L’effetto inmediato del terrorismo di Stato ordinato da Netanyau e Barack –all’insaputa di tutti gli altri ministri- è stata la riapertura a tempo indefinito del valico di Rafah ordinata dall’Egitto, e la dura presa di posizione della Turchia: “Se non ci volete come amici saremo dei nemici implacabili”. Ha sospeso le esercitazioni militari in programma, interrotto tutti gli accordi con Israele relativi al settore idrico e quello eneregetico. Nell’opinione pubblica israeliana c’è smarrimento, nessun applauso per il governo e la fine della fiducia cieca nelle forze armate (già battute da Hezbollah in Libano). Prende corpo la sindrome di Gaza=Vietnam sionista.
L’intransigenza di Israele, la contrapposizione frontale a tutto e tutti, si sta trasformando in una ingombrante palla al piede per i suoi amici storici. «Israele si sta progressivamente trasformando da risorsa, in peso ingombrante per gli Stati Uniti» dice il capo del Mossad. Per gli Stati Uniti e i vassalli europei, il prezzo del fiancheggiamento ad oltranza e dell’omertà 100%, si fa sempre più alto. Nel futuro molto prossimo c’è in vista il distanziamento definitivo con
Washington e Bruxelles possono chiudere gli occhi se Israele fa delle risoluzioni dell’ONU un rotolo di carta per i gabinetti ministeriali, ma non possono certo mettere a repentaglio la consistenza del loro braccio armato. Di fatto,
USA ed EuroNATO devono ora fare i conti con questo nuovo equilibrio, e non sono più in grado di tracciare a loro piacimento la geografia politica di questa parte del mondo.
L’accordo siglato con l’Iran dal Brasile e dalla Turchia sull’energia nucleare conferma l’accresciuto ruolo delle medie potenze nel nuovo contesto della multipolarità, e la loro capacità di sottrarre spazi strategici agli “occcidentali”. Sono molto di più di bastoni tra le ruote. Gli atlantisti hanno una gran voglia di menar le mani e soffiano su tutti i possibili fuochi planetari (Corea, Iran) come fuga in avanti –o per occultare- la crisi paralizzante che li accomuna.
L’arrembaggio piratesco contro
Gli astenuti sono stati nove: Belgio, Burkina Faso, Francia, Ungheria, Giappone, Regno Unito, Ucraina, Slovacchia, Corea.
A favore hanno votato Angola, Arabia Saudita, Argentina, Bahrain, Bangladesh, Bolivia, Bosnia-Herzegovina, Brasile, Cile, Cina, Cuba, Djibouti, Egitto, Gabon, Ghana, India, Indonesia, Giordania, Kyrgyzstan, Mauritius, Messico, Nicaragua, Nigeria, Norvegia, Pakistan, Filippine, Qatar, Russia, Senegal, Slovenia, Sud Africa e Uruguay.
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