jueves, 26 de septiembre de 2013

ONU: Dilma Rousseff, leader anti-egemonica

Contro lo spionaggio sistematico degli USA- Brasile, Paese grande o Grande Paese?
Tito Pulsinelli Obama ha scanditto la consueta filippica contro i mali del mondo, soprattutto contro il Cattivo di turno, con l'atavico moralismo conferito dall'autoassolutario “eccezionalismo”. Però il clima nel salone dell'Assemblea generale dell'ONU era stato contagiato dalle forti parole della presidente brasiliana che aveva inaugurato la sessione. Dilma Rousseff ha accusato senza mezzi termini gli Stati Uniti per lo spionaggio di cui è stata vittima lei, le istituzioni e le compagnie industriali del suo paese. Ha rifiutato di incontrare
Obama -anche per uno scatto fotografico- rigettando le “giustificazioni” anticipate durante il fugace contatto avvenuto nel corso del G20 in Russia. Nella sostanza, le incursioni della CIA ai danni di amici e nemici, avverrebbero per garantire la “sicurezza anche al Brasile” (sic). Brasilia, invece, risponde evidenziando nel massimo consesso mondiale il cinismo del regime di Washington. E propone alle nazioni del mondo, l'iniziativa di legislare contro una deriva istituzionale che rivendica l'illegalità e l'ostilità contro la convivenza internazionale.


La narrativa del regime USA è immutabile, riecheggia come ripetitiva, a tratti trossessiva, e proietta un'immagine -diventata ombra- d'un paese militarista all'eterna ricerca di occasioni per aggressioni o rappresaglie belliche. Però è cambiato il pathos, c'è difficoltà a farsi temere, e una nuova relazione globale di forza che toglie prestigio e aura. Il ministro degli esteri ecuadoriano Patino, definisce il discorso di Obama come “mezz'ora di bollettino poliziesco sul mondo”. Non una sola parola sullo sviluppo o sulla salute dell'economia. “Comunque vada in Siria, gli Stati Uniti hanno perso prestigio e potere” ha chiosato l'ex ministro israeliano della difesa Erhud Barak. 

Il Brasile ha dato un secco colpo di timone, per ragioni che vanno oltre le rivelazioni di Snowden e l'ostentato attivismo clandestino della NSA e consociate. Macchinato in loco da una delle più grandi strutture predisposte all'estero, che ha anche messo lo zampino nelle proteste antigovernative e per accreditare scenari di improbabili “primavere tropicali”.    

Washington si opporrà sempre all'entrata del Brasile nel Consiglio permanente delle Nazioni unite. Questa è la conclusione a cui è approdato l'attuale gruppo dirigente brasiliano, che accentua il distanziamento dall'unica opzione storicamente perseguita dall'oligarchia. Ridotta alla subalternità volontaria, per limitarsi a negoziare separatamente condizioni di privilegio relativo. “Il Brasile è un paese grande, però può diventare un Grande Paese solo nell'unione con tutti i paesi sudamericani” ha detto più volte Dilma Rousseff durante le visite ufficiali in America latina.



Si va verso una definizione. Integrazione generica d'un blocco regionale sudamericano, e poi contrattare un ruolo e spazio più ampio, però subordinato e delegato, nell'ambito residuale dell'unipolarismo continentale. O una decisa accelerazione dell'integrazione del sub-continente che -con il Venezuela nel Mercosur, ha dischiuso la latitudine dei Caraibi, delle Ande e quello centroamericano- per rafforzare un forte polo autonomo nel panorama  multipolare. Con voce propria nelle questioni nodali del sistema finanziario internazionale, sullo scambio diseguale nord-sud, sulle alternative al declinante monoteismo monetario e la quotazione delle materie prime.



Dilma Rousseff, per la prima volta è apparsa quel che a tutti gli effetti è sempre stata. Una leader globale che riafferma la scelta del BRICS come una politica di stato, non tattica circostanziale o tappa per accumulare massa critica. E' portatrice convinta di soluzioni anti-egemoniche, dimostrata dalla fermezza assunta contro il monopolio della rete della comunicazione elettronica globale. 
Il confronto con la passività dell'elite europea, sconfinante nella connivenza con i ladri di informazioni strategiche, definisce il vero livello della nanopolitica vassalla e della decadenza. Il Brasile, come la Cina e l'Iran, rompe il monopolio USA e passa all'edificazione di un “internet brasiliano”, con crittografia propria,  stoccaggio obbligatorio degli archivi da parte delle compagnie tipo facebook, google ed altre associate alla NSA.



Le rivelazioni del dissidente Snowden hanno aperto crepe vistose, e da specifica “crisi nei servizi” è una mina vagante, ormai non neutralizzabile. L'assenza di risposte convincenti, lo scellerato tentativo di dirottare l'aereo presidenziale boliviano, la politica dello struzzo del regime di Washington hanno -tra molti altri effetti collaterali- alterato significativamente le relazioni con il gigante brasiliano. Non è cosa di poco conto. Si tratta di uno stato-continente finora moderato e accomodante, diventato asse aggregante che articola un blocco. Per la prima volta traccia una rotta divergente e promuove multipolarismo. Dilma Rousseff sembra un pilota che andrà parecchio lontano dagli orizzonti stabiliti dal nord.




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