lunes, 25 de mayo de 2009

Elezioni, ma per quale Europa?

eBoy - Venezia
...quella dei banchieri e dell'espatrio del sistema produttivo? quella minimalista ridotta a "mercato+moneta" e basta? quella delle elites che hanno demolito lo Stato-sociale ed ora sognano gli Stati Uniti Occidentali? o quella dei partiti mediatici avviluppati nelle nebbie del "grande mercato transatlantico"?

"Quando il nemico concentra le sue forze perde territorio"
V.N.Giap

Tito Pulsinelli
Alla vigilia delle elezioni europee gli elettori non stanno mostrando interesse per un Parlamento dalle funzioni limitate e confuse. Sovrastato da una “commissione” che funge da governo autocratico, i cui inamovibili rappresentanti sono designati dai governi. Nessun elettore ha mai scelto Solana o Barroso, ma è reale il rischio che i loro incarichi da vitalizi diventino... ereditari.

Il disinteresse è altresì rafforzato dalla tragicomica vicenda della Costituzione europea, due volte bocciata nelle urne dagli elettori, ma il responso è stato olimpicamente ignorato. Sarà approvata dai deputati nazionali, con raggiri e manovre di corridoi molto stretti. L’unica cosa chiara nell’Unione Europea (UE) alle prese con le raffiche gelide di una crollo del 5% della produzione, è l’indiscussa e totale autorità della Banca Centrale Europea: si impone ai parlamenti nazionali, a quello di Strasburgo e a tutti gli elettorati.

Questo è il veridico governo del blocco europeo, ridotto all’essenza scarnificata dell’utopia ultraliberista: mercato e moneta. Null’altro. Non ha una politica sociale, tantomeno una linea internazionale coerente perchè é privo di una visione geo-politica nitida.
Senza una difesa autonoma propria perchè ha scelto la subalternità agli Stati Uniti, quando rafforzò la camicia di forza della NATO, all'indomani dell’implosione dell’Unione sovietica e della scomparsa del Patto di Varsavia.

L’intregrazione europea, da quando è passata dalle mani dei pochi statisti di rilievo che la fondarono a quelle dei tecnocrati della finanza, si è svilita a mera applicazione di “5 macro-dogmi liberisti”, facendo un ardito salto acrobatico da 6 a 27 Paesi. Grandi quantità, statistiche, PIL, trionfalismi immotivati e zero visione strategica. Proprio nel momento in cui sta tramontando l'unipolarismo e -con esso- la supremazia "occidentale".

Il furore globalista ha imposto alle economie dell’est europeo, integralmente statalizzate, il passaggio a tappe forzate alla deregulation, de-nazionalizzazione, privatizzazioni a vantaggio delle multinazionali europee e nord-americane. Un elettroshoc dottrinario dal monopolismo statale a quello privato, senza preservativi ammortizzanti.

Oggi, l’area dell’est è una cavia per la re-ingegneria darwinista del FMI, che si appresta a mandarla in bancarrota irreversibile, con lo stesso modus operandi che affossò il Brasile, i piccoli e medi dragoni ecc. Ieri, il fulmineo e velleitario “allargamento” ad est aveva meritato gli applausi scalmanati dei falchi di Washington.

Ringalluzziti, brindavano alla “nuova Europa” con il piombo nelle ali, rimpolpata di vassalli con acute fobie antirusse e desiderosi di capitalizzare la loro vocazione di "cavalli di Troia".
L’utopismo delle elites, della BCE e di Bruxelles ha così generato una entità informe, un meta-Stato con un processo decisionale contradditorio e paralizzante, soprattutto in questa fase di deglobalizzazione, dopo i crack della sbornia ultraliberista.

L’Europa non ha materie prime e neppure l’energia. Per il petrolio dipende dai Paesi arabi e per il gas dalla Russia, ciononostante promuove una politica estera anti-araba ed agressivamente anti-russa.
La dipendenza energetica è un dato di fatto del blocco europeo, come pure la necessità della coperazione con i russi per le forniture di gas. Come si spiega allora il velleitarismo di incorporare l’Ucraina e la Georgia nella NATO? Come si giustificano le provocatorie manovre della NATO in corso nel Caucaso?

E’ una contraddizione schizofrenica tra obiettivi e strumenti per ottenerli, tra proiezione geo-politica ed iniziativa militare che -ahinoi- non è sovrana nè autonoma. L’UE è ostaggio delle fobie anti-russe non solo dei polacchi e dei cechi, ma persino delle micro-repubbliche del Baltico. Per di più, la versione osé dell'atlantismo è immutata dal tempo dei Bush.
E' come se non fosse acaduto nulla. Non hanno assimilato che lo scacco degli Stati Uniti in Iraq ha comportato la perdita definitiva del feudo sudamericano. Che perderá l'Ue con las barcollante avventura atlantista in Afganistan? Con ogni probabilitá, il ritorno della questione sociale al centro del dibattito pubblico e la ripresa della lotta di classe.

La “Commissione” di Bruxelles è ondivaga e non riesce a coniugare gli interessi concreti dell’Europa con quelli di un traballante egemonismo assoluto che gli Stati Uniti cercano di resuscitare con la NATO. Gli Stati Uniti Occidentali o "grande mercato trans-atlantico" sono una chimera da incubo.

C’è un conflitto di interessi tra il blocco europeo e quello anglo-sassone, rafforzato da un anacronistico processo decisionale basato sulla rotazione semestrale. Basti pensare che l’attuale manovratore della UE –il ceco Vaclav Klaus- è convinto che il crack finanziario è stato generato dalle troppe limitazioni imposte dagli Stati (sic) e dal troppo interventismo pubblico (sic-sic). Ed è un fervente partigiano dell’istallazione di armamento strategico degli Stati Uniti nella Repubblica Ceca.

L'Europa è in stato confusionale, si compiace delle amputazioni inferte dalle elites al suo peculiare stato-sociale, de-industrializzazione accelerata ed espatrio del sistema produttivo. Le sovvenzioni statali alla banca e alla borsa responsabile del disastro è l'ultima arrogante risposta dei "banchieri centrali".

Trincerati dietro la muraglia ideologica della loro "autonomia", esercitano il potere di disporre a proprio piacimento degli erari e delle risorse delle nazioni. Al pari della "Commissione" non sono stati eletti da nessuno, e si arrogano il diritto di imporre unilateralmente le terapie per curare le malattie da loro stessi create.

Curiosamente, però, i Paesi meglio attrezzati a fronteggiare l'inevitabile de-globalizzazione sono quelli in cui la"autonomia" delle banche centrali e della finanza non è un dogma. Tra tutti, valga l'esempio della Cina.

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