miércoles, 20 de marzo de 2013

Vaticano non può destabilizzare il blocco sudamericano

Evo Morales non è Walesa, il Sudamerica non è l'Europa dell'est
Il sociologo argentino Attilio A. Boron, in una messa a punto (qui) sul nuovo Capo di Stato del Vaticano, sostiene che Bergoglio chiuse gli occhi, si lavò le mani, e peccò per connivenza, ma non fu un colaboratore attivo della dittatura militare (come altri suoi colleghi). Allo stesso tempo, non vi sono dubbi sul suo orientamento ultra-conservatore, quando non reazionario, ostile ai governi di Nestor e Cristina Kirchner. E' molto difficile, quand'anche se lo proponesse, che il nuovo pontificato risulti una riedizione di quello di  Wojtyła, o che possa avere lo stesso successo  per far uscire dai binari il nuovo corso in atto o nella destabilizzazione del blocco sudamericano. Il Vaticano, inoltre, patisce un grave dissesto finanziario e una crisi morale severa. A. Boron dice che "la rivoluzione bolivariana ha poco a che vedere con la "rivoluzione di velluto" dell'ex
Cecoslovacchia e che:
"....Il suo pontificato sarà un remake di Juan Pablo II? È molto improbabile. Papa Wojtila era un prodotto della fine degli anni 70, quando il mondo era molto diverso da oggi. Fu l'ariete di cui la borghesia imperiale aveva bisogno per buttare giù l'Unione Sovietica e i Paesi dell'Europa orientale. Tale strategia è stata efficace perché quei regimi  soffrivano un avanzato stato di crisi morale, politica, degrado economico e sociale. Infatti, Giovan Paoli II si è limitato a scatenare l'assalto finale a un enorme edificio che era già venuto giù, a causa delle sue gravi contraddizioni.

 Oggi il mondo è cambiato molto: l'imperialismo non ha, come ricononoscono i suoi intellettuali organici, la stessa forza d'attrazione del passato. I rivali sono più numerosi, diversificati ed economicamente molto più forti di quanto erano l'Unione Sovietica e i paesi dell'Europa orientale. I suoi alleati, inoltre, sono deboli e vacillanti. La Chiesa, a sua volta, è stata indebolita da una successione infinita di scandali e manca quella credibilità che aveva conquistato negli anni di Juan XXIII. 


Inoltre, se volesse gettare tutto il suo peso per destabilizzare il processo bolivariano in Venezuela, Bolivia ed Ecuador o le esperienze di trasformazione politica in corso in altri paesi della regione, la risposta sarebbe molto diversa da quella che vi fu -più di trent'anni fa- nell'est europeo. Qui si tratta di processi che hanno enorme sostegno popolare, che non esisteva neanche lontanamente là. Perciò il progetto della destra latinoamericana -organizzato, finanziato e orientato dall'impero- di riutilizzare l'ariete ecclesiastico che diede risultati nell'Europa orientale per terminare con governi progressisti, è destinato a fallire clamorosamente.


 La "rivoluzione di velluto" della Cecoslovacchia non ha nulla a che fare con la rivoluzione bolivariana in Venezuela; Evo Morales non è Lech Walesa e Rafael Correa non è Ceausescu. Non solo l'epoca storica e i processi sono differenti: gli enormi problemi che oggi ha affronta la Chiesa (crisi finanziaria, reati economici della banca vaticana, alleanze con gli interessi della mafia, pedofilia e sue sentenze, celibato sacerdotale, l'incorporazione delle donne al sacerdozio e il ritardo aggiornamiento rivendicato da Juan XXIII) difficilmente permetteranno a Francesco di dedicare molta attenzione a ciò che accade nei nostri paesi di America..."

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