jueves, 8 de diciembre de 2011

Neopatriottismo globalista

Salvano l'Italia o l'elite globalista che l'ha affossata?
Tito Pulsinelli
C'era una volta un mondo fantastico percorso -in proporzioni industriali- da liberi flussi di magnetico ed elettronico denaro e da armonici tsunami di mercanzie, fisiche e no. Sembrava che tutti vivessero felici e contenti, stando al sermone dei posseduti dalla credenza millenarista della nuova élite globalista. Tutto il potere al mercato, zero Stato, profitto finanziario is beatiful, era il grido di guerra che accompagnava la formazione
 di giganteschi monopoli privati. Quando la concentrazione del potere raggiunse limiti mostruosi, i novelli templari -brandendo la "nuova" clava filosofica- si avventurarono a proclamare urbi et orbi l'avvento del punto sommo dell'evoluzione della specie. Sommo e irreversibile, senza ritorno.

Agli sparuti ranghi di obiettori e scettici infliggevano lo stesso trattamento riservato ai cinesi durante la guerra dell'oppio. Credere, obbedire e consumare è l'eterno imperativo degli autoritari profeti del "o noi o il caos". Più che sciamani globali sono stati venditori di bolle. Dapprima quella immobiliare, poi i mutui subprime, degenerata in crisi del sistema ipotecario degli USA. Come l'esplosione delle bombe a grappolo, è arrivato l'approdo definitivo all'implosione del sistema finanziario occidentale.

L'evoluzione degenerativa del virus mutante -notevole la fantasia degli architetti della catastrofe!- è pervenuta infine al cuore dei debiti sovrani degli Stati. In realtà, secondo il governo del Brasile, si tratta di una vera e propria guerra monetaria. Nonostante -o a causa?- le scellerate "iniezioni" e trasfusioni di denaro pubblico ai poco schifiltosi truffatori delle megabanche private. L'Italia d'oggi è affidata alle amorose cure di costoro; reclusa nella clinica della Goldman Sachs, sottoposta alle terapie dei suoi quadri organici, managers della BM, ruffiani d'alto bordo del FMI e golpisti della BCE.

Stiamo salvando l'Italia, tuonano oggi i becchini dello Stato-nazione di ieri. Di più: già che ci siamo, salviamo anche l'euro. Salvare entrambi per mettere in (camera di) sicurezza l'Europa, recita l'editto dei neopatrioti finora allergici al semplice suono della parola sovranità. Salvarli, ma come? Colpendo preferenzialmente terza e quarta età, plebe e popolo minuto, puntando diritto alle loro stamberghe e consumi primari.  La grassazione risparmia tutti gli altri. In nome della "tracciabilità dei pagamenti" manovra per procacciare artificialmente clienti ai colleghi del ministro Passera;. Per aumentare i loro benefici drogano il mercato.

Con il neopatriottismo di rigurgito, i globalisti danno un gran balzo verso l'edificazione dello Stato sociale per l'èlite. Radicalizzano la lotta di classe dall'alto contro il lavoro salariato, disoccupati, ceto medio, piccole e medie imprese che alimentano il mercato interno. Incrementano il travaso di ricchezza, redditi e poteri verso l'oligarchia. Le potenze emergenti, però, sono tali perchè hanno seguito altre piste, dopo aver neutralizzato il FMI.

La Cina e l'India emergono per aver conservato allo Stato l'autorità di intervenire nel controllo del flusso dei capitali, tecnologie e persone. Hanno preservato la sovranità sulla moneta e sulla banca centrale, negando alle multinazionali il tracciato della rotta e delle modalità dello sviluppo. Alla base del boom del Brasile, ci sono gli aiuti a 40 milioni di persone, entrate così a far parte del mercato. L'investimento sociale si è trasformato in domanda rafforzata di manufatti brasiliani. E pensare che il liberismo aveva lasciato in eredità un debito storico e la riserva monetaria in rosso; oggi ci sono 40 miliardi di dollari all'attivo.

Dopo aver messo all'angolo gli epigoni locali di Monti e Passera, la crescita è diventata costante e sostenuta, trasformando il Brasile in un gigante mondiale, persino nell'agro-esportazione. Però per svincolarsi dalla messa in scacco della speculazione dell'elite globalista estromise dal potere politico i suoi quadri organici; sovvenzionò il consumo e i produttori non i banchieri. 

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