sábado, 18 de julio de 2009

Honduras: Per chi suona la campana?

Tito Pulsinelli
C'è una differenza abissale nelle modalità con cui il sistema monopolista della comunicazione ha trattato il caso dell'Iran e quello dell'Honduras. Ed ha poco a che vedere con il differente peso geopolitico dei due Paesi.
In un caso, le proteste contro i risultati elettorali contestati da un settore degli abitanti di Teheran ha invaso tutti gli spazi della carta stampata, degli schermi e delle radio.
Nell'altro, il fatto che un Presidente in carica sia stato sequestrato da incappucciati e abbandonato in pigiama sulla pista di un aeroporto straniero, non commuove i direttori e i proprietari della comunicazione.

Eppure, l'Assemblea generale dell'ONU, quella dei 118 Paesi Non-allineati e le organizzazioni emisferiche e regionali del continente americano, in blocco, si sono schierate a favore del Presidente Zelaya e contro il regime golpista in carica. Hanno ritirato gli ambasciatori e l'Unione Europea ha congelato tutti i programmi economici e finanziari con i golpisti del'Honduras.

Perchè, allora, la macchina mediatica europea è tanto parca e reticente? Non basta l'ONU a togliere ogni dubbio quando dice che Zelaya è l'autorità legittima e gli altri sono avventurieri? Perchè El País di Madrid si arrampica sugli specchi e cerca di riscrivere in bella copia i bollettini propagandistici provenienti dalle Fondazioni di Miami e di Aznar? Perchè quando parlano del golpista Micheletti evidenziano solo la sua origine bergamasca? La colpa di Chávez è non avere ascendenti italiani? Ma lui le elezioni le vince, alla presenza di molti e variegati osservatori internazionali.

Eppure il Presidente Manuel Zelaya non è un pericoloso estremista, nè un figuro "populista", nè un ex guerrigliero, e nemmeno un uomo politico che proviene dalla sinistra, storica o no. Non ha studiato all'università di Lovanio -come l'ecuadoriano Correa- nè ha ricevuto i "perniciosi influssi" della teologia della liberazione. Zelaya è un proprietario terriero di media grandezza e proviene dal Partito Liberale. Tutti i classici clichet del repertorio satanizzante non calzano. E' impossibile fargli indossare gli abiti pret-a-porter della CIA quando pratica la guerra psicologica.

Zelaya è un politico -ora catapultato dalla stupidità dei suoi nemici a leader carismatico di un popolo- che si è macchiato della grave colpa di aver stabilito -per la prima volta- il salario minimo come norma lavorativa. Cosa inesistente prima di lui. Ha cercato di avviare programmi nel campo dell'assistenza medica e dell'istruzione primaria.

Quando esplode la crisi finanziaria e il petrolio raggiunge prezzi esorbitanti per il suo piccolo Paese, si avvicina al Venezuela ed entra in Petrocaribe. Rompe un tabù, ma si garantisce la fornitura energetica a condizioni più favorevoli, con pagamenti molto dilazionati. Fa la stessa scelta di vari altri micro-Stati dei Caraibi.

Zelaya vuole modernizzare l'Honduras ed avvicinare la cittadinanza alle istituzioni, e sa che per poter modificare quel terribile 77% di povertà esistente è necessario delimitare lo strapotere delle elites. Queste hanno pietrificato una realtà di enclave neocoloniale. Mel Zelaya nutriva la speranza -o l'illusione- di poter procedere in questa direzione con il consenso e la concertazione.

Quando si rese conto che i vertici del potere giudiziario, militare, legislativo, economico e religioso erano ostili e belligeranti, si avvicinò alla società civile, ai movimenti sociali, ai sindacati e alle forze latenti del rinnovamento.
Il cambiamento non vuole imporlo con colpi di mano nè con decreti-legge, ma appellandosi alla sovranità popolare che -in un referendum!- deliberi se si devono riscrivere le regole del gioco, e disporre di un nuovo contratto sociale.

E' la strada già percorsa in Venezuela, Ecuador, Bolivia: disporre di una nuova Costituzione che conferisca diritti reali ai cittadini, più potere all'esecutivo e più vincoli ai "poteri forti" e ai loro traffici d'ogni specie.
Le elites neocoloniali che controllano il Parlamento, esercito, magistratura e latifondo mediatico non ci stanno, giocano d'anticipo e credono così di scongiurare per sempre "l'esecrabile" referendum.

E' il loro stile, hanno sempre fatto così, e riuscivano ad imporsi senza troppi scrupoli, bastava essere ligi e fedeli al "grande vicino del nord".
Questa volta, invece, non sta funzionando e da tre settimane -con coprifuoco- la gente è nelle strade, le scuole sono chiuse e le attività produttive paralizzate. Nonostante 1200 arresti e il ritorno in prima fila dei sinistri figuri degli anni 80, quelli esperti in desaparecidos e squadroni della morte.

Gli Stati Uniti fanno quello che hanno sempre fatto: difendono i loro interessi, la strategica base militare di Palmerola e l'alleanza di ferro con l'oligarchia. Le chiacchiere sulla democrazia sono argomenti propagandistici validi per gli altri, ma non vincolano mai loro. Vanno bene in Iran non in Honduras.

Obama non sembra avere la forza per controllare il complesso militare-industriale ed il Pentagono; la vicenda honduregna ha messo in evidenza una preoccupante cacofonia: Obama parla in un modo, Bhillary Clinton in altro. I funzionari del Dipartimento di Stato e della Difesa, invece, agiscono applicando i programmi prefissati da Bush. Non per nulla, Robert Gates era ministro della difesa prima e ora. I falchi controllano il Pentagono e la CIA, e le reti istituzionali dei macellai di Negroponte e O. Reich, sono attive più che mai.

Washington, avallando il colpo di Stato messo a segno dal Comando Sud, conferma che nulla cambierà nella sua relazione con l'America latina, non c'è nessun disgelo in vista. Non ha cancellato nemmeno un visto ai golpisti o congelato quacuno dei loro succulenti e dubbiosi conti bancari. Questo è troppo, ed avrà un prezzo


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