padre missionario, un'ora di canti di montagna e una
rappresentazione teatrale. Il Padre rettore aveva lasciato a Padre Padovan, che
aveva accettato senza esitazione, l'onore del discorso di benvenuto. Gli si offriva
l'occasione di rifarsi dallo smacco subito a Notre Dame dove, al termine della
sua tonante predica, legando due parole che non andavano legate, aveva
sollecitato i francesi, gli orgogliosissimi francesi!, non ad essere degli
eroi, com'era nelle sue intenzioni, ma... degli zeri! Gelo, vergogna! Con
spirito bellicoso occupò il proscenio, fece spegnere le luci in sala, chiese un
faretto puntato sulle sue note e tra lo stupore dei seminaristi, che si
attendevano un panegirico del Padre missionario o almeno una rievocazione dei
miracoli grazie ai quali Gesù l'aveva liberato dalle grinfie dei comunisti,
annunciò il proposito di analizzare in dettaglio la figura del demonio,
commentando analiticamente gli esercizi spirituali dal comma 325 al 336.
Padre
Gori accolse l'annuncio battendo entusiasticamente le mani e i ragazzi furono
contenti della sua felicità; la festa era stata organizzata in suo onore. Nella
scelta del soggetto Padre Padovan era stato ispirato dall'incidente occorsogli
il giorno prima. Stava facendo la sua passeggiatina digestiva dal seminario
alla chiesetta di S. Cristoforo quando, arrivato nei pressi del sagrato, aveva
sentito delle risa sguaiate: la
Santina e la
Giuseppina se la spassavano. Questo aveva irritato non poco
il Padre, che detestava ogni manifestazione scomposta e il riso in particolare.
Si era subito voltato e si era diretto verso il seminario ma, per tutta la
durata della discesa, nonostante affrettasse il passo, quelle risa immonde lo
perseguitavano, diventando anzi sempre più forti e più volgari! L'episodio gli
aveva ricordato il 335, un paragrafo che descrive con precisione assoluta due
caratteristiche del comportamento demoniaco: lo strepito e l'agitazione; lui lo
aveva immediatamente collegato al 325, che paragona il comportamento del
demonio a quello della donna. Ritornato nella sua stanza si era segnato alcune parole a mo’ di
appunti: debolezza, ira, spirito vendicativo, malizia, dannato disegno, finte
consolazioni, coda serpentina, insinuazione pungente (oltre a strepito e
agitazione, naturalmente).
Mentre Padre Padovan si dilungava nel suo commento ai vari
paragrafi scelti, pochi metri lontano, nella stanza di fratel ciabattino,
scelta da Padre Moroni per il delizioso profumo di tabacco che vi aleggiava, si
svolgevano gli ultimi preparativi dell'atto unico che sarebbe andato in scena
dopo i canti di montagna. Emanuele, il basso naturale, il ginnasiale alto, dal
corpo molle e informe e dai lineamenti indefiniti, avrebbe fatto la parte del
primo sacerdote del tempio; il ragazzo avrebbe interpretato Gesù. L'atto unico
era appunto intitolato: il piccolo Gesù nel tempio. Questo testo insipido non era stata la prima scelta di
Padre Moroni, ma ogni altra proposta era stata cassata dai superiori. Comunque,
con qualche segreta modifica di suo pugno, la doppia natura - divina e umana -
di Cristo veniva tratteggiata più chiaramente di quanto l'autore avesse
concepito.
Gli attori avevano provato per quindici giorni, sottraendo ore allo
studio e alle preghiere ed erano pronti. Mancava solo il trucco. Ad Emanuele fu
cosparso il capo di cenere, con un tappo bruciato gli vennero disegnate rughe e
occhiaie, così che sembrasse un gran sacerdote vecchio e infido. Quanto
all'abbigliamento, Padre Moroni avrebbe preferito una semplice tonaca, di
quelle usate normalmente dai padri, così da attualizzare la pièce, ma Padre
Tramonti lo aveva tanto pregato, tanto scongiurato di esercitare la virtù della
prudenza che optò per una specie di caffettano ricavato da una vecchia tenda
tarlata.
In teatro il coro attaccò la canzoncina
"Per una cana ontolada" e il ragazzo chiese a Padre Moroni il
significato di quel testo bizzarro. Il Padre arrossì e gli rispose che... sì...
le parole erano un po' ... non molto... insomma... ma la musica carina, effettivamente,
e non poco ironica, poi gli impose di stare zitto, estrasse da una borsa un
fondo tinta, il rimmel, la cipria e un rossetto e lo truccò. Il ragazzo
era infastidito e turbato dai profumi.
Emanuele lo invitò a guardarsi allo specchio.
"Ara ara come ti se beo”,
guarda, guarda come sei bello," gli diceva ma lui rifiutò di specchiarsi.
Non voleva commettere un peccato di vanità. Gli fu fatta indossare una specie
di veste dai colori sgargianti. Il coro fece una pausa, tra i seminaristi si
diffuse la voce della miracolosa trasformazione del ragazzo, alcuni vennero a
sbirciare e rimasero a bocca aperta. Padre Moroni pensava: "Se sapessero
che i trucchi me li sono fatti prestare dalla Giuseppina, capirebbero la
lezione evangelica della Maddalena" ma preferì mantenere il segreto.
Aveva
incontrato Giuseppina la sera prima, sul sentiero che portava alla chiesa di S.
Cristoforo, avevano chiacchierato amabilmente, lui aveva capito subito che la
signorina faceva il mestiere e si era giustificato ricordando la frase del
Vangelo: "Chi è senza peccato scagli la prima pietra.” Parlandole, era
rimasto affascinato: “Che bellezza sconvolgente, che temperamento! Una grande
attrice, in potenza, a parte l'accento dialettale, così espressivo, del
resto..." Le aveva chiesto in prestito i trucchi e lei aveva accondisceso
con grazia: "Se tutti i preti fossero come lei, Padre..." e aveva
pensato: "Fa bene a truccarsi, è proprio brutto!".
Quando Padre
Tramonti vide la bizzarra tonaca del ragazzo si mise a ridere e disse: "Mi
ricorda qualcosa... ah, certo... l'iconografia copta moderna... quei
Gesù..." Padre Moroni sorrise e aggiunse: "... mooolto stravaganti...
tipo musical americano?" Ma Padre Tramonti non aveva mai visto un musical
americano. Poi Padre Moroni divenne serio, fece segno al prefetto di seguirlo
in corridoio e gli espresse la sua
indignazione per quanto era avvenuto a Portella della Ginestre.
"Non è con
le stragi che noi vinceremo il comunismo! Questi peccati mortali, queste stragi
dovrebbero essere condannate dalla Chiesa con tutta la forza". Tramonti
gli rispose che lui si atteneva al
compito stabilito dai superiori,
di concentrarsi sui doveri quotidiani.
E Padre Moroni pensò: "E' un bravo novizio ma non ha ancora il coraggio di
usare la sua testa".
L'atto unico fu un grande successo; quel Gesù
così spontaneo, così disinvolto e così meravigliosamente truccato aveva
letteralmente rapito gli spettatori.
Il programma della giornata prevedeva anche
una "tenzone poetica". I partecipanti erano stati invitati ad
appendere le loro composizioni sui muri di una saletta normalmente adibita a
lavanderia che, per l'occasione, i fratelli avevano svuotato e ripulito. La
gara era aperta a tutti, seminaristi, fratelli, padri; l'unica regola era
l'anonimato. Dopo la merenda la saletta venne riaperta. C’erano dieci poesia
appese; le cinque ispirate alla vicenda di Padre Gori ne lodavano l'eroismo e
ne esaltavano il martirio, quattro parlavano di amore mistico e una se la
prendeva con Napoleone: "Napoleon - diceva - che delusion, la tua
rivoluzion!"
L'autore dei tre sciocchi versi fu subito individuato nel
figlio di un medico, un burlone, la sincerità della cui vocazione era messa in
dubbio da più di un padre. Ma il medico, che non sopportava quel figlio avuto
prima del matrimonio, era molto generoso con il seminario. Le poesie eroiche
erano opera evidente dei piccoli, come rivelavano le calligrafie infantili e
l'ingenuità dei testi; le poesie mistiche erano opera di padri e di ginnasiali.
Una iniziava così: "Quando tornerai/ troverai la casa pulita/ le tendine
nuove...". La giuria, composta da Michele - un ginnasiale effeminato che,
essendo giorno di festa, esibiva un
completino tirolese - e dai padri Tramonti
e Moroni non ebbe dubbi. L’autore della poesia sulla palpitante attesa dello sposo
divino fu premiato con un crocefisso tascabile che avrebbe ritirato in segreto.
Dopo cena Padre Moroni ritornò da Giuseppina,
le restituì i trucchi e si trattenne a chiacchierare con lei, per gettare un
seme di pentimento in quell'anima confusa che abitava in un corpo meraviglioso.
Non voleva accusarla, solo toccarle il cuore con parole dolci e appropriate.
Sostavano sotto un melo selvatico.
L'oscurità della notte celava il prognatismo pronunciato e il leggero strabismo
del padre che avevano spaventato la ragazza al loro primo incontro.
Giuseppina
non riusciva a cogliere il significato delle parole del sacerdote ma era
incantata dal tono della sua voce: finalmente un uomo che parlava con dolcezza,
che non emetteva versi orribili, che non urlava parolacce come facevano i suoi
clienti durante l'orgasmo. Quando padre Moroni ebbe esaurito i suoi oscuri
argomenti, lei lo abbracciò e gli fece
sentire il calore dei suoi seni. Il padre s’irrigidì, Giuseppina scappò via.
Rientrando a casa si domandò come mai quei religiosi avevano così paura delle
donne e preferivano i ragazzini, come si mormorava in paese. (continua)
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