miércoles, 9 de septiembre de 2015

Venezuela apre la porta a 20mila siriani



ANCHE L'ARGENTINA, BRASILE e CILE ACCOLGONO I PROFUGHI

Il presidente Maduro ha annunciato che 20mila famiglie siriane saranno accolte nel Paese sudamericano. "Che vengano queste famiglie nella patria venezuelana, a lavorare con noi e a contribuire allo sviluppo di questa terra magica..." ha detto Maduro durante la riunione settimanale del consiglio dei ministri. Ha anche ricordato che la causa del dramma umanitario in corso è l'aggressione iniziata dal governo degli Stati Uniti, a cui si sono aggregati i governi dei Paesi d'Europa,

Guy Debord - Notes sur la «question des immigré» qui
fornendo appoggio diplomatico, finanziario e militare a quelli che  nel 2011 denominava "ribelli moderati" (sic).

Delcy Rodriguez, ministro degli esteri del Venezuela, è già al lavoro per stabilire contatti con Damasco ed organizzare l'arrivo delle 20mila vittime della campagna terroristica in corso in Siria, dove la Turchia sta svolgendo un ruolo di primo piano nella regia e gestione delle bande dilinquenziali, battezzate con varie sigle contenenti un abusivo riferimento all' "islamismo".
Anche per l'Argentina c'è il semaforo verde all'accoglienza delle vittime della violenza in Siria, dove la presidente Cristina Fernandez ha criticato con asprezza la doppiezza dei dirigenti europei che -da un lato difendono o assecandano gli aggressori  stranieri- e dall'altro si negano a far fronte alle conseguenze della loro subalternità.

Dal Sudamerica, quindi, si rinnova la tradizionale disponibilità ad accogliere le vittime dei conflitti che -dopo i due grandi conflitti mondiali- diedero a  milioni di europei la possibilità di rifarsi una nuova vita.

Chi semina guerre civili, chi bazzica gruppi terroristi raccoglie ondate di sfollati e di vittime.  Dopo l'Afganistan, l'Iraq, la Libia, il dissesto sociale fomentato in tutto il Nordafrica e Medioriente è chiaro che l'Europa deve seguire altre piste. Non sono quelle della NATO. Per evitare gli esodi è sufficienti non organizzare guerre di invasioni, destabilizzazioni, "cambi di regime" e riprendere politiche di coperazione. Non solo con Israele, Arabia saudita e le petro-monarchie della penisola arabica.

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