Martino Fausto Rizzotti - Padre Gori si
era ritirato subito dopo la rappresentazione teatrale. Padre
Richetti, sconvolto dalla bellezza
del ragazzo decise di recarsi nella cappella per una breve preghiera. Era
sicuro che gli autori di due esaltati poemi mistici appesi nella lavanderia
erano gli stessi liceali che avevano
scritto al ragazzo le dichiarazioni
d’amore. Quei
due se lo contendevano. Come padre spirituale si sentiva
responsabile di quelle tendenze peccaminose, dunque aveva fallito, non era
stato abbastanza severo, non li aveva messi in guardia dai pericolosi
toccamenti, dalle amicizie particolari, non era riuscito a far capire loro che "… è proprio
Sceso al primo
piano incontrò Padre Merli che lo avvicinò con aria furtiva. Parlarono della
recita e il discorso cadde sul ragazzo.
“Alcuni giorni fa, - sussurrò il vecchio padre - è entrato nella mia stanza col pretesto di
chiedermi un consiglio. Mi sono così spaventato! Parlava, parlava, ma io non lo
ascoltavo nemmeno, io pregavo la vergine Maria”. Il vecchio malato continuò,
con voce tremolante: “Non l’ho detto a nessuno ma dopo quello che abbiamo visto
oggi, a teatro… Sa che si è rivolto anche a padre Farina?” Padre Richetti
arrossì. “Ma - continuò il vecchio con
un sorriso d’intesa - padre Farina gli
ha detto di essere impegnato nella correzione delle bozze dell’ultimo numero
della rivista missionaria”. Padre Richetti sospirò di sollievo. “Anche a padre
Cassina… - insistette padre Merli- che sta finendo il suo libro sulla… sulla…”,
“… la figura di Cristo nella letteratura mondiale” lo soccorse padre Richetti,
ansioso. “Giusto, ecco, la figura del Salvatore, un libro decisivo, molto,
molto importante… Nessuno gli ha dato retta, però”.
Il padre spirituale si
sentì sollevato: “Tornerà da me” pensò, “io lo salverò”. “Ha notato, però? -
continuò padre Merli - il ragazzo non ha mai interpellato padre
Padovan che sa riconoscere subito il nemico della natura umana dalla sua coda
serpentina.” “Giusto - approvò confuso padre Richetti, - la coda serpentina,
certo”. “E il rettore mi ha detto - continuò padre Merli, - mi ha detto che quando lo ha convocato, il demon… il ragazzo si è presentato stringendo un
crocefisso tra le mani. Che astuzia diabolica!
Per metterlo alla prova, il nostro caro rettore gli ha raccontato di
quella santa, come si chiama?”
“Non so, quale? Non importa” rispose padre
Richetti. “… che, appena dopo il parto,
era stata imprigionata con il proprio
padre carnale, il padre carnale, la santa aveva allattato il padre perché non
morisse di fame, allattato, capisce?, sa come ha reagito il ragazzo?” “Dica, come?” gli fece fretta padre Richetti. “Ha finto,
ha finto di non capire! Il rettore, lui!, è arrossito, il ragazzo, invece, è
rimasto in silenzio e poi, subdolamente, gli ha chiesto, il significato di due
versi di quel poeta, Jegher, Jugher…” “Jahier,” gli suggerì padre Richetti,
impaziente. “Ecco, dei versi che parlano del popolo che fa, fa…
i figli perché la miseria, sotto sotto, non conosce miseria, capisce no”. Padre
Richetti lo guardò smarrito: “Sotto che cosa?” “A letto, mi sono spiegato?” “Ha
fatto lo stesso con me,” esclamò padre Richetti, arrossendo di nuovo.
Padre
Merli si fece il segno della croce e ciabattò via tremando, padre Richetti si
sentì sprofondare: “Ormai, tutto l’Ordine sa dei miei problemi col ragazzo. Mi manderanno lontano da qui,
chissà dove…” Dalla vergogna non osò recarsi in refettorio per la cena e decise
di passare la sera pregando nella cappella.
“Mi ha perfino chiesto – ricordava in preda a una forte agitazione - se
non mi spiaceva dormire solo! Ha già trascinato sul sentiero della perdizione i
miei seminaristi e adesso cerca di corrompere i padri! Ho fallito, ho fallito!”
mormorò inginocchiandosi. Tentò di eseguire l’esame di coscienza quotidiano ma
il profumo delle rose che il fratello sacrestano aveva sistemato sull’altare,
gli impediva di concentrarsi; la luce delle candele, riflessa dai lucidi vasi
d’ottone, sembrava dar vita al quadro dell’Assunta, posto sopra il piccolo altare barocco.
I
cherubini seminudi che circondavano la Madonna muovevano le loro bocche carnose,
cantavano “Amore, ecco i miei fiori”. Chiuse gli occhi. “La sua ricerca di un
nuovo padre spirituale – rifletteva – non ha dato frutti… eppure non è tornato
da me, è solo, è perduto. E anch’io sono perduto.” Ricordò un famoso detto di
S. Giovanni della Croce: soffrire ed
essere disprezzato. Cercò di farsi forza, di accettare la sua ignominia con
rassegnazione. Una voce suadente gli sussurrava: “Tu, tu non sei sincero. Che
cosa cerchi? Che cosa guardi? - Stava ancora fissando i cherubini. – Tu vuoi
lui!” “No, - rispondeva - voglio salvare la sua anima, la sua vocazione, sì, la
sua vocazione. E’ uno dei migliori…” “Il tuo amore? - insinuò la voce suadente.
- E non è il primo che tu…. vero?” Il
viso di Padre Richetti era in fiamme; lo nascose tra le mani tremanti.
La voce
tacque. “Che essere miserabile sono! – pensava – Che pensieri lubrichi! Eppure
sono ancora in vita!" Ricordò le parole del testo: "... tutte le creature mi hanno lasciato in vita e conservato in
essa: gli angeli, che sono la spada della giustizia divina, mi hanno sopportato
e custodito e hanno pregato per me; i santi hanno continuato a intercedere e a
pregare per me; e il cielo, il sole, la luna, le stelle e gli elementi, i
frutti, gli uccelli, i pesci e gli altri animali...; e la terra non si è aperta
per inghiottirmi, creando nuovi inferni per essere tormentato in essi in
eterno."
Sentì sbattere una
porta, un rumore di passi e gli parve che padre Gori gli sussurrasse
all’orecchio: “Ormai non ti ama più…” Guardò attorno a sé: non c’era nessuno.
Dal fondo della cappella una voce aspra gli ricordò: “Hai peccato eppure sei
ancora in vita…” Si guardò indietro: nessuno. Vide l’armonium, si ricordò del
piacere provato quando il ragazzo, con
la sua voce cristallina, aveva cantato per
i fratelli.
“Ecco perché sei qui –
insinuò la voce – non per pregare!” La
testa gli scoppiava. Fuggire, sì, fuggire! Come S. Giovanni della Croce era
fuggito di prigione ecco, lui avrebbe attraversato il torrente in piena
saltando di masso in masso, sì, come il santo che era stato imprigionato per
nove mesi dai membri del suo stesso ordine; ma il santo era solo nella sua
prigione, mentre lui, recluso da anni, da anni!, era esposto ogni giorno alle
tentazioni della carne. “Sì, fuggire. - Pensò padre Richetti. - Indosserò una
veste bianca, immacolata, come la sposa che raggiunge il suo sposo… Gesù, mi
prenderà tra le sue braccia, riposerò sul suo petto fiorito…” Cercò di alzarsi
ma le gambe non lo ressero. Cadde sotto il banco, cercò di strisciare verso
l’uscita, picchiò la testa sul pavimento di marmo, disperato si mise ad urlare:
“Eli, eli, lama sabactani?” Eli, eli, lama sabactani?”
Padre Padovan e il rettore, di ritorno
dal refettorio, sentirono le urla e si precipitarono nella cappella; trovarono padre Richetti steso a terra, in preda a violente convulsioni. Lo
sollevarono e lo trascinarono nella sala riunioni. Padre Richetti sbavava,
mormorava spezzoni di preghiere, invocava la pietà divina, piangeva. Padre
Padovan suggerì di interpellare padre Gori che aveva fama di esorcista, ma il
missionario, sentito il trambusto, si era chiuso in stanza terrorizzato e ci
volle del tempo per convincerlo ad uscire. Alle prime domande del rettore padre
Richetti rispose urlando: "Ho peccato, pa-padre.... ho pec-caaa-tooo, non sum digno, non sum diiii-gno... i pesci,
i frutti... la terra mi inghiotte..., Domine... ". Gli tapparono la bocca
con un fazzoletto perché i seminaristi non lo sentissero.
Quando i padri furono
tutti riuniti, il rettore, con voce ferma e solenne, chiese a Padre Richetti:
"Hai peccato con i pensieri?"
"Sìììì"
rispose Padre Richetti, tremando.
"Con le
azioni?"
"Sìììì."
"Nella
carne?"
"Sìììì." E
si lanciò in una confusa confessione: "Il demonio... il ragazzo... mi ha costretto ad
adorarlo... ogni notte... contro natura... la sposa... la carne nuda...
tutto... il petto fiorito... i pesci
...". Padre Tramonti era stupefatto: controllava diligentemente, ogni
notte, la camerata dei piccoli e aveva
sempre visto il ragazzo dormire
placidamente nel suo letto. Ma Padre Richetti aggiungeva nuovi dettagli:
"Rideva... mi ha portato in volo a Babilonia... mi baciava... il serpente... i peli ... Gomorra... sottomesso
alla sua volontà... mi obbligava a
cantare inni a Lucifero... "
Il rettore era
scandalizzato, Padre Padovan controllava a fatica la sua furia, Padre Gori
tremava come una foglia. Ad ogni nuovo particolare erotico Padre Sartori
chinava la testa e sospirava, solo Padre Moroni rimaneva scettico.
"Poveretto, - pensava – è nel pieno di una crisi isterica". Quando la
confusa confessione ebbe fine il rettore estrasse una chiave dalla tasca della
tonaca, aprì un cassetto, prese una frusta e la porse solennemente al
missionario che le persecuzioni avevano reso paranoico. Padre Farina e padre
Cassina fecero chinare padre Richetti sopra lo schienale di una sedia, gli
sollevarono la tonaca fino a coprirgli la testa, Padre Padovan gli ingiunse di
recitare tre pater noster. Si udì un borbottio incomprensibile, che terminò in
un singhiozzo.
Il rettore fece cenno a Padre Gori di dare inizio alla
fustigazione e questi, senza esitare, infierì sul peccatore con tutta la
violenza di cui era capace. Vedeva davanti a sé il demonio comunista che lo
aveva perseguitato, imprigionato, torturato, martoriato, deriso. Padre Richetti
prima urlò di piacere, poi di dolore. I padri pregavano, il rettore, benché
eccitato, si sforzò di contare le frustate; alla ventesima, preoccupato
dall'inaudita violenza con cui Padre Gori si accaniva contro il penitente, gli
ordinò di fermarsi. Padre Richetti aveva già perso il controllo degli sfinteri
ed era svenuto. Fu affidato alle cure dei fratelli che lo portarono in
infermeria, lo stesero a pancia in giù sul lettino, lo ripulirono e lo
disinfettarono. Fratel Antonio lo vegliò tutta notte, in preghiera.
Anche il rettore
vegliò, pregando, meditando, riflettendo. Ringraziò il Padre eterno per avergli
concesso il sostegno spirituale di un uomo come Padre Padovan. Grazie a lui, al
suo discorso sconvolgente e rivelatore, l'opera del diavolo era stata
finalmente smascherata! Come era stata profonda la sua analisi del "condottiero demoniaco che pianta il
campo, esamina le difese o la disposizione di un castello e poi lo attacca
dalla parte più debole!" E in questo castello di Dio e della santa
chiesa, dove poteva colpire il demonio se non là, nel bastione più esposto? ...
quel povero Padre spirituale costretto ad ascoltare le confidenze morbose di
adolescenti confusi e incerti? Del resto
è proprio quando si persegue il
massimo bene che il demonio moltiplica i suoi sforzi.
Quel ragazzo si
comportava come una donna! Non a caso si era lasciato truccare e vestire come
una femmina di malaffare senza opporre resistenza. Padre Moroni aveva avuto
un'intuizione divina! Chi ha orecchie per intendere, intenda! Che cosa aveva
fatto il ragazzo, durante tutta la
rappresentazione teatrale, se non corteggiare in modo frivolo il gran
sacerdote? Quelle sue pose seducenti, poi! Padre Moroni gli aveva rivelato di
non aver dovuto insegnare niente al ragazzo,
che si trattava di un attore naturale! Quindi tutto tornava, tutto era chiaro.
E' scritto: "Il demonio si comporta
come una donna, perché per natura è debole, ma vuole sembrare forte. E' proprio
della donna perdersi d'animo quando litiga con un uomo e fuggire se lui le si
oppone con fermezza...".
Ma nella pièce era successo proprio il
contrario, che l'altro, il gran sacerdote "si era perso d'animo" e "non c'è al mondo una bestia così
feroce come il nemico della natura umana nel perseguire con tanta malizia il
suo dannato disegno". Tutto ciò nella più paradossale delle
metamorfosi: interpretando la figura di Gesù! Non era questa la riprova di
quanto il demonio poteva essere subdolo? Comma 331, terza regola... come
l'aveva spiegata mirabilmente Padre Padovan! "Sia l'angelo buono che l'angelo cattivo possono consolare l'anima
con una causa, ma per fini opposti". Qui il grande predicatore aveva fatto
l'esempio dei comunisti che promettono giustizia e pace e poi costringono
all'ateismo. “Sì, come dice il Vangelo, bisogna che gli scandali avvengano ma
guai a chi dà scandalo!”
Padre Colombo vegliò
meditando e pregando che Dio lo illuminasse. Verso l'alba gli sembrò di essere
stato esaudito. Ma certo, ora gli era tutto chiaro! Padre Richetti era un'anima
delicata. E che cosa aveva fatto il demonio? Aveva cercato di "renderla ancora più delicata, fino
all'eccesso, per turbarla e confonderla maggiormente". Ecco che
cos'era veramente successo! Non essendo riuscito a indurre il suo padre
spirituale al peccato volontario, il demonio gli aveva fatto credere che i suoi
stessi sogni fossero peccato! Anche la causa di questi sogni deliranti gli era
chiara, ormai! Dall'analisi delle spese per la mensa dei padri risultava
chiaramente che i religiosi erano stati privati dell'essenziale, erano stati
sottoposti ad una dieta eccessivamente severa. Inoltre il povero Padre
spirituale aveva rinunciato a lungo anche al secondo, compromettendo la sua
salute.
La via ascetica è pericolosa e adatta solo a chi vi è veramente
chiamato. Quanto a lui, doveva riprendere in mano la disastrosa situazione del
seminario, sollecitare donazioni, imporre cambiamenti radicali, investire in
nuove colture, in nuove attrezzature. Dio gli concedeva l'aiuto di fratelli
devoti e pronti al sacrificio, ad assumersi nuovi compiti pratici: guidare un
trattore, dissodare terreni. Questo ci si aspettava da lui, dai fratelli:
soluzioni pratiche. Le vocazioni non mancavano, Padre Landi, il cui arrivo era
previsto a giorni, era un meraviglioso pescatore di anime! Come avrebbe voluto
assistere ai suoi incontri con i ragazzi degli oratori, dove gettava le sue
reti! Con il suo ineffabile sorriso li invitava alle più dure penitenze.
"Mettetevi un sasso aguzzo nelle scarpe, - diceva loro - tenetevelo a
lungo, offrite la vostra sofferenza al Signore. Solo così resisterete alle
tentazioni e farete felice Gesù". Lui sapeva dare un senso a quel dolore
che ogni anima giovane e pura prova quando è esposta alle brutture del mondo e
alle sue pompe. Ed infatti, quando veniva a trovarli in seminario, i suoi
ragazzi lo accoglievano entusiasti, gli mostravano tutta la loro riconoscenza
per essere finiti nella sua rete. Sì, le vocazioni non mancavano e il suo
compito di rettore era quello di dare una casa adeguata a quelle anime in
sboccio e di permettere loro di proseguire nella ricerca di Dio, nella costruzione del suo regno.
Quanto al ragazzo...
ora che il disegno demoniaco si era rivelato in tutta la sua chiarezza, quale
migliore indicazione dell’annotazione sedicesima? "...
se per caso una persona è disordinatamente affezionata e incline a una cosa
- e il ragazzo sembrava incline alla vita religiosa - è molto opportuno che si sforzi, impegnando tutte le proprie energie,
per arrivare al contrario di quello a cui è malamente affezionato".
Ergo… bisognava sollecitarlo a chiedere al Signore esattamente il contrario di
quanto credeva di desiderare, bisognava indurlo a pregare perché il Signore lo
convincesse a rinunciare di sua spontanea volontà a quell’affezione disordinata
e ad impegnarsi in altro modo al servizio, all'onore e alla gloria della divina
maestà. Lui stesso, quando era solo un giovane seminarista, aveva sognato di
dedicarsi agli studi biblici, di tuffarsi nelle meraviglie delle lingue ebraica
e aramaica, di vivere in terra santa, ma si trattava, appunto, di un'affezione
disordinata.
Con quanta sapienza i suoi superiori lo avevano allontanato da
quelle sue ingenue aspirazioni e gli avevano mostrato che il servizio di Dio
non consiste nella soddisfazione dei propri desideri! Aveva sofferto, certo, di
non potersi rivolgere a Gesù nel suo bellissimo aramaico, di non poter
calpestare a lungo gli stessi luoghi
dove l'agnello di Dio era vissuto e si era immolato per togliere i peccati del
mondo. Del resto quanti padri erano stati indirizzati verso compiti
apparentemente opposti alle loro inclinazioni con risultati mirabili e adesso
si ergevano come solide rocce della Chiesa di Cristo! Avrebbe parlato al
ragazzo, gli avrebbe spiegato che, proprio perché la sua vocazione religiosa
era autentica, avrebbe dovuto metterla alla prova "impegnando tutte le sue
energie per arrivare al contrario".
Non era questo il solo modo di formare
i soldati di Cristo? Un soldato non deve avere desideri, preferenze, affezioni
ma abiti. Un soldato si deve spogliare di sé e obbedire ai suoi superiori con
entusiasmo, qualunque sia l'ordine e qualunque sia il costo. “Lo scopo del
soldato non è quello di uccidere ma di essere ucciso”. Il martirio: un abito
che si acquisisce soltanto se si rinuncia ai propri desideri, anzi
contrastandoli! Con prudenza, con sapienza, con l'aiuto di Dio gli avrebbe
parlato, lo avrebbe persuaso a lasciare il seminario.
Il giorno seguente il
ragazzo chiese un colloquio con Padre Gori.
Appena informato della richiesta
il rettore condivise con il missionario le sue riflessioni notturne e le sue
intenzioni, non senza consigliarlo di procedere con tutta la prudenza
necessaria affinché quella giovane anima così turbata non ne risultasse
danneggiata irreversibilmente. Gli rivelò anche che il ragazzo proveniva da una
famiglia poco religiosa. Infatti, quando Padre Landi si recava dai genitori del
ragazzo per la riscossione della retta, il padre lo accoglieva freddamente, non
sembrava capire nemmeno lontanamente la grandezza del dono che aveva ricevuto
da Dio con la chiamata di un loro figlio. Versavano sempre e soltanto il minimo
suggerito.
Padre Gori si rifiutò
di ricevere il ragazzo nella sua stanza. Lo invitò a passeggiare nel campo di
calcio così che il rettore potesse sorvegliarli dal finestrone del primo piano,
rallegrato dal cinguittio dei canarini rinchiusi nella grande voliera alle sue
spalle. La temperatura si era alzata, il cielo era terso, soffiava un
venticello stimolante. Il ragazzo, ancora sotto l'influenza della parte
sostenuta a teatro, sentiva il desiderio di discutere alcuni punti di dottrina
e quale migliore interlocutore di un
santo come Padre Gori, che aveva subito la tortura, che aveva sperimentato la
potenza miracolosa di Dio? Si fece coraggio e gli confidò un suo dubbio: non
riusciva a capire perché il creatore, nella sua infinita bontà, avesse gravato
gli uomini, tutti gli uomini, del peccato originale. Nel dire questo sfiorò
involontariamente un braccio del sacerdote.
Padre Gori fece un balzo e gridò:
"Vade retro...!" Il ragazzo lo guardò stupefatto. Sapeva bene quale
era la parola che il missionario aveva evitato di pronunciare e quella parola
era - non osava nemmeno pensarlo – era… Satana! Padre Gori gli impose di
camminare a un passo di distanza e gli spiegò, nervosamente, che quando Adamo e
Eva, nel paradiso terrestre, presso Damasco, mangiarono dall'albero della
scienza, l'umanità fu corrotta per sempre... - qui si fermò e puntò l'indice
contro il ragazzo. - Mangiarono dall'albero della scienza esercitando il libero
arbitrio, capisci? Il li-be-ro ar-bi-trio! Così facendo sporcarono alla fonte
il fiume dell'umanità e noi tutti, io,
tu, tutti proveniamo da quella fonte
inquinata."
"Ma allora la
grazia...?" chiese il ragazzo. Il missionario non gli lasciò terminare la
frase. La grazia, ovviamente, era un dato di fatto ma non se ne doveva parlare
con le anime semplici, tanto meno con un ragazzo immerso nel peccato. "Ha
letto cose che non può capire. Chi gliel'avrà permesso?” pensò e disse, in tono
solenne: “La volontà di Dio è imperscrutabile, im-per-scru-tabile, e tu,
giovane come sei, peccatore come sei, osi giudicare Dio? Questa è superbia.
Questo è il peccato di Satana. Tu non devi cercare di capire ma di credere,
cre-de-re! Creeee-de-re nei misteri della fede. E fare penitenza, pe-ni-ten-za,
per rafforzare la tua debole fede. E quando pecchi, chiuditi in bagno, prendi
il bastone che serve per sturare il gabinetto, sì, quel bastone sporco e
sudicio come la tua anima e picchiati fino a sanguinare!"
Quel bastone era
l'ossessione dei vecchi padri, lo menzionavano spesso. Il ragazzo ebbe un
brivido, si appoggiò a un palo della porta di calcio, guardò Padre Gori, notò
la bava sulle sue labbra. Abbassò lo sguardo, fece un rapido esame di coscienza
ma non riuscì a sentirsi in colpa. Si chiese come riproporre la sua domanda in
modo più chiaro e meno irritante ma il missionario non gliene lasciò il tempo.
Cambiando improvvisamente tono e argomento gli chiese, ironico: "Sono io
che voglio farti una domanda. Spiegami perché i tuoi genitori pagano solo il
minimo della retta, perché non sono più generosi con il seminario che ti
istruisce e ti educa nel timore di Dio?"
Il ragazzo era stupefatto: "Non lo sapevo... Forse...
perché sono poveri..."
"Perché non
credono, ecco perché! Lo sappiamo, siamo informati! - gridò Padre Gori. - E tu,
dopo quasi tre anni di seminario, non sei ancora riuscito a riportarli sulla
retta via né con le parole né con
l'esempio!"
Il ragazzo abbassò la
testa, il Padre lo incalzò: "Come puoi pretendere di convertire il mondo
se non riesci a convertire i tuoi genitori?"
"Loro mi… mio papà non... forse perché..." mormorò
il ragazzo, mestamente.
"Perché tu non
lo meriti! Io sono certo che Dio vuole mettere alla prova la tua vocazione,
- insinuò Padre Gori. - Vuole che tu
passi un anno a casa."
"La mia casa è
questa, padre" protestò il ragazzo, angosciato.
"No! Io sento che Dio vuole che tu torni a casa per
riportare i tuoi genitori sulla retta via. Io ho combattuto contro i comunisti,
ho rischiato la vita per Gesù e lui mi ha sorretto e mi ha salvato. Farà così
anche con te, - lo blandì. - Vuoi diventare un missionario? Comincia da casa
tua, da tuo padre e tua madre. Dimostra loro che sai vincere il mondo, le sue
pompe, le sue lusinghe e loro capiranno, crolleranno, crederanno. Prega,
inchinati umilmente di fronte ai misteri
della fede, fai penitenza, punisci la tua superbia che ti fa perfino dubitare
della bontà infinita del nostro creatore, medita sui tuoi peccati e chiedi a
Dio la grazia di salvarti! E piangi molto. In tutti questi anni nessuno ti ha
mai visto piangere!"
Era vero. Erano stati
tre anni felici, fino allora. Il ragazzo fece un respiro profondo, alzò lo
sguardo e vide il Padre rettore che li osservava. Ebbe l’insopportabile
sospetto di una trama. Si arrabbiò. Che cosa aveva fatto di male, in fondo?
Ieri lo avevano applaudito, si erano complimentati con lui per la sua
interpretazione di Gesù e oggi lo volevano cacciare! Chi, poi? Questo ometto
spaventato che si guardava continuamente alle spalle, che per poco non lo
chiamava Satana... e che non sapeva nemmemo spiegarsi! Perché la fede non
dovrebbere essere logica? Lui chiedeva una spiegazione razionale e a Padre Gori
veniva la bava alla bocca. O forse parlava a nome del nuovo rettore, che gli
aveva fatto quegli strani discorsi sull'allattamento e non era riuscito a
rispondere a una sua domanda?
Si ricordò una frase di Mauriac: "Quelli ci
perdono e noi non li salviamo". La prima volta che l'aveva letta, quella
frase, gli era sembrata orrenda, addirittura anticristiana, adesso gli sembrava
di coglierne il senso. Fece un respiro profondo, disse a Padre Gori che la
povertà non era una colpa e se i suoi genitori non pagavano abbastanza avrebbe
scritto loro una bella lettera. Padre Gori lo guardò con disprezzo:
"Ancora il peccato di satana, ancora superbia!" sbottò e se ne andò
senza voltarsi.
Il missionario si sentì sollevato: era stato di nuovo utile
alla causa di Dio. Era di nuovo sicuro di sé, adesso; la sua opera nel mondo,
contro il mondo e contro Satana ricominciava, aveva appena dimostrato d’essere
ancora in grado di affrontare il demonio, di combattere per l'instaurazione,
per il trionfo del regno divino.
Il ragazzo si rifiutò
di lasciare il seminario prima della fine dell'anno scolastico. Non voleva
andarsene senza avere sostenuto gli esami, non voleva gettare al vento tre anni
di studio che ai suoi genitori erano costati soldi e privazioni. Aveva capito
di essere considerato un pericolo, non sapeva perché ma lo aveva capito. A
Padre Moroni era stato proibito di parlare con lui, Padre Sartori lo derideva:
"Ti piace il jazz e non sai nemmeno sincopare!"; Padre Tramonti si
limitava ad osservarlo senza richiamarlo al rispetto pignolo delle regole,
tanto... Continuava a partecipare alle funzioni religiose, a recitare le
preghiere in comune ma i suoi pensieri erano altrove.
Durante le ore di gioco i
suoi due innamorati lo riempivano ancora di attenzioni, pendevano dalle sue
labbra, cercavano di toccarlo. Ma anche loro, era risaputo, avrebbero lasciato
il seminario. Si prendeva qualche libertà: a volte non partecipava ai giochi di
squadra e se ne andava a passeggiare solo soletto, invece dei libri edificanti
che gli venivano proposti leggeva romanzi. Si procurò una torcia per poter
leggere anche sotto le lenzuola. Di notte aveva frequenti erezioni, si
svegliava con le mutande impregnate di sperma. Non sapeva che cosa fosse, ma il
mattino ricordava di aver provato
piacere.
Non aveva nessuna voglia di tornare in
famiglia. I suoi non lo amavano, i padri lo cacciavano, il suo destino, gli
sembrava, era di non essere accettato, ma non si sarebbe arreso. Aveva imparato
a sopportare il dolore, ormai. In fondo... com'era capitato qui? Aveva cercato
una spiegazione per le sue pene e aveva incontrato un incantatore: era qui per
caso, per una serie di circostanze che non avevano niente a che fare con una
libera scelta. Lui, adesso, voleva essere libero, logico, voleva avere il
diritto di critica. Sorrideva ripensando al buffo, semplicistico
quaresimale predicato da Padre Gori
nella chiesa di San Cristoforo.
Ne ricordava il preambolo: "Non c'è rosa
senza spine, non c'è spina senza dolore, non c'è dolore senza conforto, non c'è
conforto senza Maria! Oggi tratteremo il primo punto: non c'è rosa senza
spine." Durante le sue prediche i mezzadri parlavano solo di andarsene
all'estero. E quello che aveva urlato "Pader lader"? L'aveva sentito,
anche Padre Richetti, era arrossito, poi era successo quel fatto strano... E il
ginnasiale, non il cantante, quell'altro, che parlava sempre di fidanzate,
dall’insopportabile sudore acido, che appena poteva cercava di abbracciarlo...
Quando era da solo, in chiesa, era contento, ma quando era con gli altri si
sentiva a disagio. Si sentiva osservato. Certo, non parlava più a Gesù, sapeva
che non gli avrebbe mai risposto.
Aveva cercato a lungo di avere le visioni,
l'estate precedente aveva passato interi pomeriggi nella cappella delle suore,
al paese, pregando e sperando di vedere Gesù uscire miracolosamente dal
tabernacolo. Aveva immaginato quel momento: avrebbe preso Gesù per mano,
l’avrebbe convinto a correre insieme a lui per le vie del paese. Come gli
piaceva correre, sentire il vento tra i capelli, i piedi che sfioravano appena
la terra, le gambe che si alzavano di scatto, il corpo che si slanciava
nell'aria! Non era successo, Dio non gli aveva risposto. Quindi lui non era un
santo, aveva concluso, non era un mistico. Ma era tornato in seminario con lo
stesso entusiasmo: quella era la sua vera casa, lì c'erano i suoi veri amici, i
suoi superiori che adesso lo cacciavano. Non si fidava più di loro.
Anche la
preghiera, ormai, era soltanto un'abitudine, a volte perfino un piacere, sempre
più flebile, però. Dio è amore? Ma i padri? Soprattutto era stufo di quel
parlare di diavoli, d’inferno, di miracoli: era stufo di sentir parlare di
penitenze, sofferenze, privazioni da donare al buon Dio che poi, se era così
buono… che cosa se ne faceva? C'era stata una guerra mondiale, un’altra,
milioni di morti, milioni di poveracci erano stati sterminati nei campi di
concentramento e i padri esaltavano le penitenze, le sofferenze, le privazioni.
E basta! I mezzadri se ne andavano in cerca di un lavoro onesto, lasciavano i
loro tuguri e loro, i padri, li accusavano di fornicare! Anche i suoi genitori erano emigranti,
venivano da paesi di montagna poverissimi, aspiravano ad una vita decente;
erano peccatori per questo, fornicavano?
Ma che cosa voleva dire, poi, fornicare?
La sera, durante le
processioni mariane, si lasciava distrarre dai
profumi dell'erba e dei fiori, dai voli delle lucciole; di giorno,
durante le passeggiate, si incantava ad osservare i non-ti scordar-di-me. La
natura gli appariva più attraente delle fantasie sul paradiso. Anche il suo
corpo, vivo e pulsante, gli piaceva, perché mai avrebbe dovuto odiarlo,
bastonarlo, ferirlo, infettarlo? Non era pazzo lui, non aveva le convulsioni,
non sbavava, non tremava come una foglia! Lui aveva una vita davanti e un mondo
meraviglioso da scoprire. Non sarebbe andato in paesi esotici, come aveva
sognato, in missione, ma come un uomo tra gli uomini, a lavorare, a imparare, a
vedere con i suoi occhi quei paesaggi che aveva ammirato sull’atlante
geografico.
Avrebbe fatto il marinaio, ecco, così non sarebbe stato di peso a
nessuno, e avrebbe letto, studiato, come aveva fatto suo padre, da autodidatta,
e avrebbe imparato dalla vita. Sul treno che lo portava alla sede d’esami, si
allontanava dai compagni di seminario per sedersi tra gli adulti, cercava di
partecipare alle loro conversazioni. Un giorno incontrò un giovanotto che
parlava di jazz. Lui gli confidò che quella musica gli piaceva, anche se per i
padri, per quasi tutti i padri, era la musica del demonio. “Ah - gli chiese il
giovanotto - la sai questa?” E intonò “When the Saints go marchin’ in”. La
conosceva, l’aveva sentiva alla radio. Lui imitò l’a-solo di tromba, il
giovanotto lo seguì imitando il clarinetto poi scoppiarono a ridere. Non si
sentiva più… diverso, scelto, superiore, anzi.
Terminati gli esami,
si precipitò in camerata, prese la
valigia già pronta, scese di corsa le scale e si diresse alla stazione. Il
torrente era ormai un filo d’acqua che zizzagava lentamente tra i sassi, il
sole al tramonto illuminava un paesino abbandonato e incendiava i calanchi. Una
signora guardò le gambe magre del ragazzo
e scosse il capo, un contadino salutò qualcuno che lavorava in una vigna. Il ragazzo pensò con un brivido che nessuno
lo aspettava. Ma l’estate, ah, l’estate… nello splendore del suo inizio era una
festa di colori.
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