Il Brasile porta il caso al Consiglio di sicurezza dell'ONU - 300 persone rinchiuse nello stadio - La resistenza si trasforma in insurrezione civile generalizata - Gli USA devono scegliere tra Zelaya e i gorilla
Tito Pulsinelli
I militari hanno occupato l’area attorno all’ambasciata del Brasile dove si trova il Presidente Zelaya. Hanno sloggiato le case adiacenti ed hanno piazzato sui tetti cecchini con il volto coperto. La sede diplomatica continua ad essere privata di luce ed acqua.
Da New York, Lula ha ammonito i golpisti, mettendoli in guardia ed esigendo il rispetto della vita di Zelaya e delle istallazioni. Ha replicato seccamente alla delirante ingiunzione dei golpisti di consegnare Zelaya o concedergli asilo politico.
Più tardi, Zelaya ha rivelato che i militari hanno in animo di approfittare delle ore notturne per assaltare l’ambasciata ed assassinarlo, spacciando il crimine come un “suicidio”. Il Brasile porterà questo caso di fronte al consiglo di sicurezza dell’ONU giovedì, per sollecitare un intervento decisivo che metta fine alla sfida dei gorilla honduregni contro la “comunità internazionale” che –già tre mesi addietro- aveva coralemente condannato i golpisti e teso un cordone sanitario per isolarli diplomaticamente.
Non è bastato. Il ritorno di Mel Zelaya è stata una mossa decisiva e totalmente imprevista che ha mandato all’aria le manovre ambigue e dilatorie degli Stati Uniti. La pretesa di incaricare il Costarica di togliere le castagne dal fuoco alla Casa Bianca –seriamente compromessa nel golpe- è fallita, perchè osava mettere sullo stesso piano i golpisti ed un presidente legittimamente eletto.
La presenza di Mel Zelaya in patria, ha letteralmente colto di sorpresa i golpisti, che stanno reagendo come peggio non si potrebbe. Nonostante il loro isolamento, ritenevano di poter resistere contro la ribellione popolare fino alla fine di novembre. Però con Zelaya a Tegucigalpa e i riflettori che si sono riaccesi sull’Honduras, naufraga la loro illusione di poter organizzare un imbroglio elettorale che lavasse la faccia al potere politico, sporca di troppo sangue.
Zelaya ha coraggiosamente fatto la sua mossa nel momento più opportuno e con l’appoggio evidente di vari governi sudamericani e del Centroamerica. Ha sparigliato il gioco truccato, ed ora il re è nudo. Gli Stati Uniti non possono più giocare sulle ambiguità, nè potranno continuare a nascondersi dietro il loro vassallo del Costarica.
Devono prendere posizione e scegliere: Zelaya o il golpe militar-impresariale. Obama deve decidere se chiudere sul nascere ogni spiraglio di intesa con l’America latina, in tal caso continuerà a reggere il bordone alle elites oscurantiste dell’Honduras. Oppure, delimita le iniziative ultras del Pentagono, e sceglie la difesa della democrazia e dei movimenti civili che sono sorti dalle viscere di società impoverite e saccheggiate dal neoliberismo.
Oggi, le gesta repressive dei gorilla furiosi hanno avuto come scenario anche la cintura periferica della capitale (1), dove scorazzavano con megafoni e minacciavano di morte chiunque avrebbe osato uscire per protestare. Quando hanno sfondato le porte delle case e gettato lacrimogeni all'interno, incuranti dei vecchi e dei bimbi, la gente è scesa in strada e si sono scontrati con i militari. Dapprima in maniera spontanea ed improvvisata, via via in modo più sistematico, e sono comparse le prime barricate.
E' in atto una insurrezione civile che -dopo 87 giorni- ha aumentato di intensità e drammaticità. La dittatura non sa più dove mettere i numerosi giovani detenuti, e ne ha rinchiusi 300 nello stadio della villa olimpica. Nel più autentico e sfacciato "stile Pinochet".
(1) Colonia La Canada, 21 de febrero, Nueva Era, Victor F. Ardon, El Reparto, Centro America, Oeste Villa Olimpica, Colonia El Pedregal, El Hatillo, Cerro Grande, Barrio Guadalupe, Barrio El Bosque, Colonia Bella Vista, Barrio El Chile
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