domingo, 20 de septiembre de 2009

Venezuela: Le radio illegali

Iván Lira

Barbara Meo Evoli barbarameoevoli.wordpress.com/2009/09/17/le-radio-illegali/
CARACAS – “Sono state chiuse da Chávez 34 radio e due televisioni libere”. “Ma il governo ha già programmato la chiusura di altre 200″.
Così hanno tuonato i media dell’opposizione venezolana e così hanno ripetuto quasi tutti i media del mondo. Ma l’etere è un bene pubblico inalienabile e lo stato ha il dovere di regolarne il suo utilizzo. Quando termina un contratto di concessione, lo stato ha il dovere di verificare se il media privato ha trasmesso adempiendo alle norme previste, e in caso contrario si revoca la concessione.

Questa è la legge venezolana e di tutti i paesi democratici del mondo. Le frequenze radioelettriche non sono infinite, perciò lo stato ha il compito di intervenire per concederne l’utilizzo durante un tempo determinato.

Le frequenze radioelettriche, quindi, non si ereditano.
Se è vero che la maggior parte delle emittenti chiuse appartenevano a delle società e non a delle persone fisiche, spesso il presidente delle società coincideva con la figura del direttore dell’emittente.

In vari casi di chiusura la persona fisica che aveva ottenuto la licenza era deceduta e i figli o nipoti erano subentrati nella direzione senza ottenere però il rinnovamento della concessione. Così è successo per il Circuito nazionale Belfort (Cnb), la cui licenza era stata concesssa negli anni ’50 a Nelson Belfort Yibirín, il nonno dell’attuale presidente. Ed anche per il Circuito Exito (99.9 FM), la cui licenza era stata assegnata a Antonio Serfati Filiberto e oggi chi dirigeva la radio era il figlio di Enrique Cuzco.

Nell’aprile 2005 sono state chiuse 33 radio e 21 tv dalla regione di Madrid perché ‘illegali’, nessun giornale ha osato dire che la presidente della regione Esperanza Aguirre (PP) aveva violentato la libertà di espressione. Perché questa chiusura non era una censura? I media chiusi non rispettavano i requisiti previsti dalle legge: erano ‘illegali’. Esattamente come le 34 radio venezolane.

Nel 2007 è stata chiusa la Radio peruviana Orión che aveva denunciato la carenza di azioni del governo a seguito del terremoto del Pisco. Nessun giornale ha scritto che Alan Garcìa era un dittatore. In Paraguay, prima delle elezioni dell’aprile 2008 sono state chiuse varie radio e pagine web di opposizione all’allora partito al potere.
Qualche settimana fa sono state chiuse le radio comunitarie cilene Radio Placeres de Valparaíso, Montedónico 2000, UV 15, Conexiones. Neanche una parola nei media nazionali e internazionali.
Nel mondo la maggior parte delle chiusure ha colpito le radio comunitarie, ovvero quelle senza fini di lucro legate a una comunità o un quartiere, l’espressione dei movimento sociali, delle organizzazioni di base e dei cittadini.

D’altronde in Italia sarebbe molto difficile che lo stato chiudesse Mediaset, anche se ciò rispondesse a degli interessi pubblici superiori a quelli privati dell’impresa. E sarebbe molto più facile che chiudesse delle piccole radio comunitarie.

In Venezuela la creazione delle radio comunitarie ‘alternative’ è stata promossa dal governo del presidente Hugo Chávez come mezzo per garantire la ‘libertà di espressione’ di tutti, anche di coloro che sono stati sempre invisibili nei grandi media. Perché garantire la libertà di espressione non vuol dire garantire quella di pochi ricchi e colti privilegiati.

Dal 2002 fino ad oggi sono sorte numerose radio comunitarie ‘alternative’ in tutto il paese. C’è da chiedersi però quali fra queste sono l’espressione indipendente della gente della propria comunità. Quante rispettano i regolamenti di legge. E quante fra queste fanno un’analisi critica del ‘processo bolivariano’, pur sostenendolo.

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