4 febbraio in occasione del 23esimo anniversario della ribellione civico-militare contro il governo di Carlos Andrés Pérez, presso la sede di ANICA (Associazione Nazionale Industrie Cinematografiche Audiovisive Multimediali) a Roma si è svolto il convegno La situazione attuale in Venezuela: “potere popolare in azione”, organizzato dall’Ambasciata della Repubblica Bolivariana del Venezuela presso la Repubblica Italiana in collaborazione con l’Istituto di Alti Studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie (IsAG). Presenti numerose autorità, tra cui S.E. Germán José Mundaraín Hernández (Ambasciatore del Venezuela presso la Santa Sede), S.E. Antolin Ayaviri Gomez (Ambasciatore della Bolivia) e S.E. Miguel Ruiz-Cabañas Izquierdo (Ambasciatore del Messico). L’incontro è stato moderato da Alfredo Viloria, Primo Segretario dell’Ambasciata del Venezuela.
Ha aperto i lavori il Dott. Daniele Scalea, Direttore Generale dell’IsAG, con un intervento introduttivo sulla crisi economica del Venezuela, comprendente un’attenta disamina dei successi ottenuti dalla Repubblica Bolivariana dalla nascita della cosiddetta “quinta repubblica”, forieri di interessanti opportunità per il futuro malgrado le attuali non poche difficoltà a Caracas.
Alcuni dati mostrano le prospettive potenzialmente rosee che potrebbero schiudersi per il paese latinoamericano. Primo al mondo per riserve petrolifere ed ottavo per quelle di gas, le enormi risorse energetiche rappresentano un patrimonio inestimabile a disposizione di una popolazione tra le più giovani del continente, formata per il 47% da under 25. Inoltre, le ingenti ricchezze accumulabili tramite l’export di materie prime permetterebbe di compensare la scarsità di terre arabili (pari a circa il 2,85% del suolo) che impone la costante importazione di cibo.
Eppure, l’eccessiva dipendenza dall’oro nero rischia di tradursi in un pericoloso rischio per l’economia di Caracas, soprattutto a causa del recente e drastico calo del prezzo del greggio. A tal proposito, il Dott. Scalea ha ricordato come alla base delle fluttuazioni del valore del petrolio ci siano diversi fattori: a quelli di natura economica ed energetica (il calo della domanda da parte di paesi colpiti dalla crisi; il boom del gas di scisto; l’interesse crescente per l’energia rinnovabile, manifestato in particolare da un colosso come la Cina) si uniscono speculazioni finanziarie e scelte prettamente politiche, quali la strategia saudita di tenere bassi i costi dei barili per mettere in ginocchio il nascente business del gas di scisto e colpire gli Stati più vincolati alle esportazioni di petrolio – non solo il Venezuela ma anche Iran e Russia. Per eludere l’offensiva di Riyad, ancora una volta s’impone la necessità di diversificare un’economia troppo legata ai proventi del greggio ed attualmente travolta da drammatiche spirali inflattive.
Ad ogni modo, i passi avanti compiuti da un lustro a questa parte grazie alle scelte del presidente Chavez sono evidenti. La spesa sociale è aumentata, privilegiando in particolar modo la sanità (dall’1,6 al 5,2% del PIL) e l’educazione (dal 3,4% al 6,9% sul PIL, superiore al 4,5% italiano): di conseguenza, l’82% della popolazione ha potuto ricevere assistenza medica gratuita, il 95% ha accesso alla rete idrica, il numero delle matricole scolastiche è aumentato del 29% e quello degli insegnanti di un sorprendente 188%. Il tasso di povertà complessivo è diminuito di quasi la metà (dal 49,4% al 25,6%) ed è oggi inferiore al dato italiano (29,9%), mentre l’indice di Gini, che misura la diseguaglianza nella distribuzione dei redditi, colloca Caracas al 39° posto, ben sei posizioni più in alto degli Stati Uniti e seconda solo al Canada nell’Emisfero Occidentale.
Ciò è stato reso possibile dalla “rinazionalizzazione” dell’industria petrolifera, la PDVSA, voluta dal presidente Chavez nel 2003, portando la quota statale sui proventi petroliferi dal 20% al 60% del totale.
A seguire, il giornalista Fulvio Grimaldi ha messo in luce la strategia di manipolazione mediatica di cui sarebbero vittime paesi come il Venezuela ed altri “Stati canaglia” il cui modus operandi si pone come un’alternativa ai tentativi statunitensi di instaurare un ordine unipolare. Il riferimento è alle accuse rivolte dalla cosiddetta “grande stampa” al presidente dell’Assemblea Nazionale Diosdado Cabello, che secondo il suo ex capo della sicurezza ed ora testimone protetto a Washington, Leamsy Salazar, sarebbe a capo di un potente cartello della droga. Secondo il parere del documentarista, si tratterebbe di un’impudica deformazione dei fatti che si baserebbe su un rovesciamento della realtà, considerando che a fomentare gli attacchi mediatici contro il numero due del regime sono quegli stessi Stati Uniti che nel contempo ignorano i traffici in atto in paesi alleati come la Colombia e il Messico e che hanno fatto del narcotraffico un’entrata durante l’occupazione in Afghanistan, che ha visto crescere la produzione di oppio di centinaia di migliaia di tonnellate.
Questo atteggiamento tracotante e privo di accorgimenti è dettato dall’esigenza di screditare paesi eterodossi e si manifesta con intensità nei servizi dei media dominanti, simbolo del sistema di “due pesi e due misure” con cui l’Occidente, mentre vitupera coloro che non si conformano al pensiero unico neoliberista, nasconde abilmente le proprie insanabili contraddizioni – secondo i dati citati da Grimaldi, a fronte dei 240 miliardi spesi per questioni legate ad acqua, salute pubblica, fame e povertà ce ne sarebbero circa 1750 per spese militari, per non parlare degli affari “trilionari” del mondo finanziario.
Un dogmatismo che è diventato palese con la fine della Guerra Fredda, considerando che all’epoca dei due blocchi era ancora possibile una minima mediazione di interessi – a tal proposito ha ricordato l’esempio del Vietnam e della mobilitazione dell’opinione pubblica mondiale contro quel conflitto. Oggigiorno, invece, la fabbrica del consenso mediatica è impegnata in una stigmatizzazione a senso unico dei regimi non conformi e nella cieca esaltazione di chiunque ad essi si opponga, idolatrando ileader delle “rivoluzioni colorate” che spesso altro non sono che mercenari. Gli esponenti del cosiddetto mondo libero manifestano contro il terrorismo in occasione dell’attentato a “Charlie Hebdo” per poi fomentare gli stessi in teatri geopolitici lontani e poco conosciuti dal grande pubblico, assistiti dall’apparato mediatico che traveste questi interventi eterodiretti da “ondate democratiche”.
Così in Venezuela, dove è ancora vivo il ricordo dei tentativi controrivoluzionari del 2002 e dove adesso si stanno scatenando disordini in cui s’intravede la longa manus di attori esterni, che tramite accaparramento, boicottaggio e contrabbando contribuiscono alla drammatica inflazione. I media dominanti ne approfittano per puntare il dito contro il dirigismo statale: ma come fidarsi di emittenti che per il 90% sono nelle mani di pochissime e influenti corporations? Grimaldi suggerisce di affidarsi a reti alternative come “TeleSur” e RT che di certo forniscono versioni dei fatti secondo lui più aderenti alla realtà.
Successivamente è intervenuto Giulietto Chiesa, giornalista, presidente di Alternativa e fondatore di “Pandora TV”, che ha analizzato le ripercussioni del mercato energetico sulla geopolitica mondiale e sull’economia dei paesi produttori. Sulla scia delle parole del precedente relatore, Chiesa ha ribadito la portata globale dell’offensiva geoenergetica, economica e politica guidata dagli Stati Uniti e diretta contro paesi come Venezuela, Iran e Russia, soffocati dalla cappa di disinformazione mediatica. Con toni realistici e a tratti quasi apocalittici, ha ricordato come il passo verso una gravissima crisi militare sia breve e in alcuni Stati purtroppo già in atto da molto tempo – si pensi all’Ucraina che conta circa 20.000 vittime dall’inizio del conflitto, di cui la metà sono civili. La terza guerra mondiale sarebbe più vicina di quanto si pensi, secondo Chiesa, considerando che l’impero nordamericano è ormai al tracollo, vive gli ultimi fasti, come ha sottolineato Brzezinski, e dunque gioca con spregiudicatezza le ultime carte a sua disposizione, cercando di far arrendere i nemici con le “buone” (sanzioni economiche, isolamento diplomatico) ma non disdegnando mezzi più drastici pur di mantenere lo status quo.
In termini energetici, questi malcelati tentativi di aggressione verso regimi scomodi si sono tradotti in manovre speculative per tenere bassi i prezzi del petrolio e colpire chi è più dipendente dall’export del greggio. Il mercato non è determinato da leggi ineluttabili ma da precise strategie attuate da chi, come l’Arabia Saudita, ha sufficienti risorse finanziarie, custodite nei fortini dell’alleato statunitense, tali da poter permettersi di non tagliare la produzione nazionale. Il prezzo basso del barile, imposto anche in seno all’OPEC, non pregiudicherà a breve l’economia saudita e provocherà numerose difficoltà non solo a Maduro, ma anche a Rohani, con cui non è ancora stata raggiunta l’intesa sul nucleare, e soprattutto a Putin, unico che dispone del potenziale deterrente adatto per contrastare gli States. I quali, trascurando la “bomba atomica” dell’immenso debito creato e memori del Project for the New American Century del ’98 partorito dagli strateghi neocon, sono consapevoli che per preservare il primato globale (messo sempre più a rischio dalla marginalizzazione del dollaro e dal fallimento di alcune missioni militari cruciali) occorre distruggere il nemico.
Teheran e Mosca, ha proseguito Giulietto Chiesa, rappresentano soltanto le prime tappe di un’offensiva rivolta soprattutto contro Pechino, motore dell’economia mondiale e probabilmente unica superpotenza che in futuro farà da contraltare alla hybris a stelle e strisce. A riguardo, basti pensare alla scelta cinese di dotarsi di una propria agenzia di rating, la Dagong Global Credit Rating. Tuttavia, le tattiche con cui Washington sta conducendo questa rischiosa partita rivelano una certa fretta di annientare il nemico, come manifestato nel corso della crisi ucraina, palcoscenico in cui non hanno esitato ad inviare circa 5 miliardi di aiuti economici all’establishment antirusso noncuranti delle posizioni ancora frammentate ed incerte dell’Unione Europea – “ignorata”, per usare un eufemismo, da Victoria Nuland, delegata USA per i rapporti con Europa ed Eurasia. Se vincerà la linea dei falchi, secondo l’ex europarlamentare, ci aspetterà un drammatico conflitto di cui le guerre civili apparentemente solo regionali sono prodromi da non sottovalutare.
Infine, ha preso la parola S.E. Julian Isaìas Rodrìguez Dìaz, Ambasciatore della Repubblica Bolivariana del Venezuela, il quale ha descritto l’attuale situazione del suo paese e il ruolo del potere popolare nella politica. In un mondo globalizzato, quanto mai fluido e volatile, in cui ad un aumento della ricchezza e dei consumi non corrisponde quello dell’uguaglianza, i tentativi di Caracas di costruire un modello sociale più equo vengono contrastati dal disegno unipolare statunitense. Dopo una breve descrizione della strategia attuata da Washington negli ultimi anni, volta ad un isolamento dei suoi potenziali nemici ma fallita subito dopo la crisi ucraina e l’avvicinamento strategico russo-cinese, secondo l’Ambasciatore il presidente Obama avrebbe deciso di virare nuovamente sull’America Latina per intensificare il controllo sul vecchio “cortile di casa”. La stessa ripresa delle relazioni con Cuba andrebbe letta in quest’ottica di riposizionamento geostrategico, tanto che Fidel Castro, diffidente verso lo storico nemico, avrebbe affermato che qualsiasi negoziato o soluzione pacifica dev’essere trattata in accordo con i principi e le norme internazionali.
Forse si riferiva ai rapporti tra Stati Uniti e Venezuela, tesi dall’ascesa di Chavez? Per Rodrìguez Dìaz, “l’impero” ha raddoppiato i suoi attacchi contro Caracas non solo per i tentativi di integrazione latinoamericana condotti con L’Avana, ma soprattutto in quanto paese detentore delle maggiori risorse petrolifere mondiali – ratio che è stata alla base anche degli interventi in Medio Oriente. Tuttavia, il greggio venezuelano sarebbe preferito dai magnati statunitensi in quanto più vicino e rapido da trasportare rispetto a quello localizzato sullo stretto di Hormuz tra Arabia, Iran e Iraq (da qui ci metterebbe 45 giorni per arrivare in Texas a fronte dei soli 4 giorni dal Venezuela).
Sarebbe dunque per queste ragioni di fondo che la stampa occidentale, NY Times in primis, ha iniziato a condurre violente campagne diffamatorie contro esponenti del governo di Maduro, accennando ad un imminente regime change a Caracas affidato, secondo l’Ambasciatore, a quell’opposizione di destra che serve da “testa di ponte” e che già si rese protagonista del tentato golpe del 2002. Oltre a foraggiare le frange antigovernative – che godono comunque di rappresentanza parlamentare ma hanno perso 17 elezioni su 18 -, gli Stati Uniti destabilizzerebbero il Venezuela incentivando mobilitazioni interne, disordini, omicidi mirati e programmando speculazioni e mancanza di prodotti per aumentare la conflittualità e screditare Caracas agli occhi dell’opinione pubblica mondiale. Ciononostante, l’America Latina ha creato organismi internazionali autonomi (MERCOSUR, UNASUR, CELAC, ALBA) per favorire l’integrazione regionale, diversificare i suoi mercati e tentare un fronte comune contro lo strapotere occidentale.
Per quanto riguarda la crisi economica attuale, l’Ambasciatore ha analizzato poi le cause che stanno conducendo ad una contrazione pari a circa il 3% del PIL, provocata dalla caduta del prezzo del greggio (38 dollari al barile) e dall’avversione dei privati per le politiche socialiste che li ha condotti ad appoggiare i progetti di sabotaggio promossi dall’esterno. Il governo di Maduro sta reagendo a questa vera e propria guerra con misure efficaci tra le quali quelle atte a garantire il rifornimento di alimenti attraverso reti di distribuzione, sequestrare i prodotti accaparrati – al momento già 28 milioni di chilogrammi -, denunciare e processare le imprese che hanno frodato lo Stato, riorganizzare il controllo alle frontiere e far conoscere meglio, tramite iniziative come questa, i progressi ottenuti grazie al processo di avanzamento verso il socialismo.
Una battaglia contro il capitalismo globale, ha argomentato l’Ambasciatore, che il Venezuela porta avanti grazie soprattutto al potere popolare, strada con cui il popolo ha preso le sue decisioni, nel pieno esercizio della sua autonomia, partecipando alla gestione sociale con l’obiettivo di garantire la massima felicità in funzione di uno sviluppo integrale della Nazione. In quest’ottica va letto lo sforzo con cui Maduro ha messo in stato d’allerta circoli popolari, comitati di quartiere, forze contadine ed operaie e organizzazioni giovanili e di donne per realizzare una revisione delle catene di distribuzione e squarciare il velo di disinformazione tessuto dai media dominanti. A differenza di 23 anni fa, ha concluso S.E. Isaias Rodriguez, il popolo è ora consapevole del ruolo protagonistico e partecipativo che possiede nella costruzione della Patria ed è pronto ad ergersi a custode della Costituzione della Repubblica Bolivariana.
fonte QUI
(Testo di Ugo Gaudino, foto di Giorgia Licitra)
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