miércoles, 16 de diciembre de 2009

Diario da Copenhagen

Alberto Zoratti www.altreconomia.it

Copenhagen, 14 dicembre 2009
Un proverbio Masai recita “se vuoi arrivare primo, corri da solo. Se vuoi camminare lontano, cammina insieme”. E loro, insieme, sono usciti dalle stanze negoziali sbattendo la porta. Sono le delegazioni dell’Africa group, degli LDCs (i Paesi più poveri), addirittura del G77 che di fronte all’ennesima forzatura dei Paesi industrializzati hanno deciso di sospendere i negoziati della COP15 sui cambiamenti climatici, in corso a Copenhagen.

«Stanno cercando di far precipitare tutto», ha accusato Kamel Djemouai, il capo della delegazione algerina, durante una conferenza stampa. Nessun accordo sui tagli alle emissioni, nessun accordo sui finanziamenti per i progetti di mitigazione e di adattamento, nessun accordo sull’aumento della temperatura media. Ma soprattutto il tentativo di far fuori la cornice del protocollo di Kyoto, che per quanto sghimbescia può essere è comunque un quadro normativo esistente.

Le delegazioni hanno acconsentito dopo poche ore di riprendere i negoziati, ma lo strappo è davanti a tutti: il clima, a Copenhagen, è sempre più incandescente. E questo soprattutto dopo i tentativi di gestione non trasparente dei processi decisionali da parte dei Paesi industrializzati, come le ministeriali Wto ci hanno purtroppo abituato.

Una situazione talmente inaccettabile che Pablo Solon, ambasciatore della Bolivia presso le Nazioni Unite, nell'incontro quotidiano con la stampa ha chiesto ''un processo trasparente, democratico ed inclusivo. Sembra che i negoziatori vivano dentro Matrix - ha accusato - mentre la negoziazione vera avviene nelle ''green room'', sedi separate in tavole piccole con ospiti selezionati''.

Sembra, ha continuato sulla linea “Hollywood” il diplomatico ''che quelli che hanno preso la 'pillola rossa' e che si rendono conto di che cosa sta succedendo davvero sono solo quelli che sono scesi in piazza sabato, che hanno denunciato che i Paesi ricchi stanno tentando di collazionare un accordo che alleggerirà i loro obblighi nell'affrontare questa urgente crisi climatica''.
Tutto questo mentre i Capi di stato e i ministri che contano stanno sbarcando in queste ore in Danimarca, con la grande responsabilità sulle spalle di chiudere un accordo che in diversi vorrebbero non ci fosse. E quelli che “sono scesi in piazza sabato” sono pronti a scendere in piazza pure mercoledì, per “reclaiming the power”.

Diversi blocchi: il blue bloc, il green bloc, il bike bloc, lo yellow bloc si dirigeranno verso il conference center. Di comune, con il più tetro black bloc, hanno soltanto parte del nome. Sono in realtà gruppi di affinità che avranno l’obiettivo di avvicinarsi il più possibile al vertice per organizzare una vera e propria assemblea fuori le porte della COP15. Chiedendo a chi sta dentro di uscire per denunciare dei negoziati troppo sbilanciati e troppo lenti.

Il presidente danese di turno si agita. La polizia purtroppo anche (sono di lunedì sera le notizie di lancio di lacrimogeni a Christiania). Gli unici che sembrano tranquilli sono i manifestanti e, tra loro, i gruppi di clown. Questo negoziato pare talmente una farsa che gli unici a loro agio sembrerebbero soltanto loro

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