miércoles, 8 de julio de 2009

Fallisce in Iran la «rivoluzione colorata» (parte 2)

Chiho Aoshima
La « rivoluzione verde » di Teheran è l’ultimo avatar delle « rivoluzioni colorate » che hanno permesso agli Stati Uniti d’imporre in parecchi paesi dei governi al loro soldo senza dover ricorrere alla forza. Thierry Meyssan, che ha consigliato due governi di fronte a queste crisi, analizza questo metodo e le ragioni del suo fallimento in Iran.

Thierry Meyssan*

Primi tentativi
Il primo tentativo di « rivoluzione colorata » fallisce nel 1989. Si tratta di rovesciare Deng Xiaoping appoggiandosi su uno dei suoi vicini collaboratori, il segretario generale del Partito comunista cinese Zhao Ziyang, in modo da aprire il mercato cinese agli investitori statunitensi e da far entrare la Cina nell’orbita USA. I giovani sostenitori di Zhao invadono piazza Tienanmen [5].

Dai media occidentali sono presentati come degli studenti apolitici che si battono per la libertà contro l’ala tradizionale del Partito, mentre si tratta di una dissidenza tra nazionalisti e pro-USA all’interno della corrente di Deng. Dopo aver a lungo resistito alle provocazioni, Deng décide di concludere con la forza. Secondo le fonti, la repressione fa tra i 300 e i 1.000 morti. Vent’anni dopo, la versione occidentale di questo mancato colpo di Stato non è cambiata.

La « democrazia » : vendere il proprio paese ad interessi stranieri all’insaputa della sua popolazione Da allora, Washington non cessa di organizzare, un po’ ovunque nel mondo, cambi di regime attraverso l’agitazione di piazza anziché per mezzo di giunte militari. Quello che importa è mettere in luce le implicazioni. Al di là del discorso lenitivo sulla « promozione della democrazia », l’azione di Washington mira all’imposizione di regimi che le aprano senza condizioni i mercati interni e che si allineino sulla sua politica estera.

Ora, se questi obiettivi sono conosciuti dai dirigenti delle « rivoluzioni colorate », essi non sono mai discussi ed accettati dai manifestanti che essi mobilitano. E, nel caso in cui questi colpi di Stato riescano, i cittadini non tardano a rivoltarsi contro le nuove politiche che vengono loro imposte, anche se è troppo tardi per tornare indietro.
Del resto, come si può considerare « democratiche » delle opposizioni che, per prendere il potere, vendono il loro paese ad interessi stranieri all’insaputa della loro popolazione ?

Nel 2005, l’opposizione kirghisa contesta il risultato delle elezioni legislative e conduce a Bishkek dei manifestanti dal Sud del paese. Essi depongono il presidente Askar Akaïev. E’ la « rivoluzione dei tulipani ». L’Assemblea nazionale elegge come presidente il filo-USA Kurmanbek Bakiev. Non riuscendo a controllare i suoi sostenitori che saccheggiano la capitale, egli dichiara di aver cacciato il dittatore e finge di voler creare un governo di unione nazionale.

Fa uscire di prigione il generale Felix Kulov, ex sindaco di Bishkek, e lo nomina ministro dell’Interno, poi Primo ministro. Quando la situazione è stabilizzata, Bakaiev si sbarazza di Kulov e vende, senza possibilità di una contro-offerta e con successivi accordi sottobanco, le poche risorse del paese a delle società USA ed installa una base militare USA a Manas. Il livello di vita della popolazione non è mai stato così basso. Felix Kulov propone di risollevare il paese federandolo, come nel passato, alla Russia. Non ci mette molto a tornare in prigione.

Un male per un bene?
Nel caso di Stati sottoposti a regimi repressivi, talvolta si obietta che se tali « rivoluzioni colorate » apportano solo una democrazia di facciata, in ogni caso esse procurano un miglioramento alle popolazioni. Ora, l’esperienza mostra che niente è meno sicuro. I nuovi regimi possono rivelarsi più repressivi dei vecchi.

Nel 2003, Washington, Londra e Parigi [7] organizzano la « rivoluzione delle rose » in Georgia [8]. Secondo uno schema classico, l’opposizione denuncia dei brogli elettorali alle elezioni legislative e scende in piazza. I manifestanti costringono alla fuga il presidente Eduard Shevardnadze e prendono il potere. Il suo successore Mikhail Saakashvili apre il paese agli interessi economici USA e rompe con il vicino russo.

L’aiuto economico promesso da Washington per sostituirsi all’aiuto russo non arriva. La già compromessa economia crolla. Per continuare ad accontentare i suoi mandanti, Saakashvili deve imporre una dittatura [9]. Chiude dei media e riempie le prigioni, il che non impedisce per niente alla stampa occidentale di continuare a presentarlo come « democratico ».

Condannato alla fuga in avanti, Saakashvili decide di rifarsi una popolarità gettandosi in un’avventura militare. Con al’aiuto dell’amministrazione Bush e di Israele, al quale ha affittato delle basi aeree, bombarda la popolazione dell’Ossezia del Sud facendo 1.600 morti, la maggior parte dei quali ha anche la nazionalità russa. Mosca risponde. I consiglieri statunitensi ed israeliani se la svignano [10]. La Georgia viene devastata.
http://www.eurasia-rivista.org/cogit_content/articoli/EkuyVkpZuVcdmAFjPT.shtml

[5] « Tienanmen, 20 ans après », del professor Domenico Losurdo, Réseau Voltaire, 9 giugno 2009.

[6] All’epoca, la NED si appoggia in Europa orientale sulla Free Congress Foundation (FCF), animata da repubblicani. In seguito, questa organizzazione scompare e cede il posto alla Soros Foundation, animata da democratici, con la quale la NED fomenta nuovi «cambi di regime»

.[7] Preoccupato di distendere le relazioni franco-statunitensi dopo la crisi irachena, il presidente Jacques Chirac tenta di riavvicinarsi all’amministrazione Bush sulle spalle dei Georgiani, tanto più che la Francia ha interessi economici in Georgia. Salomé Zourabichvili, n°2 dei servizi segreti francesi, è nominato ambasciatore a Tbilissi, poi cambia nazionalità e diventa ministro degli Esteri della « rivoluzione delle rose ».

[8] « Les dessous du coup d’État en Géorgie », di Paul Labarique, Réseau Voltaire, 7 gennaio 2004

.[9] « Géorgie : Saakachvili jette son opposition en prison » e « Manifestations à Tbilissi contre la dictature des roses
», Réseau Voltaire, 12 settembre 2006 e 30 settembre 2007.
[
10] L’amministrazione Bush spera che quel conflitto faccia da diversione. Simultaneamente, i bombardieri israeliani devono decollare dalla Georgia per colpire il vicino Iran. Ma ancor prima di attaccare le installazioni militari georgiane, la Russia bombarda gli aeroporti affittati ad Israele e inchioda al suolo i suoi aerei.

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