miércoles, 21 de octubre de 2009

Cronologia del colpo di Stato in Honduras



24 marzo 2009 – Quadro generale e origini della crisi
Il presidente dell’Honduras, Manuel Zelaya, chiamato Mel dai suoi simpatizzanti, convoca un referendum consultivo non vincolante per conoscere l’opinione dei cittadini sulla sua proposta, rimasta lettera morta in parlamento, di eleggere i membri di un’Assemblea Costituente per riformare la Carta Magna.

Mel Zelaya è all’ultimo anno del suo mandato quadriennale e le elezioni presidenziali sono previste per il 29 novembre 2009. Il partito di maggioranza relativa PLH (Partido Liberal de Honduras) da cui proviene lo stesso Zelaya inizia a osteggiare l’operato del suo governo, già contrapposto alla potente COHEP (la Confindustria dell’Honduras) in seguito all’aumento del 60% del salario minimo dei lavoratori decretato nel gennaio 2009.

24 giugno – Il parlamento e l’esercito contro il presidente
Il parlamento approva una legge ad hoc che regola i referendum e li proibisce nei 180 giorni precedenti e successivi alle elezioni. Zelaya insiste con la sua iniziativa di consultazione popolare e destituisce il capo dell’esercito, il generale Romeo Vasquez, che si era rifiutato di gestire le operazioni relative al referendum.

La giustizia honduregna dichiara illegittima la destituzione del generale Vasquez, mentre l’esercito occupa le strade della capitale per frenare i sostenitori di Zelaya e il Tribunale Elettorale dichiara illegale il referendum da lui promosso. L’impasse istituzionale è gravissima e il conflitto tra poteri prefigura una conclusione violenta.

La cupola del PLH e le élites imprenditoriali temevano che un’eventuale vittoria della proposta di Zelaya d’istituire una Costituente avrebbe condotto a una crisi politica e istituzionale che avrebbe rafforzato il Presidente uscente favorendo una sua rielezione, possibilità proibita dalla attuale Costituzione ma eventualmente includibile in quella nuova.

Zelaya non ha mai dichiarato d’essere interessato a modificare la Costituzione per inserire la possibilità di rielezione del Presidente, e quindi gli accostamenti con il mandatario venezuelano Hugo Chavez sono in tal senso fuorvianti. “Lo hanno deposto perché voleva fare come Chavez e fare il socialismo” si sentiva dire. Affermazioni e basta. Poi c’è da discutere cosa voglia dire esattamente “fare come Chavez” in un caso così diverso come quello honduregno.

Il posizionamento di Zelaya e il contesto latino americano
L’unico dato certo è che Zelaya sul piano interno si è progressivamente allontanato dalla linea del PLH, formazione elitaria e conservatrice che si spaccia come socialdemocratica, e in politica estera si è invece avvicinato all’ALBA (Alternativa Bolivariana per le Americhe), integrata da Nicaragua, Bolivia, Cuba, Ecuador, Honduras e Venezuela.

Fu creata dal presidente Hugo Chavez ufficialmente per avviare un progetto d’integrazione regionale differente, che combatta la povertà e l’esclusione sociale in America Latina. Altre finalità neanche troppo latenti sono porre un freno all’egemonia degli USA e dell’ormai spento progetto dell’ALCA (Area Libero Commercio delle Americhe) nella regione e favorire un piano d’integrazione energetica, ideologica e militare sotto l’egida venezuelana e con una eventuale partecipazione o accondiscendenza da parte del Brasile.

Possiamo definire i paesi dell’ALBA come gli elementi forse più radicali nel panorama latinoamericano e nel contesto dell’ascesa dei governi progressisti nel continente negli ultimi 10 anni. Mantenendo le dovute precauzioni e considerando le forti differenze nazionali, possiamo dire che alcuni governi come quello di Lula in Brasile, Lugo in Paraguay, Kirchner in Argentina, Bachelet in Cile, Vazquez in Uruguay, Garcia in Perù, emanati dall’area progressista e da partiti che erano abituati a stare all’opposizione, rappresentano invece un'ala più moderata negli equilibri geopolitici regionali.

28 giugno – Colpo di Stato in Honduras
Elementi dell’esercito dell’Honduras arrestano il Presidente Manuel Zelaya in casa sua e lo deportano in Costa Rica. Il presidente del Parlamento, Roberto Micheletti, lo sostituisce e giura come presidente della repubblica ad interim.

29 giugno e seguenti - Ripudio internazionale e intransigenza internaI paesi dell’ALBA ritirano i loro ambasciatori da Tegucigalpa, capitale dell’Honduras e l’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite) approva una risoluzione che chiede il ritorno “immediato e senza condizioni” del presidente Zelaya.
La OSA (Organizzazione Stati Americani) dà un ultimatum analogo al governo ad interim dell’Honduras, pena la sospensione dall’organismo che poi avviene il 5 luglio. Anche i paesi dell’Unione Europea ritirano i loro ambasciatori. Un decreto presidenziale restringe le libertà individuali.

Intanto in Italia l’informazione vergognosamente diffusa dal TG nazionale Studio Aperto fa sì che per milioni di spettatori le origini bergamasche del golpista Micheletti, definito come “il nuovo presidente dell’Honduras”, assurgano a notizia rilevante su quanto succede in una banana repubblic qualunque, così difficile da collocare sulla cartina geografica.

5 luglio e seguenti – Timido sostegno USA e primo tentativo di rientro in patria
Il presidente Zelaya, ottenuto un primo riconoscimento internazionale dal presidente USA Barack Obama, cerca di ritornare per via aerea a Tegucigalpa, ma l’atterraggio nell’aeroporto Toncontin gli è impedito dalle forze militari. I suoi sostenitori si battono strenuamente nei pressi dello scalo aereo e sulle piste di atterraggio.

Dopo le riunioni di Zelaya con la segretaria di Stato americana Hillary Clinton, cominciano i negoziati tra il presidente e i golpisti con la mediazione di Oscar Arias, presidente della Costa Rica ed ex premio Nobel per la pace. Ciononostante non si raggiunge nessun accordo. La UE sospende 90 milioni di dollari di aiuti all’Honduras mentre gli USA ancora tentennano nel decidere ritorsioni e persino nel definire “golpista” il regime instaurato da Micheletti e colleghi.

L’ipotesi che gli ambienti repubblicani neoconservatori e alcune lobby americane di “clintoniani” e di imprese multinazionali presenti in Honduras fossero propensi a riconoscere l’usurpatore Micheletti, spalleggiato dal generale Vasquez, e ritardassero le misure punitive contro il nuovo regime ha preso piede data l’ambiguità iniziale dell’amministrazione Obama.

Secondo alcuni settori il colpo di Stato, che contro ogni evidenza non si vuole riconoscere come un vero e proprio golpe, sarebbe il male minore dinanzi alla penetrazione di Chavez e del "socialismo del secolo XXI" in America Latina.

24 luglio e seguenti – Secondo tentativo di rientro
Zelaya fa una breve incursione in territorio honduregno dalla frontiera col Nicaragua e incita il popolo all’insurrezione contro Micheletti. Il dipartimento di Stato degli USA revoca quattro visti diplomatici a dei funzionari del governo honduregno ad interim.
12 agosto – Internazionalizzazione della crisi
Zelaya si riunisce col presidente brasiliano Lula da Silva e il governo di Micheletti in Honduras ristabilisce il coprifuoco a Tegucigalpa.

22 agosto fino a fine mese – I diritti umani e la nuova intransigenza interna
Una relazione della Commissione Interamericana per i Diritti Umani sostiene l’esistenza in Honduras “di un uso sproporzionato della forza pubblica, di arresti arbitrari e controllo dell’informazione realizzato per limitare la partecipazione politica di un settore della cittadinanza”.

Non è altro che una conferma di quanto stavano da settimane denunciando le associazioni per la difesa dei diritti umani honduregne, i sindacati e le organizzazioni del Fronte Nazionale dei resistenza contro il Colpo di Stato che chiedeva e continua a chiedere la restituzione di Zelaya alla presidenza e, alzando la posta, anche l’elezione di un’Assemblea Costituente.

La Corte Suprema di Giustizia e altri organi dello Stato si pronunciano contro tali richieste e rigettano il piano di riconciliazione di Oscar Arias e i tentativi di Miguel Insulza, segretario generale della OSA.Come se niente fosse, nel mezzo delle proteste comincia la campagna elettorale regolare per le votazioni del 29 novembre.
Il colpo di Stato e le proteste che ogni giorno si susseguono in tutto l’Honduras hanno provocato numerose sparizioni, morti e violazioni gravi che sono ancora difficili da quantificare, ma le testimonianze dirette non hanno bisogno di commenti.

4 settembre – Nuove sanzioni USA e del FMI (Fondo Monetario Internazionale)
L’FMI blocca un prestito di 163 milioni di dollari in favore dell’Honduras e gli USA sospendono tutti gli aiuti economici in favore del paese centroamericano. Annunciano anche ufficialmente che non riconosceranno il governo che uscirà dalle elezioni di novembre se non si rispetterà il diritto al ritorno di Zelaya al potere nel suo paese.

21 settembre – Il ritorno di Manuel Zelaya in Honduras e il gioco del Brasile
Manuel Zelaya fa ritorno in Honduras durante una missione segreta e si rifugia nell’ambasciata brasiliana che viene subito circondata da polizia e militari. Questi soffocano nel sangue le manifestazioni pro Zelaya con un saldo di cinque morti. La scelta dell’ambasciata brasiliana è significativa dal punto di vista politico, visto che il Brasile risulta essere decisivo per tutti gli equilibri dell’America Latina e da potenza regionale aspira a convertirsi in un riferimento continentale e mondiale.

Il simbolico e mediatico apogeo del gigante sudamericano sulla scena mondiale, grazie alle assegnazioni delle olimpiadi del 2016 a Rio de Janeiro e dei mondiali di calcio del 2014, si accompagna anche ad alcuni dati oggettivi come la sua autosufficienza energetica, il limitato impatto della crisi mondiale sulle sue prospettive economiche, i buoni e costanti risultati nella riduzione della povertà e la scoperta di importanti giacimenti che, secondo le stime, faranno presto del Brasile la quinta potenza petrolifera mondiale.

Gli ultimi sviluppi della crisi honduregna in ottobre
Il governo di Roberto Micheletti, ormai privo di supporti esterni e in crisi sul fronte interno, ha decretato il 27 settembre la restrizione di tutte le garanzie individuali per 45 giorni e continua a rifiutare il dialogo con Zelaya e con le delegazioni della OSA in visita in Honduras. Come conseguenza sono state silenziate e occupate militarmente le strutture di Radio Globo e del Canale 36, mezzi informativi d’opposizione da quattro mesi sotto tiro.

In seguito alle crescenti proteste del popolo honduregno e della comunità internazionale, lo stato d’eccezione viene revocato il 7 ottobre. Malgrado tutto, la posizione ufficiale dei golpisti è inflessibile come lo è stata negli ultimi 4 mesi: Zelaya, nell'ambasciata brasiliana, non potrà ritornare al potere e dovrà anzi consegnarsi alla giustizia honduregna per essere processato e giudicato. Inoltre Micheletti ha dato un ultimatum al Brasile affinché definisca lo status di Zelaya, anche se Lula ha dichiarato di non accettare nessun ultimatum da parte di un governo non riconosciuto.

Insomma, nessuno cede e continua lo stallo imposto dai golpisti, probabilmente per prendere tempo e arrivare alle elezioni sperando in un riconoscimento successivo. In questi giorni un'altra delegazione dell'OSA ha riprovato ad attivare i dialoghi tra le parti.

Dal canto suo Zelaya richiede di tornare in carica come presidente entro il 15 ottobre. Secondo i dati del Comitato dei Familiari dei Detenuti e Desaparecidos in Honduras (COFADEH), sarebbero 17 le persone morte a causa della violenza scatenata dalle forze repressive dopo il 28 giugno. Si contano centinaia di feriti e quasi un centinaio di cittadini sono sotto accusa per sedizione, in quanto hanno difeso l'ordine costituzionale interrotto dal colpo di Stato.

Il Fronte Nazionale Contro il Colpo di Stato In Honduras, ha convocato il Primo Incontro internazionalista contro il colpo di Stato e per l'Assemblea nazionale costituente, che si realizzerà nei giorni 8, 9 e 10 Ottobre 2009 nella città di Tegucigalpa, Honduras, Centro America.

Le autorità ad interim dell'Honduras hanno ribadito la loro volontà di repressione e controllo con un nuovo decreto che prevede la chiusura di qualunque mezzo di comunicazione se il contenuto da essi diffuso mette in pericolo la "sicurezza nazionale", concetto palesemente discrezionale. Da martedì 13 ottobre è attesa la ripresa del dialogo dopo lo stop di venerdì 9.

CONTINUA...
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