Susana Chávez, uccisa lo scorso 6 gennaio. È la prima vittima di femminicidio a Ciudad Juárez del 2011
Sanjuana Martínez
"Ni una más". L’autrice di questa frase è stata assassinata. Si chiamava Susana Chávez e, oltre ad essere attivista contro i femminicidi a Ciudad Juárez, era poeta. Aveva 36 anni. Hanno gettato il suo corpo seminudo per strada. La testa era avvolta in un sacchetto di plastica nero. Le mancava la mano sinistra.
A Susana piaceva scrivere. Iniziò verso gli 11 anni. Era sul punto di finire un poemario. Dedicò la sua vita a denunciare le ingiustizie contro le donne. Offriva letture delle sue poesie durante le manifestazioni per le donne scomparse e assassinate.
Verónica Leitón realizzò una performance basata sulla sua poesia
. Susana pubblicava su riviste e quotidiani e partecipò come modella sulla copertina promozionale del film “16 en la lista”, il cui soggetto aveva per tema i femminicidi.
Susana scrisse sul suo blog “primera tormenta” il suo ultimo pensiero: “Ho provato dolore prima che si acuisse tutta la violenza che stiamo vivendo tutti noi abitanti di questa mia città natale, Ciudad Juárez. Ma adesso provo una sensazione di vuoto, abbandono e impotenza, suppongo come molti altri. Immaginare un miglioramento per quanto mi riguarda è difficile, ma nutro ancora delle speranze perché sono una donna di fede. Viva Città Juárez!”
Il 5 gennaio ha detto a sua madre che sarebbe andata in centro con degli amici. Non ha nemmeno preso la borsa. Quel giorno è stata assassinata, ma le autorità hanno consegnato il suo corpo cinque giorni dopo. Perché?, si domandano in molti. La versione che la questura di Chihuahua vuole spacciare per vera è che si è trattato di un crimine comune che non aveva nulla a che vedere con il suo attivismo.
Hanno affermato che è stata uccisa da tre giovani diciassettenni con cui è uscita a bere una birra. L’ipotesi che sostengono è che Susana avrebbe deciso di andare a casa di uno di loro e che lì avrebbero litigato e i giovani allora avrebbero deciso di ucciderla. Non c’è nulla di chiaro. Il sospetto getta ombra sulla versione ufficiale.
I presunti assassini sarebbero Sergio Rubén Cárdenas de la O, detto “El Balatas”, Aarón Roberto Acevedo Martínez detto “El Pelón” e Carlos Gibrán Ramírez Muñóz detto “El Pollo”. Dicono che Susanna abbia affermato di essere una poliziotta e che li avrebbe denunciati in quanto membri di una banda. Allora l’avrebbero messa dentro la doccia e lì asfissiata. Successivamente le avrebbero amputato una mano con una sega per farlo sembrare un atto criminale tipico della delinquenza organizzata. La questura ha scartato l’ipotesi che ci fossero delle prove di violenza sessuale, ma in teoria quello sarebbe stato uno dei motivi dell’aggressione.
Susana era così ingenua da andare a bere da sola con tre ragazzi ignoti in una casa altrettanto ignota? Era così prepotente da mentire loro affermando di essere una poliziotta e di volerli denunciare come teppisti? Lo dubito. La sua storia personale non coincide con questi atteggiamenti. Inoltre l’autorità di Chihuahua non è stata capace di risolvere neanche un caso dei 13 attivisti sociali assassinati in un anno, di cui tre donne; ha quindi poca credibilità. Una questura che non è nemmeno stata capace di risolvere i casi di femminicidio, manca di appoggio sociale. L’anno scorso sono state assassinate 446 donne. È per questo che c’è una certa diffidenza, l’ombra del dubbio.
La questura si difende ed argomenta che Susana non partecipava più a manifestazioni contro i femminicidi da sei anni, che non era più in contatto con l’ambiente delle organizzazioni non governative che denunciano violazioni dei diritti umani, che negli ultimi anni lavorava al El Paso (Texas) come badante di anziani, e via discorrendo…
La cosa certa è che non meritava di morire così. Né lei né nessun’altra. E che Amnesty International ha richiesto un’investigazione approfondita. E che la Commissione Nazionale dei Diritti Umani ha aperto un’inchiesta. E che le ONG e i collettivi di donne non hanno intenzione di starsene zitti, né di nascondere la propria indignazione. E che molte persone pensano che il silenzio ci rende complici. C’è molto dolore accumulato, molte morti, molti assassinii che si assomigliano… l’unica cosa che ci resta da fare è continuare ad alzare la voce.
L’assassinio di Susana Chávez si iscrive invariabilmente nell’ambito dei femminicidi, un crimine che si aggiunge a quello di migliaia di donne assassinate per ragioni violente. È la radiografia della mascolinità più primitiva, quella che lacera, offende, ferisce, aggredisce, insulta e dilania la società. Abbiamo bisogno di costruire tra tutti una mascolinità senza violenza, attacchi e impunità.
Una chitarra le dà il commiato al cimitero. Sua madre mette un foglio nella bara. È la poesia che Susana Chávez scrisse in onore a una morta di Ciudad Juárez: “Sangue mio, sangue di alba, sangue di luna tagliata a metà, sangue del silenzio”.
Traduzione di Clara Ferri
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