Contro lo spionaggio sistematico degli USA- Brasile, Paese grande o Grande Paese?
Tito
Pulsinelli Obama ha scanditto la consueta filippica contro i
mali del mondo, soprattutto contro il Cattivo di turno,
con l'atavico moralismo conferito dall'autoassolutario
“eccezionalismo”. Però il clima nel salone dell'Assemblea
generale dell'ONU era stato contagiato dalle forti parole della
presidente brasiliana che aveva inaugurato la sessione. Dilma Rousseff ha
accusato senza mezzi termini gli Stati Uniti per lo spionaggio di cui
è stata vittima lei, le istituzioni e le compagnie industriali del
suo paese. Ha rifiutato di incontrare
La narrativa del regime USA è immutabile, riecheggia come ripetitiva, a tratti trossessiva, e proietta un'immagine -diventata ombra- d'un paese militarista all'eterna ricerca di occasioni per aggressioni o rappresaglie belliche. Però è cambiato il pathos, c'è difficoltà a farsi temere, e una nuova relazione globale di forza che toglie prestigio e aura. Il ministro degli esteri ecuadoriano Patino, definisce il discorso di Obama come “mezz'ora di bollettino poliziesco sul mondo”. Non una sola parola sullo sviluppo o sulla salute dell'economia. “Comunque vada in Siria, gli Stati Uniti hanno perso prestigio e potere” ha chiosato l'ex ministro israeliano della difesa Erhud Barak.
Il Brasile ha dato un secco colpo di timone, per ragioni che vanno oltre le rivelazioni di Snowden e l'ostentato attivismo clandestino della NSA e consociate. Macchinato in loco da una delle più grandi strutture predisposte all'estero, che ha anche messo lo zampino nelle proteste antigovernative e per accreditare scenari di improbabili “primavere tropicali”.
Washington si opporrà sempre all'entrata del Brasile nel Consiglio permanente delle Nazioni unite. Questa è la conclusione a cui è approdato l'attuale gruppo dirigente brasiliano, che accentua il distanziamento dall'unica opzione storicamente perseguita dall'oligarchia. Ridotta alla subalternità volontaria, per limitarsi a negoziare separatamente condizioni di privilegio relativo. “Il Brasile è un paese grande, però può diventare un Grande Paese solo nell'unione con tutti i paesi sudamericani” ha detto più volte Dilma Rousseff durante le visite ufficiali in America latina.
Si
va verso una definizione. Integrazione generica d'un blocco regionale
sudamericano, e poi contrattare un ruolo e spazio più ampio, però
subordinato e delegato, nell'ambito residuale dell'unipolarismo
continentale. O una decisa accelerazione dell'integrazione del
sub-continente che -con il Venezuela nel Mercosur, ha dischiuso la latitudine dei
Caraibi, delle Ande e quello centroamericano- per rafforzare un forte
polo autonomo nel panorama multipolare. Con voce
propria nelle questioni nodali del sistema finanziario
internazionale, sullo scambio diseguale nord-sud, sulle alternative
al declinante monoteismo monetario e la quotazione delle materie
prime.
Dilma
Rousseff, per la prima volta è apparsa quel che a tutti gli effetti
è sempre stata. Una leader globale che riafferma la scelta
del BRICS come una politica di stato, non tattica circostanziale o
tappa per accumulare massa critica. E' portatrice convinta di
soluzioni anti-egemoniche, dimostrata dalla fermezza assunta contro
il monopolio della rete della comunicazione elettronica globale.
Il
confronto con la passività dell'elite europea, sconfinante
nella connivenza con i ladri di informazioni strategiche, definisce il vero livello della nanopolitica vassalla e della decadenza. Il Brasile, come la Cina e l'Iran, rompe il monopolio USA e
passa all'edificazione di un “internet brasiliano”, con
crittografia propria, stoccaggio obbligatorio degli archivi da parte delle compagnie tipo facebook, google ed altre associate alla NSA.
Le
rivelazioni del dissidente Snowden hanno aperto crepe vistose, e da
specifica “crisi nei servizi” è una mina vagante, ormai non
neutralizzabile. L'assenza di risposte convincenti, lo scellerato tentativo di dirottare l'aereo presidenziale boliviano, la politica
dello struzzo del regime di Washington hanno -tra molti altri effetti
collaterali- alterato significativamente le relazioni con il gigante
brasiliano. Non è cosa di poco conto. Si tratta di uno
stato-continente finora moderato e accomodante, diventato asse
aggregante che articola un blocco. Per la prima volta traccia una
rotta divergente e promuove multipolarismo. Dilma Rousseff sembra un pilota che andrà parecchio lontano dagli orizzonti stabiliti dal
nord.
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