jueves, 13 de agosto de 2009

Messico: Acteal, all'insegna dell'impunità

Liberati i paramilitares incolpati del massacro di 45 indigeni del Chiapas

Clara Ferri
Il Messico è tornato a sanguinare. La Suprema Corte de Justicia de la Nación (SCJN) ha riaperto la vecchia ferita della strage di Acteal, quando un comando di paramilitari armati fino ai denti irruppero durante una cerimonia evangelica in un paesino sperduto nel Chiapas e trucidarono 45 indigeni del gruppo “Las Abejas” –principalmente donne, bambini e anziani.

A 12 anni dal tragico evento, su iniziativa del Centro de Investigación y Docencia Económicas (CIDE), sono state messe in evidenza varie irregolarità nelle indagini preliminari e negli atti processuali compiute dalle autorità giudiziarie (PGR) all’epoca dei fatti e, in virtù di tali errori, è stato richiesto il proscioglimento dalle accuse e l’immediata scarcerazione di 20 presunti colpevoli.

È difficile dare una valutazione obiettiva in merito: tutta la vicenda è costellata da dichiarazioni contrastanti, giudizi sommari, prove contraddittorie, ma non per questo gli imputati sono meno colpevoli. La dichiarazione di colpevolezza si basa sulle dichiarazioni dei sopravvissuti al massacro e nessun vizio di forma le può cancellare.

Eppure la SCNJ non ha esitato a liberare i 20 indigeni che hanno presentato il ricorso. A nulla sono valse le lacrime dei parenti delle vittime e dei sopravvissuti e le proteste di intellettuali e di varie organizzazioni sociali. Amnesty International ha chiesto la riapertura del caso, ma nulla lascia sperare che ciò avverrà o che sarà fatta giustizia per chiarire un caso che macchia indelebilmente la coscienza del popolo messicano.

Ma la cosa più grave è che in tanti anni non si è fatto nessun passo in avanti nelle indagini su chi furono i veri mandanti di questa strage, al di là degli autori materiali. Solo se ne deducono, per logica, le ragioni politiche: il massacro avvenne in piena auge del movimento zapatista, a soli 3 anni dal loro innalzamento, durante il governo di Ernesto Zedillo, che dispose l’entrata dell’esercito in Chiapas e lo sgombero violento di varie comunità zapatiste.

La religione è spesso utilizzata in questo Paese come pretesto per dividere comunità indigene e rurali e poter mantenere il potere di cacicchi e latifondisti su terra e risorse.

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