Martino F. Rizzotti
1993
- Il ricercato
Avevamo finito di smontare uno stand alla
fiera, un lavoretto di tre giorni, in nero. Siccome ero in bolletta ho
insistito per essere pagato, almeno un anticipo. Niente.
“Bel week-end che mi fai fare, grazie, neh”
ho detto al mio capo. Invece di commuoversi mi ha spiegato che noi disgrasià…
Lui è un tipo schietto, gli operai li chiama così, disgraziati, mica come
quelli di sinistra che da un po’ di tempo ci chiamano gli umili. Gli umili, tipo
Caritas! Mi ha anche degnato di una spiegazione: “Siccome che voi disgrasià spendete il cento per cento
di quello che
prendete, fate andare su l’inflazione che poi a me le banche mi aumentano gli
interessi passivi”.
E ha aggiunto: “Guarda che ti ho preso solo
per via del tuo zio, che bastava che assumevo un categoria protetta - un
invalido, un ex detenuto, un tossico - e risparmiavo.”
Prima avevo un posto da cromista, cromavo la
plastica, Dopo tre mesi ho avuto problemi al naso. E il dottore, un mio amico:
“Guarda, Felice, che se non la smetti di sniffare… che oltretutto non puoi
neanche permettertelo!”
Io ho dovuto smettere di cromare ma al
Piero, il mio amico camionista, la coca gliela passa il padrone, così non si
addormenta. I tossici, poi!, sono i nuovi maitre à penser; non c’è talk show
che non gli chiedano un parere. Danno risposte disarmanti, tipo: “Cioèè,
cioèèè…” Invece il mio amico Carletto, che lavora in tessitura e nessuno
intervista mai, un parere ce l’avrebbe: “Felice, - mi ha detto – il sindacato
comunista non è più quello di una volta, ormai in ditta non c’è nessuno a difenderci.”
“Eh, - gli ho risposto - gli ex comunisti
sono impegnati a salvare l’Amazzonia. Non parlano d’altro.”
Non che il Carletto sia comunista, anzi. Da
giovane era una ligera, un ladruncolo
e gode ancora di una reputazione intatta: se ti fregano il motorino e sei suo
amico te lo fa ritrovare quasi a gratis.
Ero senza una lira e, siccome le disgrazie
non vengono mai sole, davanti al portone di casa ho incontrato il Luca. Lì per
lì, allo scuro, senza barba e baffi, in doppiopetto, non l’ho riconosciuto. A
parte che erano dodici anni che non lo vedevo.
“Ciao, Felice, sono Cesare - mi fa e mi
strizza l’occhio, - Cesare!”
Dalla voce e da tutto il resto mi sembrava
il Luca.
“In Italia? Lu…, Cesare, sei matto? - mi
sono guardato bene dal chiedergli i particolari, meno si sa meno si racconta
sotto interrogatorio - Con quello che
rischi?”
“Quindici anni. Devo tornare in Francia ma
mi è saltato il contatto. Tu sei un buon organizzatore”.
Era un complimento ma suonava come un
ordine.
“Non c’è problema, conosco uno che fa
passare i neri in Francia, tranquilli, dalla dogana. Hai un trecentomila? Io
no” mi sono affrettato a precisare.
“Non sono nero, cazzo!” mi ha risposto. Aveva
ragione. Che cosa potevo fare? Ormai ero incastrato. Mentre gli cucinavo una
pasta aglio e olio mi ha chiesto: “Hai letto Il frammento sulle macchine?” -
che poi sarebbe una paginetta dei famosi Grundrisse di Marx. - E’ attualissimo.
Secondo i calcoli di un marxista americano si potrebbe lavorare tutti tre ore
al giorno e alzare il livello di vita mondiale.”
Magari fossimo esseri ragionevoli, noi
umani! Ma lì per lì mi coglie un pensiero più prosaico: “Lu… sì, cioè, Cesare, l’ultima volta che
abbiamo parlato del frammento sulle macchine mi hai mandato a comprare una
borsa che poi l’hanno trovata in un covo. Quando l’ho vista sul giornale m’è
venuto un colpo!”
“Non ti è successo niente, no?” mi ha fatto
lui, disinvolto.
Aveva, e ha mantenuto, questo vizietto di
mettere la gente nelle grane senza chiedergli il permesso. Ma eravamo stati
compagni di scuola alle elementari e lui non si è mai pentito. Io i pentiti non
li sopporto. Quando vanno a piangere in televisione cambio canale; meglio i
tossici. Ha attaccato con la cricca di Scalfari: “Colpa della cricca di
Scalfari, hai visto la cricca di Scalfari?”.
E’ vero, Scalfari ha fondato La Repubblica per farci
capire che gli affari vanno meglio con i governi di sinistra perché sono seri e
impongono l’austerità agli operai.
“Ma sì, sì, ho visto - gli ho risposto – è
una storia vecchia. Vogliono trasformare la sinistra in una destra seria, che
in Italia non c’è mai stata”.
“Da quando non ci siamo più noi a mettere lo
spillone nel culo al sindacato, ci sono riusciti, cazzo! Hanno fatto fuori noi
avanguardie e adesso toccherà alla sinistra essere massacrata. I sindacati poi,
con le loro manifestazioni impotenti,
fischietti e tamburini, come i bambini dell’asilo... Se la classe
operaia ha ottenuto qualcosa, in Italia, è grazie agli estremisti come noi, o
no? E’ storia.”
Eppure io, nella mia ingenuità, ero quasi
speranzoso. Dopo Mani Pulite e il crollo di tutti quei partiti che avevano
governato l’Italia per quarant’anni, magari qualcosuccia di buono poteva saltar
fuori. C’era una coalizione di otto partiti che si definiva “una gioiosa
macchina da guerra” (una contraddizione in termini: o fai la guerra o sei
gioioso) guidata dagli ex comunisti dell’Amazzonia; dall’altra parte, a destra,
era rimasto poco e niente. Sembrava fatta. Però... con l’inflazione e tutto il
resto… la classe operaia, cioè quelli che potevano, si era inventata due o tre
lavori in nero, da fare dopo l’orario di lavoro e nei week end. Insomma…
l’Amazzonia e la questione morale agli operai interessavano sempre meno; gli
interessava non pagare troppe tasse.
Mentre Luca esaltava l’uso proletario della
violenza, mi è venuta un’idea: “Cazzo, - gli ho detto, - ma lo sai che vestito
e ripulito sembri proprio un nobile? E io conosco un cretino con la barca che
se gli dico di portare un nobile a Saint Tropez… Tu te ne intendi di trotto? Di
galoppo? Ti compro libri riviste e giornali specializzati, te li leggi e siamo
a posto. Promettimi però che per tutta la crociera non parli mai della cricca
di Scalfari.”
Io non avevo voglia di finire in galera per
favoreggiamento di un evaso. Tra l’altro è davvero mezzo nobile.
Cachi
Sto per uscire di casa per crearmi un alibi
che mi blocca il ragiù (il capo
famiglia, nella nostra lingua proto-ligure), un reperto celtico, in pensione da
anni. E’ appena tornato dalla sua villa sul lago. Ha fatto i soldi rubando nel
magazeno della ditta per cui lavorava. Lo sapevano tutti ma, siccome era tanto
amico del sindaco democristiano, il padrone chiudeva un occhio. Mi chiede se
vado a raccogliergli i cachi, se no glieli mangiano i merli, la quale lui ha la sciatica anche se c’è
l’estate di San Martino; sua moglie non sta bene, ha l’esaurimento, l’ha
portata dallo specialista; in cambio mi promette una cassetta dei suoi cachi.
Si lamenta del vento. “Il vento va di tre giorni in tre giorni - sostiene
- mi meraviglio di te che non lo sai.
Come in politica. Sembra sembra ma sotto sotto chi comanda sono sempre loro...”
So già dove andrà a parare.
“… i comunisti. Anche la magistratura, te
cosa credi? Sono tutti comunisti. Se sapevo che c’era la Gladio , mi iscrivevo
anch’io.”
Non me lo vedo, questo amante dei suoi
comodi, dall’abbondante culo celtico, non lo vedo proprio mentre si addestra in
Sardegna agli ordini di un sergente americano pazzo che gli fa fare il passo
del giaguaro, gli lancia bombe a mano di sorpresa, gli insegna a provocare
tumulti perché I’esercito possa intervenire contro i rossi. Da giovane, è vero,
era sempre in testa alle processioni serali, avvolto nella mantellina rossa dei
paolotti (i membri devoti della confraternita di San Paolo); reggeva la sua
lanterna lucidata col sidol, cantava a squarciagola “Noi vogliam Dio che è
nostro re”, intonava “Santo padre che da Roma ci sei padre, luce e guida… a un
tuo cenno, a una tua voce, un esèèè-rcito mar-ciàr”, ma in privato sosteneva
che “è meglio stare in mezzo al sacco, si prendono meno botte, e che la pusè bela roba dul mundu l’è sta a cà
nosta.”
Con tutto quello che era successo negli
ultimi due anni: l’uccisione dei giudici Falcone e Borsellino, gli attentati di
Firenze e di Milano, gli arresti d’imprenditori e di politici, l’Italia
sull’orlo della bancarotta, una manovra economica ferocissima… che cosa
ossessionava questo cialtrone, che cosa predicava lui, ante litteram, senza bisogno
di spin doctors? “Prima - mi spiega - i comunisti facevano finta di stare
all’opposizione - è stato così per quarant’anni – adesso… vogliono comandare
direttamente. Perché io tanto sono vecchio. Ma te lo sai che io da giovane
andavo fino a San Remo in bicicletta? Che le strade non erano mica come quelle
di adesso, neh? Adesso c’è crisi. Per forsa.
Asistensa di qua, pensioni di là, i
comunisti ci hanno mandato a ramengo.
Vedrai che salteranno fuori una ventina di cassette di cachi. Il mese più caldo
è maggio. Mi meraviglio di te che non lo sai. Alora ci vediamo domani ai quatr
e mèza che prima faccio un pisolino.”
“E poi - sembra concludere - non occorre
mica viaggiare come che fai te per capire come che va il mondo. C’è lì la
televisione.”
Io vorrei solo un alibi e questo culone non
testimonierebbe mai in mio favore, per quieto vivere. Fa un accenno neanche
molto rapido alla Svizzera, dove ha passato gli anni della guerra per stare
tranquillo; mi ri-racconta di quando, prima del consiglio comunale, andavano in
canonica a mettersi d’accordo col parroco e che in famiglia imparavano a
memoria i testi delle canzoni di San Remo: “Quelle sì che erano canzoni, mica
quelle d’adesso”. Rimaniamo d’accordo che andrò a raccogliergli i cachi.
Buddhismi
Qui ho visto passare mio zio, gli ho detto
che non avevo niente in casa e mi sono invitato a cena. Lui ha scrollato la
testa: “Ma tu il frigo ce l’hai a fare cosa? Bisogna che ti trovo una vedova,
una con la pensione reversibile. Una donna in casa ci vuole, è utile.”
Se gli faccio notare che una donna ce l’ho
già sbotta: “Ma non in casa! E quella là è più scombinata di te!”
Non è vero, è ragioniera e ha il posto
fisso. Lui non sente ragione, mi colpisce sul coppino con il Sole 24 e sentenzia: “Capiscila una buona volta: la
lotta di classe è finita, finiiita.”
“Nel senso che avete vinto voi - gli dico e
aggiungo dopo una pausa studiata - … per adesso” tanto per fargliele girare.
“Adesso
sì che si lavora, non come negli anni ’70!”
Per lui sono ancora fermo agli anni ’70.
“Hai proprio ragione, zio. E’ che aumentano i
disoccupati, i barboni…”
Nell’incertezza della scena politica lui
pensa di buttarsi a sinistra. Passa il tempo libero a elaborare piani economici
per la sinistra, soprattutto a calcolare licenziamenti: “Se andiamo su noi al
governo, solo nelle poste dovremo farne fuori un cinquantamila. E negli
ospedali? E nella scuola? Di più!”
Una parte degli ex comunisti cittadini lo
vorrebbe candidato sindaco, lui ci sta pensando seriamente.
“Zio, a parte quelli - insisto - che hanno il brutto vizio di
affondare nello Ionio o nell’Adriatico, a parte qualche pulizia etnica nei
Balcani, da quando è crollato il muro di Berlino il mondo è proprio occhèi.”
“Sono scosse d’assestamento.”
Era un po’ sul depresso perché per cena
temeva di trovare riso integrale condito col miso. “Secondo te - borbottava -
uno con tutti i soldi che ho io deve mangiare quella roba lì?” Effettivamente,
a chi ha visto la guerra il riso integrale gli ricorda i bombardamenti, il miso
ha un colore e una consistenza inquietanti. Con la sua educazione cattolica,
quando è depresso ha bisogno del capro espiatorio. Siccome la donna con cui
stavo era a uno stage di inglese (in ditta le avevano detto che se non imparava
l’inglese in quattro e quattr’otto la licenziavano) mi ha subito dato del
cornuto.
“Può darsi benissimo” gli ho risposto.
Facevo il disinvolto e lui a ridere, a fare il gesto delle corna.
Per fortuna mia zia è arrivata con la pasta
al forno, la faraona e i nervetti. Allora gli è cambiato l’umore e mi ha
spiegato il mio problema: “Tu hai bisogno del pensiero molle”.
Sosteneva di averlo letto su una rivista di
mia zia, zia da parte di mia mamma, in gabinetto.
“Non è che ti confondi col pensiero debole?”
gli ho chiesto.
“Quello lì è superato.”
“E come sarebbe questo pensiero molle?”
“Come quell’altro ma più debole.”
“Praticamente la demenza!” ho fatto io.“No,
la furbizia. Insegna ad andare dietro all’onda, non come te, che parli parli e
non combini niente.”
Lui è un super-dirigente, fa parte di non so
quanti consigli d’amministrazione e scrive di economia. Una volta che mi ha
fatto leggere un suo saggio sulle transnazionali (le multinazionali lui le
chiama così, come i trans) mi è venuto
da ridere. Le trans portano il know how, la ricchezza e perfino la democrazia
nei paesi poveri, aveva scritto. Stavo quasi per dirgli che in inglese queste
fregnacce si chiamano wishful thinking, una bella confusione tra desideri e
ragionamenti, ma lui mi ha stoppato in anticipo: “Me l’hanno pagato tre
milioni” e ha aggiunto che ne aveva investiti la metà in buoni del tesoro
tedeschi.
Mi ha spiegato perché lui questa volta
voterà a sinistra: “Se vogliamo stare
nel Mercato Comune, dovrete fare sacrifici.”
Rideva. Mi ha fatto vedere che aveva i
biglietti per la Scala
pagati dalla ditta. Si è rivolto a mia zia: “Martedì vai a fare la permanente,
mi raccomando, che c’è il Muti. Abbiamo il palco riservato. Quel Muti lì è una
potenza!”
Non ha mai ascoltato un brano di classica in
vita sua. Mio papà aveva tutti i libretti d’opera e, se ne trasmettevano una
alla radio, in casa non si poteva fiatare; ma lui era comunista.
Poi ha annunciato che riusciva ad avere
anche due biglietti-invito per i Telegatti.
“Cosa sono?” gli ho chiesto.
“Non sai cosa sono i telegatti! Ma dove
vivi?”
Mia zia era contenta. Aveva appena
convertito una parrucchiera al buddismo. Non che lei sia buddhista ma le piace
convertire gli altri. Mi ha fatto: “Ma lo sai che nel Caryatantra la gioia, che
poi sarebbe il desiderio, nasce dal sorriso che si scambiano i due dei?”
Che vorrei risponderle: “Guarda che io, se
la mia Carla mi sorride, mi viene subito
un desiderio....”
Mi sono controllato, ho finto di essere
interessato e lei: “Ti sei mai chiesto
come mai la dualità nasce dal movimento dei venti?” che, effettivamente, non ci
avevo mai fatto caso e neanche il ragiù nei suoi deliri meteorologici.
“Perché i venti sono cavalcati dal
pensiero”, mi ha spiegato, senza fare una piega. Tutte informazioni che le
passano all’Università degli Anziani. Allora, per farla smettere, ho pensato a
una cosa dualistica: “Zia, io la prossima volta che rinasco… o faccio il
poliziotto della stradale o faccio la puttana.”
Era più interessata alle puttane. Le ho
raccontato: “Una volta ne avevo due anzianotte sotto casa, parlavano solo di
BOT e CCT.”
Mai che mi chieda perché vorrei fare il
poliziotto della stradale che le direi: “Per non vedere quando rubano i TIR. Ne
fregano tremila all’anno, chiudere gli occhi è un mestiere che rende!”
E pensare che quando facevo casino all’università
mia zia mi adorava. Altri tempi. Una volta che le avevo lasciato un pacchetto
da custodire - me l’aveva dato il prof di diritto, se no mi bocciava - mi ha
strizzato l’occhio: “Molotov? Dinamite?”
Adesso me la fa pagare, anche perché invece
di finire l’università sono entrato in fabbrica come operaio, per fare la
rivoluzione
Modernariato
E’ l’una e fin qui ho un alibi. Mi sto
stendendo sul divano e suona il citofono. Il Luigi! Apro e corro in camera da
letto a tranquillizzare Luca. “E’ uno innocuo; tranquillo, spegni la luce e fa
finta di dormire”.
Fa i tre piani di scale e arriva senza
fiato. Lo guardo, è stravolto.
Esclamo: “Madonna, come sei conciato,
cos’hai fatto?”
“Taci, pirla. Hai mica qualcosa da mangiare,
di dolce? Ho una fame! Non dormo da due giorni. - Si guarda in giro. - Bello
quel vasetto lì, sarà… fine anni cinquanta, inizio anni sessanta. Me lo
regali?”
Mi volto e sta già infilandoselo nel
borsello.
“Metti giù. Quel vasetto lì era di mia
mamma, bachelite pura. Diecimila e te lo
do.”
“Sì… diecimila! Non vale un cazzo. E poi
sono a pula, non mi gira il lavoro, le ripetizioni sono scarse. Le famiglie non
vogliono pagare, mi tocca lavorare sottocosto. Ah, lo sai che devo cambiare
casa? Ho bisogno di un tre locali minimo: non mi sta dentro più niente”. continua
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