jueves, 3 de mayo de 2012

Il pensiero molle (1)

Piace sempre il chiaroscuro e le sollecitazioni dei contrasti come tecnica d'apprendimento, attraverso la comparazione che fa leva sulla memoria. Chi si ricorda degli yuppies e della Milano da deglutire con una sorsata? Rievocare la follia e lo spreco nel tempo della carestia non è provocazione gratuita; come pure riecheggiare l'inebriante incosistenza del trionfalismo sviluppista nell'ora in cui la corsa è proprio finita. Capolinea. I maestri, imbonitori ed apologeti dell'esistente -sempre e comunque- sono gli stessi. Con le identiche ricette della subordinazione forzata degli umani all'economia. Proponiamo, in quattro tempi, un racconto di M. F. Rizzotti.
Martino F. Rizzotti
1993 - Il ricercato
Avevamo finito di smontare uno stand alla fiera, un lavoretto di tre giorni, in nero. Siccome ero in bolletta ho insistito per essere pagato, almeno un anticipo. Niente.
“Bel week-end che mi fai fare, grazie, neh” ho detto al mio capo. Invece di commuoversi mi ha spiegato che noi disgrasià… Lui è un tipo schietto, gli operai li chiama così, disgraziati, mica come quelli di sinistra che da un po’ di tempo ci chiamano gli umili. Gli umili, tipo Caritas! Mi ha anche degnato di una spiegazione: “Siccome che voi disgrasià  spendete il cento per cento
di quello che prendete, fate andare su l’inflazione che poi a me le banche mi aumentano gli interessi passivi”. 
E ha aggiunto: “Guarda che ti ho preso solo per via del tuo zio, che bastava che assumevo un categoria protetta - un invalido, un ex detenuto, un tossico - e risparmiavo.”
Prima avevo un posto da cromista, cromavo la plastica, Dopo tre mesi ho avuto problemi al naso. E il dottore, un mio amico: “Guarda, Felice, che se non la smetti di sniffare… che oltretutto non puoi neanche permettertelo!”
Io ho dovuto smettere di cromare ma al Piero, il mio amico camionista, la coca gliela passa il padrone, così non si addormenta. I tossici, poi!, sono i nuovi maitre à penser; non c’è talk show che non gli chiedano un parere. Danno risposte disarmanti, tipo: “Cioèè, cioèèè…” Invece il mio amico Carletto, che lavora in tessitura e nessuno intervista mai, un parere ce l’avrebbe: “Felice, - mi ha detto – il sindacato comunista non è più quello di una volta, ormai in ditta non c’è  nessuno a difenderci.”

“Eh, - gli ho risposto - gli ex comunisti sono impegnati a salvare l’Amazzonia. Non parlano d’altro.”
Non che il Carletto sia comunista, anzi. Da giovane era una ligera, un ladruncolo e gode ancora di una reputazione intatta: se ti fregano il motorino e sei suo amico te lo fa ritrovare quasi a gratis.
Ero senza una lira e, siccome le disgrazie non vengono mai sole, davanti al portone di casa ho incontrato il Luca. Lì per lì, allo scuro, senza barba e baffi, in doppiopetto, non l’ho riconosciuto. A parte che erano dodici anni che non lo vedevo.
“Ciao, Felice, sono Cesare - mi fa e mi strizza l’occhio, - Cesare!”
Dalla voce e da tutto il resto mi sembrava il Luca.
“In Italia? Lu…, Cesare, sei matto? - mi sono guardato bene dal chiedergli i particolari, meno si sa meno si racconta sotto interrogatorio -  Con quello che rischi?”
“Quindici anni. Devo tornare in Francia ma mi è saltato il contatto. Tu sei un buon organizzatore”.

Era un complimento ma suonava come un ordine.
“Non c’è problema, conosco uno che fa passare i neri in Francia, tranquilli, dalla dogana. Hai un trecentomila? Io no” mi sono affrettato  a precisare.
“Non sono nero, cazzo!” mi ha risposto. Aveva ragione. Che cosa potevo fare? Ormai ero incastrato. Mentre gli cucinavo una pasta aglio e olio mi ha chiesto: “Hai letto Il frammento sulle macchine?” - che poi sarebbe una paginetta dei famosi Grundrisse di Marx. - E’ attualissimo. Secondo i calcoli di un marxista americano si potrebbe lavorare tutti tre ore al giorno e alzare il livello di vita mondiale.”

Magari fossimo esseri ragionevoli, noi umani! Ma lì per lì mi coglie un pensiero più prosaico:  “Lu… sì, cioè, Cesare, l’ultima volta che abbiamo parlato del frammento sulle macchine mi hai mandato a comprare una borsa che poi l’hanno trovata in un covo. Quando l’ho vista sul giornale m’è venuto un colpo!”
“Non ti è successo niente, no?” mi ha fatto lui, disinvolto.
Aveva, e ha mantenuto, questo vizietto di mettere la gente nelle grane senza chiedergli il permesso. Ma eravamo stati compagni di scuola alle elementari e lui non si è mai pentito. Io i pentiti non li sopporto. Quando vanno a piangere in televisione cambio canale; meglio i tossici. Ha attaccato con la cricca di Scalfari: “Colpa della cricca di Scalfari, hai visto la cricca di Scalfari?”.

E’ vero, Scalfari ha fondato La Repubblica per farci capire che gli affari vanno meglio con i governi di sinistra perché sono seri e impongono  l’austerità agli operai.
“Ma sì, sì, ho visto - gli ho risposto – è una storia vecchia. Vogliono trasformare la sinistra in una destra seria, che in Italia non c’è mai stata”.
“Da quando non ci siamo più noi a mettere lo spillone nel culo al sindacato, ci sono riusciti, cazzo! Hanno fatto fuori noi avanguardie e adesso toccherà alla sinistra essere massacrata. I sindacati poi, con le loro manifestazioni impotenti,  fischietti e tamburini, come i bambini dell’asilo... Se la classe operaia ha ottenuto qualcosa, in Italia, è grazie agli estremisti come noi, o no? E’ storia.”

Eppure io, nella mia ingenuità, ero quasi speranzoso. Dopo Mani Pulite e il crollo di tutti quei partiti che avevano governato l’Italia per quarant’anni, magari qualcosuccia di buono poteva saltar fuori. C’era una coalizione di otto partiti che si definiva “una gioiosa macchina da guerra” (una contraddizione in termini: o fai la guerra o sei gioioso) guidata dagli ex comunisti dell’Amazzonia; dall’altra parte, a destra, era rimasto poco e niente. Sembrava fatta. Però... con l’inflazione e tutto il resto… la classe operaia, cioè quelli che potevano, si era inventata due o tre lavori in nero, da fare dopo l’orario di lavoro e nei week end. Insomma… l’Amazzonia e la questione morale agli operai interessavano sempre meno; gli interessava non pagare troppe tasse.

Mentre Luca esaltava l’uso proletario della violenza, mi è venuta un’idea: “Cazzo, - gli ho detto, - ma lo sai che vestito e ripulito sembri proprio un nobile? E io conosco un cretino con la barca che se gli dico di portare un nobile a Saint Tropez… Tu te ne intendi di trotto? Di galoppo? Ti compro libri riviste e giornali specializzati, te li leggi e siamo a posto. Promettimi però che per tutta la crociera non parli mai della cricca di Scalfari.”
Io non avevo voglia di finire in galera per favoreggiamento di un evaso. Tra l’altro è davvero mezzo nobile.

Cachi
Sto per uscire di casa per crearmi un alibi che mi blocca il ragiù (il capo famiglia, nella nostra lingua proto-ligure), un reperto celtico, in pensione da anni. E’ appena tornato dalla sua villa sul lago. Ha fatto i soldi rubando nel magazeno della ditta per cui lavorava. Lo sapevano tutti ma, siccome era tanto amico del sindaco democristiano, il padrone chiudeva un occhio. Mi chiede se vado a raccogliergli i cachi, se no glieli mangiano i merli, la quale lui ha la sciatica anche se c’è l’estate di San Martino; sua moglie non sta bene, ha l’esaurimento, l’ha portata dallo specialista; in cambio mi promette una cassetta dei suoi cachi. Si lamenta del vento. “Il vento va di tre giorni in tre giorni - sostiene -  mi meraviglio di te che non lo sai. Come in politica. Sembra sembra ma sotto sotto chi comanda sono sempre loro...”
So già dove andrà a parare.

“… i comunisti. Anche la magistratura, te cosa credi? Sono tutti comunisti. Se sapevo che c’era la Gladio, mi iscrivevo anch’io.”
Non me lo vedo, questo amante dei suoi comodi, dall’abbondante culo celtico, non lo vedo proprio mentre si addestra in Sardegna agli ordini di un sergente americano pazzo che gli fa fare il passo del giaguaro, gli lancia bombe a mano di sorpresa, gli insegna a provocare tumulti perché I’esercito possa intervenire contro i rossi. Da giovane, è vero, era sempre in testa alle processioni serali, avvolto nella mantellina rossa dei paolotti (i membri devoti della confraternita di San Paolo); reggeva la sua lanterna lucidata col sidol, cantava a squarciagola “Noi vogliam Dio che è nostro re”, intonava “Santo padre che da Roma ci sei padre, luce e guida… a un tuo cenno, a una tua voce, un esèèè-rcito mar-ciàr”, ma in privato sosteneva che “è meglio stare in mezzo al sacco, si prendono meno botte, e che la pusè bela roba dul mundu l’è sta a cà nosta.”

Con tutto quello che era successo negli ultimi due anni: l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, gli attentati di Firenze e di Milano, gli arresti d’imprenditori e di politici, l’Italia sull’orlo della bancarotta, una manovra economica ferocissima… che cosa ossessionava questo cialtrone, che cosa predicava lui, ante litteram, senza bisogno di spin doctors? “Prima - mi spiega - i comunisti facevano finta di stare all’opposizione - è stato così per quarant’anni – adesso… vogliono comandare direttamente. Perché io tanto sono vecchio. Ma te lo sai che io da giovane andavo fino a San Remo in bicicletta? Che le strade non erano mica come quelle di adesso, neh? Adesso c’è crisi. Per forsa. Asistensa di qua, pensioni di là, i comunisti ci hanno mandato a ramengo. Vedrai che salteranno fuori una ventina di cassette di cachi. Il mese più caldo è maggio. Mi meraviglio di te che non lo sai. Alora ci vediamo domani ai quatr e mèza che prima faccio un pisolino.”

“E poi - sembra concludere - non occorre mica viaggiare come che fai te per capire come che va il mondo. C’è lì la televisione.”
Io vorrei solo un alibi e questo culone non testimonierebbe mai in mio favore, per quieto vivere. Fa un accenno neanche molto rapido alla Svizzera, dove ha passato gli anni della guerra per stare tranquillo; mi ri-racconta di quando, prima del consiglio comunale, andavano in canonica a mettersi d’accordo col parroco e che in famiglia imparavano a memoria i testi delle canzoni di San Remo: “Quelle sì che erano canzoni, mica quelle d’adesso”. Rimaniamo d’accordo che andrò a raccogliergli i cachi.

Buddhismi
Qui ho visto passare mio zio, gli ho detto che non avevo niente in casa e mi sono invitato a cena. Lui ha scrollato la testa: “Ma tu il frigo ce l’hai a fare cosa? Bisogna che ti trovo una vedova, una con la pensione reversibile. Una donna in casa ci vuole, è utile.”
Se gli faccio notare che una donna ce l’ho già sbotta: “Ma non in casa! E quella là è più scombinata di te!”
Non è vero, è ragioniera e ha il posto fisso. Lui non sente ragione, mi colpisce sul coppino con il Sole 24 e sentenzia: “Capiscila una buona volta: la lotta di classe è finita, finiiita.”
“Nel senso che avete vinto voi - gli dico e aggiungo dopo una pausa studiata - … per adesso” tanto per fargliele girare.
“Adesso sì che si lavora, non come negli anni ’70!”
 Per lui sono ancora fermo agli anni ’70.
 “Hai proprio ragione, zio. E’ che aumentano i disoccupati, i barboni…”
Nell’incertezza della scena politica lui pensa di buttarsi a sinistra. Passa il tempo libero a elaborare piani economici per la sinistra, soprattutto a calcolare licenziamenti: “Se andiamo su noi al governo, solo nelle poste dovremo farne fuori un cinquantamila. E negli ospedali? E nella scuola? Di più!”

Una parte degli ex comunisti cittadini lo vorrebbe candidato sindaco, lui ci sta pensando seriamente.
“Zio, a parte quelli  - insisto - che hanno il brutto vizio di affondare nello Ionio o nell’Adriatico, a parte qualche pulizia etnica nei Balcani, da quando è crollato il muro di Berlino il mondo è proprio occhèi.”
“Sono scosse d’assestamento.”
Era un po’ sul depresso perché per cena temeva di trovare riso integrale condito col miso. “Secondo te - borbottava - uno con tutti i soldi che ho io deve mangiare quella roba lì?” Effettivamente, a chi ha visto la guerra il riso integrale gli ricorda i bombardamenti, il miso ha un colore e una consistenza inquietanti. Con la sua educazione cattolica, quando è depresso ha bisogno del capro espiatorio. Siccome la donna con cui stavo era a uno stage di inglese (in ditta le avevano detto che se non imparava l’inglese in quattro e quattr’otto la licenziavano) mi ha subito dato del cornuto.

“Può darsi benissimo” gli ho risposto. Facevo il disinvolto e lui a ridere, a fare il gesto delle corna.
Per fortuna mia zia è arrivata con la pasta al forno, la faraona e i nervetti. Allora gli è cambiato l’umore e mi ha spiegato il mio problema: “Tu hai bisogno del pensiero molle”.
Sosteneva di averlo letto su una rivista di mia zia, zia da parte di mia mamma, in gabinetto.
“Non è che ti confondi col pensiero debole?” gli ho chiesto.
“Quello lì è superato.”
“E come sarebbe questo pensiero molle?” “Come quell’altro ma più debole.” 
“Praticamente la demenza!” ho fatto io.“No, la furbizia. Insegna ad andare dietro all’onda, non come te, che parli parli e non combini niente.”

Lui è un super-dirigente, fa parte di non so quanti consigli d’amministrazione e scrive di economia. Una volta che mi ha fatto leggere un suo saggio sulle transnazionali (le multinazionali lui le chiama così, come i trans)  mi è venuto da ridere. Le trans portano il know how, la ricchezza e perfino la democrazia nei paesi poveri, aveva scritto. Stavo quasi per dirgli che in inglese queste fregnacce si chiamano wishful thinking, una bella confusione tra desideri e ragionamenti, ma lui mi ha stoppato in anticipo: “Me l’hanno pagato tre milioni” e ha aggiunto che ne aveva investiti la metà in buoni del tesoro tedeschi.
Mi ha spiegato perché lui questa volta voterà  a sinistra: “Se vogliamo stare nel Mercato Comune, dovrete fare sacrifici.”

Rideva. Mi ha fatto vedere che aveva i biglietti per la Scala pagati dalla ditta. Si è rivolto a mia zia: “Martedì vai a fare la permanente, mi raccomando, che c’è il Muti. Abbiamo il palco riservato. Quel Muti lì è una potenza!”
Non ha mai ascoltato un brano di classica in vita sua. Mio papà aveva tutti i libretti d’opera e, se ne trasmettevano una alla radio, in casa non si poteva fiatare; ma lui era comunista.   
Poi ha annunciato che riusciva ad avere anche due biglietti-invito per i Telegatti.
“Cosa sono?” gli ho chiesto.
“Non sai cosa sono i telegatti! Ma dove vivi?”
Mia zia era contenta. Aveva appena convertito una parrucchiera al buddismo. Non che lei sia buddhista ma le piace convertire gli altri. Mi ha fatto: “Ma lo sai che nel Caryatantra la gioia, che poi sarebbe il desiderio, nasce dal sorriso che si scambiano i due dei?”
Che vorrei risponderle: “Guarda che io, se la mia Carla mi sorride, mi  viene subito un desiderio....”

Mi sono controllato, ho finto di essere interessato e lei:  “Ti sei mai chiesto come mai la dualità nasce dal movimento dei venti?” che, effettivamente, non ci avevo mai fatto caso e neanche il ragiù nei suoi deliri meteorologici.
“Perché i venti sono cavalcati dal pensiero”, mi ha spiegato, senza fare una piega. Tutte informazioni che le passano all’Università degli Anziani. Allora, per farla smettere, ho pensato a una cosa dualistica: “Zia, io la prossima volta che rinasco… o faccio il poliziotto della stradale o faccio la puttana.”
Era più interessata alle puttane. Le ho raccontato: “Una volta ne avevo due anzianotte sotto casa, parlavano solo di BOT e CCT.”
Mai che mi chieda perché vorrei fare il poliziotto della stradale che le direi: “Per non vedere quando rubano i TIR. Ne fregano tremila all’anno, chiudere gli occhi è un mestiere che rende!”
E pensare che quando facevo casino all’università mia zia mi adorava. Altri tempi. Una volta che le avevo lasciato un pacchetto da custodire - me l’aveva dato il prof di diritto, se no mi bocciava - mi ha strizzato l’occhio: “Molotov? Dinamite?”
Adesso me la fa pagare, anche perché invece di finire l’università sono entrato in fabbrica come operaio, per fare la rivoluzione

Modernariato
E’ l’una e fin qui ho un alibi. Mi sto stendendo sul divano e suona il citofono. Il Luigi! Apro e corro in camera da letto a tranquillizzare Luca. “E’ uno innocuo; tranquillo, spegni la luce e fa finta di dormire”.
Fa i tre piani di scale e arriva senza fiato. Lo guardo, è stravolto.
Esclamo: “Madonna, come sei conciato, cos’hai fatto?”
“Taci, pirla. Hai mica qualcosa da mangiare, di dolce? Ho una fame! Non dormo da due giorni. - Si guarda in giro. - Bello quel vasetto lì, sarà… fine anni cinquanta, inizio anni sessanta. Me lo regali?”
Mi volto e sta già infilandoselo nel borsello.
“Metti giù. Quel vasetto lì era di mia mamma, bachelite pura. Diecimila e te  lo do.”
“Sì… diecimila! Non vale un cazzo. E poi sono a pula, non mi gira il lavoro, le ripetizioni sono scarse. Le famiglie non vogliono pagare, mi tocca lavorare sottocosto. Ah, lo sai che devo cambiare casa? Ho bisogno di un tre locali minimo: non mi sta dentro più niente”.  
continua

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