...e il fugace Eldorado del gas di "scisto" -In frantumi il feticcio del "libero mercato"
Tito Pulsinelli Il
petrolio è un'arma a doppio taglio della guerra geopolitica, e la sua attuale quotazione -la più bassa dell'ultimo quinquennio- è derminata solo in apparenza dalla domanda e dall'offerta. E' ufficialmente morto il feticcio del
libero mercato, ucciso platealmente dai medesimi cantori delle
società aperte (all'espansionimo imperiale), oggi trasmutati in
entusiasti guerrieri del boicottaggio.
Il
nuovo secolo (nord)americano è stato fulmineo: tre decenni che
ci separano dalla caduta del muro di Berlino. Testimonia l'incapacità
dell'asse oligarchico a gestire in
modo ordinato e minimamente
razionale un potere onnicomprensivo. Si tratta di ostinato volontarismo piuttosto che equazione di potere
risultante dallo scontro delle forze globali schierate L'Arabia saudita è la protagonista dello sconvolgimento del mercato petrolifero, con il deliberato aumento dei volumi di greggio immessi sul mercato e la conseguente diminuzione dei prezzi. E' a pezzi il residuale mito della legge della domanda e dell'offerta. Il petromonarca saudita fa la sua mossa geopolitica più audace e replica alla lettera il boicottaggio decretato dagli USA contro la Russia. Raccoglie persino applausi da parte dei disperati e dei miopi che non vedono oltre il propio naso.
La
dinastia wahabita assesta un calcio negli stinchi
agli insidiosi iraniani, che si intromettono troppo negli affari
della penisola arabica, proteggendo oltre il dovuto le temibili
opposizioni sciite in tutti gli emirati. E' chiaro che fa uno
sgambetto alla Russia in una fase di difficoltà, rafforzando
apparentemente i sanzionatori anglosax e UE. L'Arabia saudita
accentua la pressione su Mosca perchè è un ostacolo serio per le
sue mire in Siria, Iraq ed Egitto. Però è una mossa dal carattere eminentemente “tattico”, che non ha
impedito alla Cina di passare alla fase operativa del grande piano di diversificazione
energetica che fa della Russia -e dei
rifornitori minori non-occidentali- la fonte strategica principale.
Sono
state segnalate molte vittime della politica saudita. In primo luogo
il Brics come campo alternativo, ora in grado di
applicare soluzioni differenti o antagoniste -soprattutto sul terreno
della futura moneta internazionale- al globalismo. 28 Paesi hanno sostituito il dollaro nelle transazioni negli interscambi con la Cina. Tra queste anche il Qatar e il Canada, Australia ecc. Dubai e Francoforte saranno le piazze finanziarie che tratteranno titoli e azioni in yuan, vale a dire la convertibilità.
Sono
poi segnalate come vittime sacrificali la Russia, l'Iran e il
Venezuela, responsabili d'aver promosso una riduzione della
produzione petrolifera al vertice dell'OPEP di Vienna. Hanno quagliato
l'impegno a congelare l'estrazione ai volumi attuali, ossia un freno
ad ulteriori slittamenti al ribasso dei prezzi.
Viene
occultata con zelo, invece, la vittima eccellente della
nascente industria estrattiva del gas di scisto,
che corre il pericolo di azzoppamento prematuro. Questa, nel periodo
2012-2014 ha raccolto profitti equivalenti alla metà degli
investimenti finanziari eseguiti nel territorio USA. Con lo scisto
i pozzi si esauriscono nel volgere di un triennio, e la loro
reddittività diminuisce del 60% fino al 90% al terzo anno. Per un
ciclo di più vasto orizzonte è giocoforza, pertanto, garantire la
continuità -ossia un ciclo- di investimenti considerevoli per periodi più lunghi.
Assai improbabili con gli attuali costi dell'energia.
Per
sostenere la politica di abbattimento del costo del barile -in
definitiva anche delle proprie entrate- l'Arabia saudita sta sacrificando
coscientemente gran parte della sua opulenta riserva monetaria. Non
per autolesionismo, ma per un rischioso e complesso disegno
geopolitico, di cui si ignora l'esattezza del calcolo costo-ricavi.
Di
fronte al prematuro trionfalismo di Washington, ridotto a una diplomazia-show di simulazioni e minacce teppistiche, risulta di poca credibilità
l'annuncio della repentina autonomia energetica. Ancor di più la
fulmineità con cui starebbero per trasformarsi da primi importatori
mondiali di petrolio in potenza esportatrice. Sono cose che possono
essere credute solo dai gonzi o dalla cooptata dirigenza dell'UE.
I sauditi
sanno che il pavone quando esibisce la magnetica coda mette a
nudo inevitabilmente la volgarità delle sue terga. E' comprensibile
che non gradiscano affatto di perdere senza colpo ferire il loro
maggior cliente. Da paese mono-esportatore non rimane passivo a
subire la disgrazia di perdere il suo miglior ed esclusivo cliente, e contrattacca.
Consapevole,
a maggior ragione, che la dinastia wahabita è causa delle
maggiori fortune dell'impero ora in affanno, grazie alla storica
creazione del petrodollaro. Loro mettevano sulla bilancia i
giacimenti e gli USA fabbricavano la cartamoneta indispensabile per
accedere all'aquisto degli idrocarburi e di tutte le altre materie
prime. Un bisogno artificiale e coatto del dollaro, in cui i giacimenti sauditi erano l'unica garanzia dopo l'annullamento della parità aurea. Un accordo, infine, tra produttori di energia e autoproduttori
incontrollati di moneta. Oggi, il
dollaro non ha dietro nemmeno il primato di economia indiscussa
del mondo.
Nel
mutevole mondo passato dal bipolarismo al brevissimo e caotico
unipolarismo, pervenuto alla fase dell' assestamento multipolare, è
al tramonto anche la trappola concettuale del “libero mercato”.
Il liberismo risponde con la guerra commerciale ed economica al varo di alcune regole generali della nuova convivenza internazionale
abbozzate nella galassia del Brics.
L'Arabia saudita gioca sullo scacchiere, e sorprende che lo faccia con una mossa dissolvente ai danni
dell'apparente socio incondizionale. Però business is
business, e nel primo semestre del 2015 sapremo della capacità di tenuta
dell'offensiva saudita. Il fattore tempo dirà se la sua forza d'urto colpirà al cuore la concorrenza del gas di scisto, oltre agli avversari e concorrenti minori. Sapremo di più sulla salute del perdente più mimetizzato.
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