Berlino ha succhiato alla Grecia più del 3% del Prodotto interno lordo
(Pil) tedesco
Claudio Conti Contropiano In
una comunità economica non solidale – ovvero non governata secondo
linee di riduzione delle differenze di sviluppo – chi è più forte ci
guadagna, e chi è più debole ci perde. Non è cattiveria, è una regola
semplicissima di funzionamento della
normale dinamica costi/benefici,
vantaggi/svantaggi.
Essendo
una regola semplice, la conoscono quasi tutti. Specie i soggetti più
forti, che sistemano istituzionalmente le regole in modo che questo
trasferimento diretto di ricchezza avvenga nel più “spontaneo” dei modi,
senza che appaia all'universo mondo per quello che è: una rapina a mano
pesantemente armata.
Nell'Unione
Europea questa situazione è la norma, da molti anni a questa parte. Ed
ogni evento critico, anche se causato proprio da questo assetto (oltre
che dalla più ampia crisi sistemica del capitalismo), viene utilizzato
per renderlo ancora più stringente. Ed anche questo è ovvio: meno
risorse ci sono, più cresce la competizione per accaparrarsele, più “i
forti” stringono alla gola “i deboli”.
Se non vi è bastata la vicenda greca, con Tsipras “costretto” alla resa (si è parlato addirittra di waterboarding mentale,
in occasione della firma dell'”accordo” del 12-13 luglio), potrebbe
aiutarvi a capire meglio la situazione uno studio pubblicato due giorni
fa dall'Halle institute for economic research (Iwh), uno dei
principali istituti di ricerca economica in Germania. Studio che ha
preso in esame la dinamica dei tassi di interesse sui titoli di stato –
differenziatissima, tra i 19 paesi dell'eurozona – nel corso
dell'evoluzione della crisi, dal 2008 ad oggi.
La
conclusione non è molto originale – ci permettiamo di far notare che
l'avevamo notata da tempo, come molti altri commentatori - ma ha un
forte potere d'impatto proprio perché proviene da un istituto
scientifico tedesco: «Il pareggio di bilancio in Germania è in gran
parte il risultato di pagamenti di interessi più bassi a causa della
crisi del debito europeo».
Vi
sebra un po' criptico? Allora sciogliamo l'arcano. Ogni paese
dell'eurozona si finanzia o rinnova il proprio debito emettendo titoli
di stato, su cui paga un tasso di interesse fisso (stabilito al momento
dell'emissione) più uno spread derivante dalle oscillazioni di
prezzo sui mercati. Un titolo di stato viene “piazzato” al prezzo
convenzionale di 100 euro, ma è chiaro che se si tratta di un Bund tedesco
– ritenuto “molto sicuro”, perché lo Stato in questione è certamente
solvibile, ossia restituirà certamente la cifra piena alla scadenza del
titolo – il prezzo che gli investitori sono disposti a pagare sarà anche
superiore alla cifra nominale (es: 120 euro).
In questo modo
l'investitore (una banca, un privato, chiunque) rinuncia consapevolmente
a una parte degli interessi che dovrà ricevere nel corso degli anni (la
cedola a tasso fisso o indicizzato a qualche altra dinamica variabile)
pur di avere la certezza che i suoi soldi rientreranno.
Al
contrario, se lo Stato emittente è considerato “a rischio”, quel prezzo
fissato dal mercato per tenere nel cassetto un titolo sarà più basso di
100 (es: 60). In questo modo l'investitore pretende un guadagno
possibile molto più alto di quello proposto dall'emittente, sommando
alla cedola fissa (o variabile) il guadagno derivante dal prezzo basso
pagato ora rispetto ai 100 euro che dovranno essergli restituiti a
scadenza. L'incertezza si paga, insomma. E anche cara.
Cosa è successo con l'esplosione della crisi del 2008 e quindi con quella del debito pubblico greco (e degli altri Piigs)?
Tutti
gli investitori sono corsi ad accaparrarsi titoli di stato tedeschi.
Così facendo la Germania si è venuta a trovare nell'invidiabile
condizione di potersi finanziare (o rifinanziare, sostituendo i titoli
di stato in scadenza con altri di nuova emissione) a costo praticamente
zero. Anzi, visto che in alcuni periodi i tassi di interesse pagati sono
diventati addirittura negativi, guadagnandoci sopra.
Questo
clamoroso risparmio ha permesso allo Stato tedesco di raggiungere molto
facilmente il pareggio di bilancio, senza dover adottare alcuna
politica di taglio della spesa pubblica.
La
stessa dinamica, per i paesi Piigs (Portogallo, Italia, Irlanda,
Grecia, Spagna), ha prodotto il risultato opposto, costringendoli a
pagare interessi molto più alti sul debito e quindi a ricercare
l'impossibile “pareggio di bilancio” (diventato obbligatorio, perlomeno
tendenzialmente, al punto da essere inserito nella Costituzione italiana
senza alcuna discussione politica pubblica) con tagli spesa e/o avanzi
di bilancio sempre più colossali.
In pratica, i paesi deboli – Grecia in primis –
hanno finanziato la Germania (e l'Olanda, la Finlandia e via elencando i
“paesi virtuosi” del Grande Nord). E devono continuare a farlo...
Spiega
infatti l'Ivh che la crisi del debito ellenico ha portato a «una
riduzione dei tassi del Bund di circa 300 punti base»; ossia un
risparmio di oltre 100 miliardi, più del 3% del Prodotto interno lordo
(Pil) della Germania. Un effetto obbligato della diversa “credibilità”
dei vari stati che però condividono la stessa moneta e gli stessi
obblighi teorici. «Il risultato» è che «la Germania ha beneficiato in
modo sproporzionato di questo effetto».
Gli
studiosi dell'Ivh hanno però analizzato non solo la tendenza di lungo
periodo, ma anche l'impatto sui mercati e sullo spread di ogni singola
notizia negativa per la Grecia o uno dei paesi deboli. «Gli effetti sono
simmetrici» e quando si sono verificati “eventi importanti” i mercati
hanno reagito con movimenti anche di 20-30 punti base al giorno. Inutile
dire che già solo la vittoria elettorale di Syriza, per non dire della
vittoria del “no” al referendum del 5 luglio, hanno prodotto
osccillazioni negative dello spread particolarmente ampie. E quindi
robusti guadagni per le casse pubbliche tedesche.
Fin qui tutto chiaro. Ma quanto ci ha guadagnato Berlino? La retorica para-leghista di Angela Merkel e Wolfgang Schaeuble dice che “i contribuenti tedeschi non possono pagare le pensioni di quegi scansafatiche dei greci”, e che "sono stati concessi fin troppi aiuti" che probabilmente non torneranno mai indietro.
La
realtà contabile quantificata dall'Ivh è decisamente diversa. Pur
utilizzando una “metodologia standard” per effettuare la simulazione
(“come sarebbe andata se” gli spread non avessero dovuto oscillare per
la crisi del debito greco) hanno calcolato che la Germania ha
risparmiato oltre 100 miliardi di euro nel solo periodo 2010-2015.
Mentre la quota tedesca degli “aiuti” concessi alla Grecia – prestiti
che dovrebbero essere restituiti – ammonta a circa 90 miliardi.
La conclusione dell'Inh è identica a quella che ognuno di voi, a questo punto, avrà tratto dalla lettura: «Se la Grecia paga i suoi debiti, o paga in parte, i risparmi sono notevoli». Ma anche se non restituisse neanche un euro «la Germania sarebbe comunque in vantaggio».
Al
capitale multinazionale, comunque, questo guadagno non basta.Per questo
pretendono altre "riforme strutturali" e tante privatizzazioni...
fonte Contropiano
fonte Contropiano
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