Coriolanis - La tribuna dell'Assemblea generale dell'ONU è l'ambito scenario annuale dei governanti, in cerca di rating o effimera gloria mediatica, come sulla passerella di Cannes o l'assegnazione degli Oscar. Trump, sempre più ruspante, ha rincarato le dosi del le vertigini apocalittiche e le consuete minacce contro l'intero mercato-mondo. Ha rieditato il genere western e le truculenze del "vado, l'ammazzo e torno", solo che il mondo è cambiato, e di molto. Nemmeno "salvate il soldato Ryan" è credibile dopo i 14 anni trascorsi infruttuosamente tra l'Afganistan e l'Iraq, più di quanto ci misero per avvassallare l'Europa occidentale.
Il problema dei problemi è che non riescono più a far paura, nemmeno al giovane presidente nordcoreano o alle milizie di Hezbollah. Troppi nemici, su troppi fronti, poco onore, soprattutto poco fatturato geopolitico per i piramidali bilanci destinati alle armate imperiali. Bilanci estorti ai ceti medio-bassi del popolo operoso e salariato.
La ricetta imperiale è stata decodificata: seminare zizzania e pugne intestine contro i nemici -apparenti e reali- e persino nel campo amico o alleato, con boycot, guerre civili striscianti e indotte. Finanziando mercenari e paramilitarismo, senza escludere nemmeno la delinquenza politica o criminalità pseudo religiosa. Il pavone fa la ruota però scopre le natiche. Risalire la china seminando odio, moltiplicando i colpi proibiti contro tutti, sta portando alla superficie una foschia che non riesce a camuffare un velleitarismo che rasenta l'impotenza. Non bastano tutte le atomiche dell'arsenale per incenerire la Cina, Russia, India, Iran, Venezuela, Libano, Turchia, Egitto, Yemen senza pagare dazio, soprattutto senza poter evitare di uscirne indenni. Trump é un ottimo venditori di armi.
Siamo al delirio e al castigo: il mercato-mondo reagisce, però non nel modo in cui l'impero si aspetta e vorrebbe. Il campo pluripolare lancia la sfida al dollaro e punta a sganciare il mercato delle materie prime dal biglietto verde. Il Venezuela risponde al pollice verso di Washington vendendo il petrolio in yuan; rifiuta la strategia di "accerchiare e asfissiare" varata per produrre artificialmente l'agognato "default". E' un diktat finanziario che denota un immediatismo del tutto fuori luogo. Il petro-yuan ha come capisaldi la prima economia del mondo, le maggiori riserve auree, che consentono la convertibilità yuan-oro dei "contratti a termine" petroliferi, dopo 90 giorni a Hong kong e Shangai, presto a Panama e Santiago del Cile. E conta anche con armi russe che in Siria hanno mostrato la reale forza d'urto del Pentagono.
L'imminente e storica visita di Putin alla Bolivia, è l'inizio di una cooperazione più stretta con il primo esportatore di gas del continente americano. E' il preludio della conformazione di una Opec del gas, forte degli ingenti giacimenti dell'Iran, e dell'avvicinamento del Qatar e Oman con Teheran, che ha provocato il blocco commerciale da parte dell'Arabia Saudita. Lo sfruttamento delle grandi riserve gasifere del Mar Rosso hanno indotto il Qatar al progetto comune con gli iraniani, dopo il fallimento dei finanziamenti ai terroristi in Siria. Nessuno si sorprenderà se nascerà un cartello dei grandi esportatori di gas, e se questo sarà quotato con un segno monetario diverso dal dollaro. Si tratta di ogive finanziarie a gittata multipolare.
Chi terrorizza chi? Chi spaventa chi? Il polo multipolare sa che la giunta militare di Washington ha una unica offerta: guerra e il suo surrogato del terrorismo; inoltre è consapevole del valore della sua progettualità di pace e sviluppo, basati sull'autodeterminazione e sovranità. Europa, se ci sei, batti un colpo. Quando le armate imperiali svuotano l'erario e ai plebei non è garantito piú né il pane né il circo, non si va avanti per molto, e si avvicinano i tumulti, le secessioni e le separazioni, e l'arrivo sulla scena dei movimenti sociali in fuga dalla trappola bi-partitista.
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