America Latina. Droghe e democrazia
El Tiempo
A fine aprile, convocata da tre ex presidenti latinoamericani -il brasiliano Fernando Henrique Cardoso, il messicano Ernesto Zedillo e Cesar Gaviria, colombiano- si e' istallata a Rio de Janeiro una Commissione di alto livello su Droghe e Democrazia, finalizzata a valutare l'efficacia e l'impatto della "guerra alle droghe" che dura da 35 anni, capeggiata dagli Stati Uniti, e dai risultati quanto mai discutibili.
L'idea della commissione, composta di una ventina tra esperti e analisti europei e americani, e' quella di formulare raccomandazioni per politiche piu' efficaci e realiste, che tengano conto del miserevole bilancio ottenuto da una strategia che ha privilegiato la criminalizzazione del fenomeno delle droghe illegali.
Soprattutto in America Latina, dove e' abbinato ai cartelli del narcotraffico, all'incremento della violenza urbana e rurale, al rafforzamento della criminalita' organizzata, alla corruzione politica e all'indebolimento generale della capacita' degli Stati di garantire legalita' e ordine. Ci sono ormai prove sufficienti che negli Stati latinoamericani il problema va oltre la repressione poliziesca o la salute pubblica. E' un quadro piu' grave, che infetta tutto il tessuto sociale e ha conseguenze devastanti sulla cultura civica e le istituzioni democratiche.
Per dimostrarlo non occorre andare lontano. I 68 deputati inquisiti in Colombia, 32 dei quali detenuti, lo sono per presunti legami con gruppi paramilitari che si mantengono con il narcotraffico.
Il Messico, da qualche anno e' attraversato da un'ondata di violenza senza precedenti, simile a quella vissuta dalla Colombia negli anni '90, e che e' direttamente connessa al transito di una parte considerevole di traffici illeciti.
Nelle favelas brasiliane si vive il dramma delle bande armate e della violenza omicida che ha le sue radici proprio nel passaggio della droga; un dramma che si rispecchia in alcuni film, come Tropa de élite e Ciudad de Dios.
Il Venezuela, altro Paese dove si e' spostato il traffico, sta subendo anch'esso l'urto di questo flagello. O ancora, i narcos colombiani hanno trasformato nazioni dell'Africa occidentale in luoghi di passaggio della cocaina verso l'Europa.
Tutto cio', con i suoi effetti devastanti in termini di governabilita' e qualita' della democrazia, e' conseguenza non solo del narcotraffico di per se', ma delle politiche sbagliate con cui si e' cercato di contrastarlo. La famosa "guerra alle droghe" non e' riuscita a far cessare le coltivazioni in Colombia, nemmeno dopo anni di fumigazioni (che, tra l'altro, hanno guastato i rapporti con l'Ecuador).
Due recenti rapporti di International Crisis Group, un centro studi con sede a Bruxelles ("La droga in America Latina"), tracciano l'inventario del fallimento della strategia antidroga, mostrano come le reti transnazionali si espandano nell'area e come, nonostante la fumigazione e l'eradicazione manuale di quasi 600.000 ettari tra il 2004 e il 2006, Peru', Colombia e Bolivia continuino a produrre piu' di mille tonnellate di idroclorato di cocaina (1.421 nel 2007, secondo lo zar antidroga degli Stati Uniti), piu' o meno la stessa quantita' di quando e' iniziato il Plan Colombia.
Dimostrano che il consumo e' rimasto stabile in Usa e cresce in Europa; che Argentina, Cile e Brasile hanno un grosso problema di transito e consumo, per non parlare degli effetti del narcotraffico in Colombia, dove alimenta il conflitto armato interno e la guerriglia delle Farc, e sta dietro al riarmo di numerosi gruppi dopo la smobilitazione paramilitare.
E' paradossale e crudele che proprio il Paese con il maggior problema di consumo di droga al mondo, gli Stati Uniti, insista in una politica fallimentare, cieco e sordo agli effetti deleteri per i campesinos produttori e per la stabilita' dei Paesi cocaleros. Ne' i 40 miliardi di dollari investiti ogni anno, ne' la mano dura che impera nelle carceri statunitensi hanno ridotto la disponibilita' di droga e neanche la redditivita' del mercato.
Il 71% degli statunitensi ritiene che sia una guerra persa, pero' non e' un vero tema nazionale o politico, quindi manca, nel principale mercato consumatore del mondo, quella pressione che potrebbe indurre a mutare politica. Anzi, malgrado gli insuccessi di questi anni, ora si sta progettando di replicare con il Plan Mexico.
Urge ripensare la strategia
E' stata una sfida perdente, considerato che nessuno dei traguardi stabiliti dall'ONU nel 1998 e' stato conseguito. Le conseguenze sono desolanti su tutti i fronti.
L'obiettivo della commissione creata in aprile e' quello di presentare proposte alternative alle Nazioni Unite per l'inzio del nuovo anno, al compimento dei dieci anni della strategia adottata dalla Sessione Speciale dell'Assemblea Generale (Ungass).
Si tratta, tra l'altro, di enfatizzare l'aspetto della sanita' pubblica e della riduzione del danno (in Europa); di uscire dalla semplificazione dell'alternativa proibizione-legalizzazione; di differenziare i livelli del danno delle varie sostanze (e' assurdo equiparare la cannabis all'eroina); di sostituire il rigido criterio di "tolleranza zero" con quello della riduzione del danno; di fare campagne serie di prevenzione ed educazione rivolte ai giovani.
Insomma, si tratta di riconoscere che non ci sara' un mondo senza droga e che la pura repressione contribuisce solo a rendere il traffico piu' redditizio e a coinvolgere nel suo vortice interi popoli -come in Colombia- maledetti, per geografia o storia, dalla coltivazione delle piante che producono. Se tutto cio' non cambia, i conflitti armati avranno benzina chissa' per quanto tempo.
Editoriale non firmato apparso sul quotidiano El Tiempo il 25 maggio 2008 (trad. di Rosa a Marca)
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