Martino F. Rizzotti
La
mostra del rettile
Del Fifì non sa niente nessuno, scomparso.
Invece arriva il controller, una tigna pazzesca che quasi gli preferisco il
ragiù. Livelli di istruzione diversi – questo ha fatto un master in America –
ma zucca uguale, sembrano fratelli. Quarantacinquenne secco e nervoso, ha
quattro figli suoi e cinque adottati. Ogni due per tre va a Lourdes a
accompagnare paralitici; se mi incontra per strada scuote la testa, mi agita la
bibbia sotto il naso, cadono immaginette: la preghiera del malato, la preghiera
del detenuto, la preghiera degli sposi fedeli. Si aspetta che le raccolga e
rimanga fulminato. I suoi santini sono sfarzosi, sgargianti; se maschi…
sembrano dell’altra sponda. Una ditta americana dei dintorni l’ha assunto come
controller e i
dipendenti tremano già. La sua trinità è inglese: chopping
heads, no regrets, no second thoughts (tagliar teste senza rimorsi né
ripensamenti). E’ devotissimo della
Madonna e schifato da tutto questo criticare le tangenti. “Se non fai così non
lavori, guardiamo
Guardiamo qui, da noi: il Carletto mi ha
confidato che l’auto, a lui, non gliela fa ritrovare neanche se paga. E che una
volta che erano andati in pellegrinaggio a Sotto il Monte, dove è nato il papa
buono - la sua zia, del Carletto, ci teneva tanto - l’ha visto lui, il
controller che, con la scusa di sollevarla, palpava una paraplegica. Può
essere.
Adesso confida al barista che bollono
novità, che c’è uno che farà saltare il tavolo. “Morto un partito se ne fa un
altro - sussurra - e i comunisti il potere se lo sognano.”
Strano quest’altro conciliabolo: il
controller confabula con Fulvio, giovanile giornalista massone. In teoria
dovrebbero odiarsi, ma poi… guardiamo la banca vaticana. Questo Fulvio ha fatto
diversi scoop: sui tassisti che di notte vedono gli Ufo, la vendita di riviste
underground che trattano di incontri ravvicinati dal primo al sesto grado (è
leggermente monomaniaco) e la cura dell’artrite reumatoide con la piramide che,
se ben orientata, farebbe miracoli.
Ridono, ammiccano: “Ormai è sicuro,
Berlusconi scende in campo… Vinciamo.”
“Con la forza delle sue televisioni!”
“Soprattutto è molto motivato. E’ pieno di
debiti.”
Fulvio ha accenti risorgimentali. Fa il
segno di vittoria e afferma: “Il nuovo primato degli italiani.”
L’orata
Mi sono seduto automaticamente contro il
muro, faccia all’ingresso - è un vizio dei vecchi tempi quando stavamo sempre
sul chi vive, noi di un certo tipo. Una zaffata di profumo mi annuncia
l’entrata della signora Lagioia. Cerca proprio me. Vuole sapere quando torna
Carla: “Se gli parla lei, che è sua sorella, magari riesce a farlo ragionare”.
“Perché, cos’è successo?”
“Se te lo dico, guarda, non ci credi,” e si
mette a frignare. Io, se una donna piange per colpa mia… mi incazzo, se piange
per colpa di un altro mi mobilito.
Tutta colpa dell’orata.
“Ma cazzo! - le aveva urlato il marito -
proprio oggi che devo andare al campo sportivo mi fai l’orata?”
“L’ho fatta al forno, è leggera,” si è
difesa lei.
“Tu vuoi farmi morire, l’ho capito da un
pezzo che vuoi farmi morire, stronza. Ma io questa soddisfazione non te la do,
non-te-la-do!” e è svenuto.
“Adesso mi sviene anche di sabato, capisci?
Un altro collasso.”
Appena lui si è ripreso, si è messa a
gridare anche la figlia: “Te l’ho detto cento volte che sbagli integratori. E
non bere quel cazzo di cocktail dell’atleta che ti fa male!” Lei fa nuoto
competitivo e non ha niente contro il jogging.
“A te ti importa solo di tua mamma - le ha
urlato lui, - di me non te ne frega niente. E non dire cazzo, che sei una
femmina, cazzo.”
“Renditi conto che alla tua età…” ha
insistito la figlia.
Non le ha lasciato finire il ragionamento -
se era tale. “Sono vecchio ma virile” ha urlato; la figlia è uscita di casa
sbattendo la porta che quasi ammazzava suo fratello. Stava scappando anche lui.
“Dove vai, tu, dalla racchia?” gli ha
gridato il Lagioia, fuori di sé. Il figlio ha una fidanzata manager, ricca,
ambiziosa, bruttina; un’onta per il padre, che ha sposato la più bella del verziere.
“Allora – ha concluso la signora Lagioia –
lui si è alzato, ha preso l’orata e l’ha tirata al gatto.”
“E com’è finita?” le chiedo.
“L’ha mangiata tutta. Povero Cicci, gli è
venuto il singhiozzo.”
“Pensa te! - Si è confidata. -
Il venerdì
sera va dagli handicappati, con quelli del Rotary, a montare le scatole di
cartone. Gli insegnano a fare il cottimo, agli handicappati. Il sabato mattina
ha il jogging, il pomeriggio gioca la sua squadra. Da quando è il presidente
della poli-sportiva passa le ore al telefono, fa certi discorsi! Hai visto
quella mezzala lì che piedi buoni? Come farà a saperlo? E il libero? Ha proprio
due belle gambe. Cioè… fa un po’ impressione. La domenica ha la corsa non
competitiva che se non vince ci fa una malattia. Mi torna a casa blu, mi fa
prendere certi spaventi!”
E’ un tipo all’americana: sveglia alle
cinque, ma non solo lui, tutta la famiglia, e via in piscina, una quarantina di
vasche. I medici non gli danno più il permesso di fare sport a livello
competitivo e lui impazzisce. E’ tutto intubato.
La signora ha vent’anni meno di lui, se le
morisse sarebbe a posto. Ma solo in apparenza, perché appena i figli sono
andati alle elementari lui ha comprato la villetta poi… l’interior decorator,
il cambio dell’arredamento ogni due per tre, l’antiquariato, la seconda casa in
montagna che non ci vanno mai, la collezione di orologi del settecento, il
brocantage, due figli all’università… sono pieni di debiti. Lui controlla la
spesa della moglie al centesimo. Se lei obietta lui urla: “Anche Luigi Einaudi,
che era Luigi Einaudi, obbligava la moglie a fare i conti.”
“Ma quell’Einaudi lì, - mi chiede la Lagioia sbalordita – non è
mica stato il presidente di qualche cosa?”
“Della Repubblica.”
“Un pazzo come mio marito?”
So che è molto amica del Fifì, le chiedo se
l’ha visto. Mi assicura che verso quest’ora viene al bar. Decido di aspettare.
Il capo del reparto chirurgia si siede al
tavolino alla mia destra e racconta al proprietario di una ditta di trafilati
di plastica che lui e la sua famiglia sono appena tornati da un congresso alle
Seychelles pagato da un grande
produttore di strumenti medicali invasivi.
“Tutto il discorso – spiega – era sui beni
rifugio: uno diceva l’oro, un altro i tappeti pregiati, un altro l’arte. Con la
crisi che c’è, bisogna correre ai ripari…. Ci avevano mandato anche un analista
della Goldman Sachs. Io comunque ho deciso: mi butto sull’oro, è più sicuro, ti
pare?”
L’altro contava sulla svalutazione della
lira. “Lo so, bisognerebbe investire in ricerca, macchinari, ma non abbiamo le
dimensioni...”
Se è per quello non ha neanche i dané; come tutti gli italiani ha puntato
sugli immobili: villa, casa ai monti e al mare, appartamenti da affittare o da
vendere.
Entra il Lagioia, rilassato. Si è sbagliato,
la partita è stata posticipata a domenica. Si accomoda al tavolino dove il
direttore di banca sta fumando un sigaro cubano. Anche loro confabulano ma non
di politica. Sento frasi smozzicate, allusive; di sicuro il Lagioia gli starà
chiedendo un prestito. Il direttore è algido, lampato, il Lagioia pallido. Il
direttore spegne il sigaro e lo saluta. So già come andrà a finire, se non
vorrà cadere in mano agli usurai: chiederà un prestito a sua sorella. E infatti
eccolo che mi avvicina, che fa l’amicone.
“Uomo, e la Carla ?”
E’ l’unico che non sappia dello stage.
Fa il disinvolto, mi disegna sul tovagliolo
lo schema dell’Ajax.
“Uomo, con questi rombi e due mediani di
rottura, uomo… Mi segui, uomo?”
Quando è in difficoltà adotta questo gergo
insopportabile da ghetto nero e da stadio e non la smette più: “I difensori
s’inseriscono - disegna altri rombi - il centravanti taglia sul secondo palo,
uomo!, la mezzala sul primo, un quattro-cinque-uno sporco, uomo!, mi segui?”
Lo lascio sfogare poi lo stuzzico su Craxi
che, in un decennio, è riuscito a distruggere il partito socialista, vecchio di
cent’anni.
“Gli ho insegnato io a giocare a poker - mi
rivela - e l’abbiamo anche votato, noi del bar. E’ così che ha vinto le sue
prime elezioni, grazie ai nostri dieci voti.”
“Complimenti! Bel lavoretto, davvero. Ma
com’era da giovane?”
“Ignorantissimo, uomo! Ma a poker era un
califfo.”
Questo amarcord è una scusa per fargli
affiorare altri ricordi; lì lui è simpaticissimo.
“Noi del bar, uomo! A quei tempi là per
portarti a letto una ragazza ci volevano mesi, anni. Ma quando ci riuscivi…,
uomo!”
“Come lo chiamavate, l’albergo?”
“La mostra del rettile.”
Ride, si sganascia. “Questo rettile qui,
uomo! - Indica – Se riuscivi a portarne una alla mostra del rettile, diventavi
un eroe, ti chiedevano i particolari per mesi, al bar …”
E’ contento come un bambino e ne approfitto
per chiedergli: “Tu che sei stato dirigente così tanti anni, cosa ne pensi di
Mani Pulite?”
“Che hanno esagerato a rubare, uomo. Ma la
corruzione c’è sempre stata. Potrei scrivere un libro, io, sulla corruzione nei
partiti.”
“Fallo, cazzo, sarebbe utilissimo”, lo
incalzo, ma non raccoglie.
“Ho fatto il dirigente negli idrocarburi,
nell’industria elettrica. Solo che prima la spartizione era semplice, un tot ai
partiti di governo, in proporzione ai voti e le gare d’appalto filavano via
lisce come l’olio, uomo! Senti questa: una volta sono alla mostra del rettile
con un’impiegata, una che…”
Lo ascolto, ridacchio e penso che doveva essere un bel giovanotto questo
figlio di un tecnico pugliese e di una pellicciaia milanese; svelto,
intelligente, cinico, ha potuto fare carriera. Invece - per usare una frase ad
effetto - “le menti migliori della mia generazione” se non erano figli di
borghesi trovavano le porte sbarrate (continua)
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