viernes, 18 de mayo de 2012

Il pensiero molle (3)

Diego Pombo
Martino F. Rizzotti

La mostra del rettile
Del Fifì non sa niente nessuno, scomparso. Invece arriva il controller, una tigna pazzesca che quasi gli preferisco il ragiù. Livelli di istruzione diversi – questo ha fatto un master in America – ma zucca uguale, sembrano fratelli. Quarantacinquenne secco e nervoso, ha quattro figli suoi e cinque adottati. Ogni due per tre va a Lourdes a accompagnare paralitici; se mi incontra per strada scuote la testa, mi agita la bibbia sotto il naso, cadono immaginette: la preghiera del malato, la preghiera del detenuto, la preghiera degli sposi fedeli. Si aspetta che le raccolga e rimanga fulminato. I suoi santini sono sfarzosi, sgargianti; se maschi… sembrano dell’altra sponda. Una ditta americana dei dintorni l’ha assunto come controller e i
dipendenti tremano già. La sua trinità è inglese: chopping heads, no regrets, no second thoughts (tagliar teste senza rimorsi né ripensamenti). E’  devotissimo della Madonna e schifato da tutto questo criticare le tangenti. “Se non fai così non lavori, guardiamo la Siemens” dice.

Guardiamo qui, da noi: il Carletto mi ha confidato che l’auto, a lui, non gliela fa ritrovare neanche se paga. E che una volta che erano andati in pellegrinaggio a Sotto il Monte, dove è nato il papa buono - la sua zia, del Carletto, ci teneva tanto - l’ha visto lui, il controller che, con la scusa di sollevarla, palpava una paraplegica. Può essere.
Adesso confida al barista che bollono novità, che c’è uno che farà saltare il tavolo. “Morto un partito se ne fa un altro - sussurra - e i comunisti il potere se lo sognano.”
Strano quest’altro conciliabolo: il controller confabula con Fulvio, giovanile giornalista massone. In teoria dovrebbero odiarsi, ma poi… guardiamo la banca vaticana. Questo Fulvio ha fatto diversi scoop: sui tassisti che di notte vedono gli Ufo, la vendita di riviste underground che trattano di incontri ravvicinati dal primo al sesto grado (è leggermente monomaniaco) e la cura dell’artrite reumatoide con la piramide che, se ben orientata, farebbe miracoli.
Ridono, ammiccano: “Ormai è sicuro, Berlusconi scende in campo… Vinciamo.”
“Con la forza delle sue televisioni!”
“Soprattutto è molto motivato. E’ pieno di debiti.”
Fulvio ha accenti risorgimentali. Fa il segno di vittoria e afferma: “Il nuovo primato degli italiani.”

L’orata
Mi sono seduto automaticamente contro il muro, faccia all’ingresso - è un vizio dei vecchi tempi quando stavamo sempre sul chi vive, noi di un certo tipo. Una zaffata di profumo mi annuncia l’entrata della signora Lagioia. Cerca proprio me. Vuole sapere quando torna Carla: “Se gli parla lei, che è sua sorella, magari riesce a farlo ragionare”.
“Perché, cos’è successo?”
“Se te lo dico, guarda, non ci credi,” e si mette a frignare. Io, se una donna piange per colpa mia… mi incazzo, se piange per colpa di un altro mi mobilito.
Tutta colpa dell’orata.
“Ma cazzo! - le aveva urlato il marito - proprio oggi che devo andare al campo sportivo mi fai l’orata?”
“L’ho fatta al forno, è leggera,” si è difesa lei.
“Tu vuoi farmi morire, l’ho capito da un pezzo che vuoi farmi morire, stronza. Ma io questa soddisfazione non te la do, non-te-la-do!” e è svenuto.
“Adesso mi sviene anche di sabato, capisci? Un altro collasso.”

Appena lui si è ripreso, si è messa a gridare anche la figlia: “Te l’ho detto cento volte che sbagli integratori. E non bere quel cazzo di cocktail dell’atleta che ti fa male!” Lei fa nuoto competitivo e non ha niente contro il jogging.
“A te ti importa solo di tua mamma - le ha urlato lui, - di me non te ne frega niente. E non dire cazzo, che sei una femmina, cazzo.”
“Renditi conto che alla tua età…” ha insistito la figlia.
Non le ha lasciato finire il ragionamento - se era tale. “Sono vecchio ma virile” ha urlato; la figlia è uscita di casa sbattendo la porta che quasi ammazzava suo fratello. Stava scappando anche lui.
“Dove vai, tu, dalla racchia?” gli ha gridato il Lagioia, fuori di sé. Il figlio ha una fidanzata manager, ricca, ambiziosa, bruttina; un’onta per il padre, che ha sposato la più bella del verziere.
“Allora – ha concluso la signora Lagioia – lui si è alzato, ha preso l’orata e l’ha tirata al gatto.”
“E com’è finita?” le chiedo.
“L’ha mangiata tutta. Povero Cicci, gli è venuto il singhiozzo.”
“Pensa te! - Si è confidata. - 

Il venerdì sera va dagli handicappati, con quelli del Rotary, a montare le scatole di cartone. Gli insegnano a fare il cottimo, agli handicappati. Il sabato mattina ha il jogging, il pomeriggio gioca la sua squadra. Da quando è il presidente della poli-sportiva passa le ore al telefono, fa certi discorsi! Hai visto quella mezzala lì che piedi buoni? Come farà a saperlo? E il libero? Ha proprio due belle gambe. Cioè… fa un po’ impressione. La domenica ha la corsa non competitiva che se non vince ci fa una malattia. Mi torna a casa blu, mi fa prendere certi spaventi!”
E’ un tipo all’americana: sveglia alle cinque, ma non solo lui, tutta la famiglia, e via in piscina, una quarantina di vasche. I medici non gli danno più il permesso di fare sport a livello competitivo e lui impazzisce. E’ tutto intubato.

La signora ha vent’anni meno di lui, se le morisse sarebbe a posto. Ma solo in apparenza, perché appena i figli sono andati alle elementari lui ha comprato la villetta poi… l’interior decorator, il cambio dell’arredamento ogni due per tre, l’antiquariato, la seconda casa in montagna che non ci vanno mai, la collezione di orologi del settecento, il brocantage, due figli all’università… sono pieni di debiti. Lui controlla la spesa della moglie al centesimo. Se lei obietta lui urla: “Anche Luigi Einaudi, che era Luigi Einaudi, obbligava la moglie a fare i conti.”
“Ma quell’Einaudi lì, - mi chiede la Lagioia sbalordita – non è mica stato il presidente di qualche cosa?”
“Della Repubblica.”
“Un pazzo come mio marito?” 
So che è molto amica del Fifì, le chiedo se l’ha visto. Mi assicura che verso quest’ora viene al bar. Decido di aspettare.
Il capo del reparto chirurgia si siede al tavolino alla mia destra e racconta al proprietario di una ditta di trafilati di plastica che lui e la sua famiglia sono appena tornati da un congresso alle Seychelles pagato da un grande  produttore di strumenti medicali invasivi.
“Tutto il discorso – spiega – era sui beni rifugio: uno diceva l’oro, un altro i tappeti pregiati, un altro l’arte. Con la crisi che c’è, bisogna correre ai ripari…. Ci avevano mandato anche un analista della Goldman Sachs. Io comunque ho deciso: mi butto sull’oro, è più sicuro, ti pare?”

L’altro contava sulla svalutazione della lira. “Lo so, bisognerebbe investire in ricerca, macchinari, ma non abbiamo le dimensioni...”
Se è per quello non ha neanche i dané; come tutti gli italiani ha puntato sugli immobili: villa, casa ai monti e al mare, appartamenti da affittare o da vendere.
Entra il Lagioia, rilassato. Si è sbagliato, la partita è stata posticipata a domenica. Si accomoda al tavolino dove il direttore di banca sta fumando un sigaro cubano. Anche loro confabulano ma non di politica. Sento frasi smozzicate, allusive; di sicuro il Lagioia gli starà chiedendo un prestito. Il direttore è algido, lampato, il Lagioia pallido. Il direttore spegne il sigaro e lo saluta. So già come andrà a finire, se non vorrà cadere in mano agli usurai: chiederà un prestito a sua sorella. E infatti eccolo che mi avvicina, che fa l’amicone.
“Uomo, e la Carla?”

E’ l’unico che non sappia dello stage.
Fa il disinvolto, mi disegna sul tovagliolo lo schema dell’Ajax.
“Uomo, con questi rombi e due mediani di rottura, uomo… Mi segui, uomo?”
Quando è in difficoltà adotta questo gergo insopportabile da ghetto nero e da stadio e non la smette più: “I difensori s’inseriscono - disegna altri rombi - il centravanti taglia sul secondo palo, uomo!, la mezzala sul primo, un quattro-cinque-uno sporco, uomo!, mi segui?”
Lo lascio sfogare poi lo stuzzico su Craxi che, in un decennio, è riuscito a distruggere il partito socialista, vecchio di cent’anni.
“Gli ho insegnato io a giocare a poker - mi rivela - e l’abbiamo anche votato, noi del bar. E’ così che ha vinto le sue prime elezioni, grazie ai nostri dieci voti.”
“Complimenti! Bel lavoretto, davvero. Ma com’era da giovane?”
“Ignorantissimo, uomo! Ma a poker era un califfo.”
Questo amarcord è una scusa per fargli affiorare altri ricordi; lì lui è simpaticissimo.
“Noi del bar, uomo! A quei tempi là per portarti a letto una ragazza ci volevano mesi, anni. Ma quando ci riuscivi…, uomo!”
“Come lo chiamavate, l’albergo?”
“La mostra del rettile.”

Ride, si sganascia. “Questo rettile qui, uomo! - Indica – Se riuscivi a portarne una alla mostra del rettile, diventavi un eroe, ti chiedevano i particolari per mesi, al bar …”
E’ contento come un bambino e ne approfitto per chiedergli: “Tu che sei stato dirigente così tanti anni, cosa ne pensi di Mani Pulite?”
“Che hanno esagerato a rubare, uomo. Ma la corruzione c’è sempre stata. Potrei scrivere un libro, io, sulla corruzione nei partiti.”
“Fallo, cazzo, sarebbe utilissimo”, lo incalzo, ma non raccoglie.
“Ho fatto il dirigente negli idrocarburi, nell’industria elettrica. Solo che prima la spartizione era semplice, un tot ai partiti di governo, in proporzione ai voti e le gare d’appalto filavano via lisce come l’olio, uomo! Senti questa: una volta sono alla mostra del rettile con un’impiegata, una che…”
Lo ascolto, ridacchio e penso che doveva essere un bel giovanotto questo figlio di un tecnico pugliese e di una pellicciaia milanese; svelto, intelligente, cinico, ha potuto fare carriera. Invece - per usare una frase ad effetto - “le menti migliori della mia generazione” se non erano figli di borghesi trovavano le porte sbarrate 
(continua)

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