In panne l'esportazione permanente di democrazia - Inceppata l'espansione low cost della Turchia - Drone Ayoub: penetrazione profonda dell'Iran nei cieli israeliani - Inutile diplomazia europea dell'invettiva - Russia ritorna in Medioriente e riempie i vuoti lasciati dagli USA e NATO
Tito Pulsinelli Dopo un anno, la Libia senza Gheddafi è un'ex nazione, senza una capitale e priva di istituzioni; un territorio smembrato dove una trentina di milizie si scontrano tra di loro e -con uno schema a geometria variabile- contro i soldati di ventura armati dalla NATO, stipendiati dagli USA, Parigi, Londra e petromonarchie. Il trapianto operato dagli "esportatori permanenti di democrazia" sul corpo esangue di quel che era la nazione africana più
prospera, con il reddito più equamente redistribuito, mostra la sua vera essenza. La popolazione è vittima di predoni autoctoni e depredatori multinazionali.
E' calato il silenzio mediatico totale -come da copione- ma non basta ad occultare che agli occidentali sarà problematico controllare pozzi, oleodotti e porti, che erano il vero oggetto dei loro desideri. I vari ed assortiti "emiri" di nuovo conio, non si accontentano delle scarse briciole. Lo prova l'attacco all'ambasciata nella roccaforte di Bengasi e al disgraziato ambasciatore, trasformato in martire suo malgrado. Oggi, dopo un anno, è in pieno sviluppo il bombardamento della città di Bani Walid, non ancora strappata alle forze leali a Gheddafi. I fondi sequestrati nelle banche occidentali non sono tornati in Libia. Bottino di guerra?
La ripetizione meccanica della stessa procedura contro la Siria ha fatto fiasco. Europa ed USA non sono riuscite a strappare la necessaria copertura "legale" dell'ONU, e sono ridotte ad una inverosimile diplomazia della menzogna, insufficiente per mascherare una clandestinità operativa: camuffarsi sotto le tuniche dei petromonarchi d'Arabia e Qatar. La credibilità occidentale è ai minimi, infognati in contraddizioni paralizzanti, che obbligano ad archiviare lo sceneggiato della "primavera araba". Non c'è una convincente "narrazione" che la rimpiazzi.
L'ex presidente brasiliano Lula ha rivelato che Ajmedinajad era disposto a concedere quel che gli occidentali richiedevano sul nucleare...ma -sorpresa- costoro risposero con il varo fulmineo di sanzioni (1). La Siria resiste perchè è molto di più di quel che la dittatura mediatica racconta e/o occulta; ha alleati strategici (Russia, Cina, Iran) e una capacità di risposta globale, a ciascuno dei fattori che apertamente o sotterraneamente ne insidiano la sovranità. Ne sa qualcosa la Turchia, illusasi di ridar corpo all'atavico espansionismo, ma non è low cost come garantiva la NATO.
Ankara si ritrova tutte le frontiere terrestri in ebollizione, l'offensiva dei kurdi domestici, e la confluenza belligerante di quelli siriani e iraqeni, oltre alla disponibilità dell'Armenia ad autorizzare lo schieramento dei missili S 400. Il governo di Bagdad si va allineando al fronte anti-aggressori della Siria. Erdogan ha fatto male i suoi calcoli: il ruolo di bulldog occidentale è insufficiente per il rilancio del neo-ottomanismo. L'acutizzarsi della crisi economica interna, le crepe nel comando militare e la molitiplicazione dei conflitti sociali, si sommano al ruolo attivo assunto dal nuovo Egitto, riavvicinato all'Iran. Non è la Siria, dunque, ma la Turchia a ritrovarsi isolata. Esposta in prima fila in una guerra regionale, dov'è impossibile il bushista Grande Medio Oriente, e con lo scenario "primaverile" già squinternato. La Russia sta riaffacciandosi nella zona come giocatore globale e perno di alleanze estese ben oltre la Siria.
L'affare Ayoub, nome del drone iraniano in dotazione ad Hezbollah, ha letteralmente sparigliato i giochi. La rivendicazione aperta di Teheran ed Hezbollah, come fabbricanti e piloti del drone, ha scnvolto la percezione del nuovo contesto. Il velivolo è entrato in profondità sul territorio israeliano, abbattuto dopo qualche ora quando già sorvolava gli impianti nucleari di Dimona. Riluce la vulnerabilità del sistema antiaereo. Al di là delle considerazioni strettamente militari, si tratta di una vittoria iraniana che da una frenata brusca alla reiterativa aggresività di Netanhiau, e semina dubbi sulla sua politica di sicurezza. Israele perde nella guerra dell'informazione, per la prima volta svanisce la capacità di associare sempre il suo nome alla superiorità tecnologica, e va in penombra il mito dell' invincibilità. Sopravvissuto persino alla rude evidenza della sconfitta subita nel 2006, non per mano di una nazione araba, ma di un'organizzazione politico-militare come Hezbollah.
Si accresce la proiezione del potere politico-militare iraniano: finora ha dimostrato di poter contenere l'urto della guerra sul piano diplomatico, commerciale, finanziario, monetario e mediatico. Con l'affare Ayoub dimostra una capacità di penetrazione profonda nei cieli del più acerrimo contendente. Teheran non è isolabile ed esibisce tecnologia militare offensiva sorprendente, dopo solo due anni dall'atterraggio forzato del drone RQ 170 degli Stati Uniti.
I sempre più irrequieti petromonarchi ed emiri del Golfo sono diventati gli interlocutori privilegiati degli occidentali, a cui vendono pacchetti azionari, merci finanziarie, consigli di amministrazione, persino club di calcio. Ne assecondano le megalomanie, li assolvono per l'invasione di Baherein e le repressioni contro gli sciiti, e benedicono le milizie mercenarie spedite in Siria. Milizie private di gran efficienza contro i civili ma di scarsa affidabilità e valore combattivo contro i soldati siriani. Do you rember Machiavelli?
I piloti invisibili che hanno in pugno l'Entità Europea (EE), hanno incatenato il suo destino a quello declinante d'oltreatlantico, di cui è cavia sperimentale in economia e protesi artificiale in campo internazionale. Nel caso siriano, siamo ormai alle invettive scomposte dei Fabius o i clichets gergali del nobiluomo della Farnesina, che evidenziano subalternità geopolitica, vassallaggio, rinuncia alla conformazione di un polo autonomo.
Alla vigilia della ritirata dall'Afganistan e dall'Iraq, gli USA vogliono indebolire tutti i concorrenti strategici. Ci riescono agevolmente soprattutto con l'EE, a cui si è sfarinata la moneta, sistema produttivo in via di smantellamento, grazie all'imposizione del darwinismo sociale, e la dogmatica liberista inserita nella Costituzione. L'esportazione permanente di democrazia coinvolge in guerre perdenti, che non sono guerre per l'Europa, ma per puntellare l'egemonia USA. Assad è un osso duro perchè la Siria è una nazione-crogiolo che viene da molto lontano. Ad ogni modo, l'avventura dei soldati di ventura, sta aggregando un fronte di resitenza che coinvolge due potenze che stanno nel consiglio pemanente dell'ONU, l'Iran, organizzazioni politico militari libanesi e kurde, e gli sciiti d'Arabia ed emirati. Persino paesi recentemente invasi e devastati dalla NATO. Obama dice che l'Egitto "non è un Paese amico ma nemmeno nemico".
L'unipolarismo gira a vuoto, nonostante il gran rifiuto dell'oligarchia dell'EE ad assumere la pluripolarità come configurazione emergente predominante, ed orizzonte più consono agli interessi del vecchio continente. Il mondo si dirige altrove ma il non-governo italiano (in realtà è una Giunta Provvisoria Globalista) chiude gli occhi, preferisce rimane incatenato all'europeismo (al tracollo) e all'atlantismo. Immobile da 60 anni! Anche quando la NATO è sempre più visibilmente un apparato inservibile per la salute e la prosperità europea. La penisola guarda solo a nord (Berlino) e ad ovest (Washington), ed è stata scippata anche dello storico spazio Mediterraneo.
La difesa è nulla senza la possibilità di coniugarla con una prospettiva geopolitica, basata su relazioni sovrane con le altre sponde mediterranee e i Balcani. Poco serve il feticismo tecnologico, pertanto potrebbe risparmiare sulla esosa fattura da versare a Washington per i costosissimi gingilli F35. Oltretutto, qualora volessero usarli per i propri interessi sovrani, Washington negherebbe ricambi e componentistica.
(1) Vedi intervista del quotidiano La Nación di Buenos Aires (qui) , dove Lula svela alcuni retroscena riguardo alla mediazione che il Brasile svolse con la Turchia
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