Negli ultimi giorni Russia, Iran, Argentina e Venezuela hanno prima comprato yuan in cambio di rubli, riyal, peso e bolivar. Poi hanno venduto gli yuan comprando dollari. Infine hanno venduto dollari e ricomprato le loro valute
L. Tricarico La Cina esporta una valanga di merci. E’ diventata la prima economia del mondo. In cambio riceve carriolate di dollari. Troppi.
Da un po’ di tempo pensa che il dollaro abbia un futuro incerto, perché sempre più distribuito e sempre meno garantito, e vuole cambiarne una parte consistente in qualche cosa di più sicuro.
Russia, Iran, Argentina, Venezuela hanno giacimenti enormi di risorse naturali.
Agricoltura, allevamento, petrolio, gas, metalli.
Ma hanno valute che negli ultimi mesi sono state attaccate da speculatori
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internazionali e continuano a perdere valore. Così le merci importate costano più care, i prestiti in dollari diventano costosissimi. Si stringe la cinghia, il malcontento sale.
Si creano le occasioni per cambiare i governi eletti con governanti corrotti, disposti a privatizzare e svendere le risorse naturali a prezzi di saldo.
A questo punto però questi cinque stati si mettono d’accordo.
In base a questo accordo negli ultimi giorni Russia, Iran, Argentina e Venezuela hanno prima comprato yuan in cambio di rubli, riyal, peso e bolivar.
Quindi hanno venduto gli yuan comprando dollari. Infine hanno venduto dollari e ricomprato le loro valute. Siccome più una valuta viene comprata, più il suo valore sale, e viceversa, in questo modo il valore di rublo, riyal, peso e bolivar è risalito mentre quello del dollaro è sceso.
Siccome in base agli accordi stipulati questo meccanismo si può ripetere ancora molte volte, le aspettative ribassiste sono diventate incerte e la speculazione si è arrestata.
Le conseguenze e le implicazioni di questi accordi meritano grande attenzione. Perché in base a essi la Banca popolare cinese può vendere anche più yuan di quanta valuta in cambio abbia bisogno di spendere in quel momento, tenendola da parte come riserva e ri-scambiandola quando le tensioni si saranno allentate.
Ma ciò equivale di fatto a un prestito. In questo modo la BPC si affianca silenziosamente al Fondo monetario internazionale tra i soggetti mondiali in grado di aiutare i Paesi in crisi economica da svalutazione valutaria.
Si affaccia sullo scenario della finanza mondiale come ente in grado di cambiare radicalmente la storia dei prestiti condizionati, ai quali sovente è seguita – nel corso di qualche decennio – la bancarotta dello stato “aiutato”.
I Paesi BRICS oggi – e domani gli altri stati che sapranno rimodulare la loro politica estera – hanno a disposizione un prestatore di dollari e di altre valute che non chiede in cambio libbre di carne umana e che ha i mezzi per bloccare le scorribande dei gestori dei grandi fondi speculativi.
La Cina ci guadagna, perché incassa valute, rastrellate in un periodo in cui costavano poco sul mercato dei cambi, che userà per pagare materie prime preziose (invece che debiti del tesoro americano) dagli stati che le possiedono.
Russia, Iran, Argentina e Venezuela ci guadagnano, perché la loro valuta riprende un valore effettivamente rappresentativo delle loro potenzialità economiche e perché arrestano la speculazione sui cambi senza sprecare riserve in euro o in oro.
Ci perdono alcune centinaia di speculatori al ribasso; se ne faranno una ragione.
Milioni di persone trascorreranno invece un sereno Natale perché, oltre alla tombola, hanno imparato a giocare al gioco del: vinci tu che vinco anch’io.
fonts: corrieredellacollera qui
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