Nel suo ultimo editoriale per il New York Times, "Luci verdi e barlumi", il premio Nobel per l'economia Paul Krugman - abbastanza dissidente da non essere invitato da Obama al summit degli economisti alla Casa Bianca di qualche settimana fa, insieme a Joseph Stigliz, anch'egli premio Nobel - mette alla berlina le voci di chi vede segni di ripresa negli indicatori dell'economia USA.
Il folklore ottimistico raggiunge il suo apice con i trionfalistici dati sui profitti della Goldman Sachs, che omette di precisare di aver riformulato i parametri dei propri quadrimestri in maniera tale da aver fatto saltare il mese di dicembre, piuttosto cattivo ("I kid you not", assicura Krugman riferendo questa enormità). E tuttavia vorrei riportare alcuni brevi paragrafi dell'articolo.
"Adesso che vi ho depressi, qual'è la risposta? La persistenza. La storia mostra che uno dei grandi pericoli politici, nell'affrontare una grave crisi economica, è il prematuro ottimismo. F.D.R. reagì ai segni di recupero riducendo della metà l'Amministrazione delle Opere Pubbliche e alzò le tasse; la Grande Depressione subito riprese vigore. Il Giappone dimezzò il suo sforzo nel suo decennio perduto, assicurando altri cinque anni di stagnazione.
Gli economisti dell'amministrazoipne Obama capiscono questo. Dicono tutte le cose giuste sul mantenere la rotta. Ma c'è un vero rischio che tutto questo parlare di luci verdi e barlumi alimenti una pericolosa compiacenza.
Quindi ecco il mio consiglio, per l'opinione pubblica e i politici: non parlate di ripresa se non ci sono segni sicuri". Questi paragrafi dell'editoriale di Krugman vengono subito dopo l'affermazione che l'occupazione negli Stati Uniti riprenderà a crescere, anche se con ritmi più lenti di quello che molti sperano.
Dato che Krugman viene spesso citato tra quanti hanno annunciato la crisi, e ora mettono seriamente in dubbio la validità delle politiche dell'amministrazione, vorrei citarlo, per una volta, anche per ciò che si coglie chiaramente tra le righe. Krugman non è riducibile agli schemini del catastrofismo apocalittico. La sua opinione non è infallibile, e tuttavia per lui lo scenario di una ripresa è solo questione di tempo e non se ci sarà davvero.
Non essendo un economista non posso dire niente nel merito, ma ovviamente ho le mie speranze ed aspettative. Se da un lato mi auguro che la crisi ridisegni una mappa dei poteri gobali che ridimensioni l'influenza USA nel mondo, dall'altro desidero che essa provochi meno sofferenza possibile, e che dunque duri poco lasciando spazio a una ripresa.
Chi si augura che, nella sua sostanziale fiducia che la crisi sarà superata, Krugman si sbagli, e che invece abbiano ragione i catastrofisti apocalittici, provi un po' a pensare che sentimenti la gente dovrebbe avere verso chi si augura che le proprie idee trionfino a forza di gente che perde il posto di lavoro, la casa e l'assistenza sanitaria.
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